La sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche all’imputato in condizioni economiche disagiate

Ai fini della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, il giudice deve tenere conto degli indici presenti all’art. 133 c.p., tra cui non rientra quello relativo alle condizioni economiche dell’imputato. Dunque, la disagiata situazione economica di quest’ultimo non osta alla conversione della pena.

Così si pronuncia la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29893/19, depositata l’8 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Trento confermava la decisione emanata al termine del giudizio di primo grado con cui l’imputato veniva condannato per il reato di cui all’art. 12- sexies, l. n. 898/1970, commesso in danno dei figli minori. Avverso tale pronuncia, l’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo l’erronea interpretazione della Corte nel ritenere integrato il reato suddetto con il mero inadempimento dell’obbligo di assistenza, pur essendo necessaria una condotta di sottrazione” ad esso, e contestando il rigetto della sua istanza di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, il quale veniva giustificato sul presupposto della presunzione di mancato adempimento della sanzione sostitutiva per via della precarietà delle condizioni economiche dell’imputato. Infine, l’imputato contesta la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, considerando che tale obbligo non potrà essere assolto. La violazione degli obblighi di assistenza familiare. Secondo la Corte di Cassazione, il primo motivo lamentato dal ricorrente è privo di fondamento giuridico, tenendo conto che integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore separato che non adempie agli obblighi di versamento statuiti dal giudice civile in favore dei figli minori, escludendosi ogni accertamento in sede penale sulla capacità di ciascun coniuge di concorrere al mantenimento dei figli, spettando tale onere al giudice civile. Nel caso concreto, inoltre, l’inadempimento del ricorrente non solo risulta essere di carattere sistematico e ripetuto nel tempo, ma non può nemmeno considerarsi incolpevole ovvero dovuto a forza maggiore, risultando dalla documentazione allegata in giudizio che egli era proprietario di beni immobili e di altri cespiti di notevole valore dal punto di vista economico. La sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria. La Suprema Corte dichiara fondati, invece, gli altri motivi di ricorso prospettati dal ricorrente, rilevando come la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria sia consentita anche in relazione a condanne di persone che si trovano in condizioni economiche disagiate, poiché la prognosi di inadempimento ostativa alla sostituzione va riferita solo alle pene sostitutive di quella detentiva corredate da prescrizioni, e non anche alla pena pecuniaria sostitutiva, ambito nel quale il giudice può esercitare il suo potere discrezionale rifacendosi ai criteri indicati nell’art. 133 c.p., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato, ma non anche quello relativo alle sue condizioni economiche. Per quanto riguarda, invece, la lamentata subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, la Corte afferma che il giudice, nonostante non sia tenuto ad accertare le condizioni economiche dell’imputato, deve comunque effettuare un motivato apprezzamento su di esse qualora emergano dagli atti elementi tali da consentire di dubitare sulla capacità di soddisfare l’obbligo imposto dal giudice. Nel caso concreto, rilevano gli Ermellini, le suddette ragioni di dubbio sembrerebbero esistenti, avendo, infatti, il Giudice di merito tenuto conto delle stesse fino a respingere la richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria in ragione del probabile inadempimento della stessa. Per questi motivi, gli Ermellini annullano la sentenza impugnata limitatamente ai menzionati motivi di ricorso, rinviando il giudizio al Giudice di merito, il quale avrà il compito di accertare le effettive condizioni economiche del ricorrente ai fini dell’istanza di sostituzione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 marzo – 8 luglio 2019, n. 29893 Presidente Petruzzellis – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13 luglio 2018, la Corte di appello di Trento ha confermato quella emessa dal Tribunale di Trento il 9 maggio 2017, con cui L.M. era stato condannato per il delitto di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, commesso in danno dei propri figli minori, concepiti con la sua ex moglie V.P. , nonché al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese di causa in favore di quest’ultima, costituitasi parte civile, con subordinazione della concessa sospensione condizionale della pena al pagamento di quanto stabilito a titolo di risarcimento, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. Risulta accertato, all’esito del giudizio di merito, non essendovi controversia sul punto, che quegli abbia versato soltanto in minima parte e saltuariamente l’assegno per il mantenimento dei figli minori, impostogli dal giudice civile con la sentenza di separazione coniugale, ed abbia poi addirittura omesso del tutto la corresponsione di quello successivamente stabilito con la sentenza che ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ancorché ridotto nell’importo su sua richiesta. 2. Per il tramite del suo difensore e procuratore speciale, L. ricorre per cassazione avverso tale sentenza, proponendo quattro motivi di censura. 2.1. Con il primo, lamenta la violazione dell’art. 45 c.p., e art. 12 sexies, cit., avendo la Corte distrettuale ritenuto sufficiente ad integrare la relativa fattispecie il mero inadempimento dell’obbligo patrimoniale, essendo invece necessaria, a tal fine, una condotta di sottrazione ad esso, la quale implica una volontaria inottemperanza senza giusta causa al dovere di assistenza verso i figli situazione, invece, non rilevabile nel caso specifico, trattandosi di inadempimento determinato dall’indisponibilità di risorse dovuta a causa di forza maggiore. 2.2. Con il secondo motivo, deduce inosservanza di norme processuali, mancata assunzione di prove decisive e vizi di motivazione, relativamente alla valutazione della testimonianza della ex-moglie, acriticamente ritenuta affidabile benché portatrice di interessi contrapposti, in quanto costituita in giudizio quale parte civile nonché, e soprattutto, con riferimento al giudizio sulla propria situazione patrimoniale, avendo la Corte travisato la documentazione difensiva sui relativi redditi e sulle procedure esecutive immobiliari cui egli era sottoposto, ed avendo concluso per la mancata dimostrazione della sua condizione di assoluta indigenza, tuttavia dopo aver respinto le richieste istruttorie difensive funzionali a tale prova. 2.3. Il terzo motivo censura il rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, a norma della L. n. 689 del 1981, art. 53, giustificato dai giudici del merito sul presupposto della presunzione di mancato adempimento della sanzione sostitutiva, ai sensi del successivo art. 58, comma 2, stessa legge, in ragione della precarietà delle condizioni economiche di esso imputato, da lui stesso allegata. Sostiene la sua difesa, sul punto, con richiamo di giurisprudenza di legittimità, che tale presunzione operi esclusivamente riguardo alle prescrizioni accessorie alle sanzioni sostitutive incidenti sulla libertà personale, ma non anche con riferimento a quella pecuniaria. 2.4. Con il quarto motivo, infine, si contesta - sotto il profilo sia della violazione di legge che del difetto di motivazione - la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, nella ragionevole previsione che il relativo obbligo non potrà essere assolto così che inutile e fittizia si appalesa la relativa previsione. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è destituito di giuridico fondamento. 1.1. Accertato il fatto nei termini sopra descritti, è qui sufficiente ribadire che - per giurisprudenza uniforme di questa Corte - integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore separato che non adempie agli obblighi di versamento imposti dal giudice civile in favore dei figli minori, essendo escluso ogni accertamento in sede penale sulla effettiva capacità proporzionale di ciascun coniuge di concorrere al soddisfacimento dei bisogni dei minori, e spettando al solo giudice civile tale verifica, in quanto la disposizione incriminatrice si limita a sanzionare la condotta di inadempimento così, per tutte, Sez. 6, n. 46750 del 18/10/2012, Rv. 254273 . È, inoltre, parimenti indiscusso - in tal senso, tra moltissime altre Sez. 6, n. 55064 del 13/09/2017, Rv. 271669 Sez. 6, n. 44086 del 14/10/2014, Rv. 260717 - che, ai fini dell’integrazione del delitto di che trattasi, non occorra che l’inadempimento faccia venir meno i mezzi di sussistenza per i beneficiari, configurandosi, in tal caso, l’ulteriore delitto di cui all’art. 570 c.p., comma 2, il quale concorre con quello previsto dal citato art. 12 sexies e dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, che ad esso integralmente rinviava, essendo ormai, l’uno e l’altro, confluiti nell’unica fattispecie del nuovo art. 570 bis c.p. . Sotto il profilo della capacità dell’obbligato di adempiere, va poi ricordato che l’indisponibilità, da parte di costui, dei mezzi economici necessari a tal fine può escludere la rilevanza penale dell’inadempimento soltanto se perduri per tutto il periodo di tempo in cui questo si sia protratto e non sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’obbligato medesimo Sez. 6, n. 41697 del 15/09/2016, Rv. 268301 Sez. 6, n. 11696 del 03/03/2011, Rv. 249655 . 1.2. La Corte non ritiene esservi ragioni per discostarsi, nel caso in rassegna, da tali consolidati principi. L’alternativa tesi del ricorrente, secondo cui la sottrazione all’obbligo di corresponsione postulerebbe un quid pluris rispetto al mero inadempimento dell’obbligo civilistico, si fonda invece sulla capziosa lettura di un obiter di una sentenza di questa Corte Sez. 6, n. 51625 del 15/11/2016, non massimata , tuttavia riferita a fattispecie concreta completamente diversa da quella in esame, poiché costituita dall’episodica omissione o dalla mera ed occasionale intempestività dei versamenti in sentenza si fa menzione di singoli mancati o ritardati pagamenti , correttamente ritenuti insufficienti, in quanto tali e nel quadro della complessiva condotta tenuta dall’imputato, a ritenerne dimostrato il dolo. Nel caso specifico, invece, l’inadempimento dell’imputato non solo risulta essere stato sistematico e reiterato negli anni, ma non può nemmeno reputarsi incolpevole o, ancor meno, dovuto a causa di forza maggiore, configurandosi quest’ultima - con l’effetto di escludere la suitas della condotta da parte dell’agente - soltanto quando quest’ultimo abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge, ma, per cause indipendenti dalla sua volontà, non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica così, fra altre analoghe, Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, Rv. 270145 . La Corte d’appello, infatti, ha condivisibilmente evidenziato come, dalla documentazione versata in atti, anche su produzione difensiva, emergesse che egli era proprietario di beni immobili ed altri cespiti di notevole valore economico villa con piscina ed eliporto, un’imbarcazione ed altro ancora , che, in assenza delle necessarie liquidità, egli avrebbe potuto - e quindi dovuto - mettere a profitto, al fine di adempiere agli obblighi economici verso i figli, non essendovi alcuna norma che circoscriva tale obbligazione nel limite dei redditi correnti, da lavoro o da impresa. 2. Tali considerazioni conducono al rigetto anche del secondo motivo di ricorso, anch’esso infondato. Attraverso la critica alla valenza dimostrativa delle dichiarazioni della persona offesa e la deduzione del travisamento, da parte del giudice d’appello, delle prove documentali prodotte a sostegno della reclamata indigenza assoluta del ricorrente, la sua difesa si limita a proporre una ricostruzione alternativa dei fatti di causa, sostanzialmente chiedendo al giudice di legittimità una valutazione di fatto, che invece gli è preclusa. 2.1. In tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428 . Ne consegue che non sono sindacabili in sede di legittimità, se non entro gli appena esposti limiti, la valutazione del giudice di merito circa eventuali contrasti testimoniali o la sua scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623 . Peraltro, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, senza possibilità, per la Corte di cassazione, di verificare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . Da tanto consegue, in particolare, che minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio, entro il quale ogni elemento sia contestualizzato, che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988 . 2.2. Nello specifico, la sentenza impugnata non presenta affatto smagliature logiche evidenti né carenze motivazionali. Anzi, con ineccepibile coerenza logica, la Corte territoriale non solo ha posto in evidenza come l’imputato non abbia assolto all’onere, su di lui gravante, di dimostrare la propria incapacità di adempiere, che dev’essere assoluta e non può sostanziarsi in una mera difficoltà od in un, più o meno, transitorio difetto di liquidità ma, anzi, abbia rilevato come le notevoli disponibilità patrimoniali di costui, oltre che la sua elevata capacità reddituale con un documentato imponibile compreso tra i 600.000 Euro del 2012 ed i 180.000 del 2014 dovessero condurre a escluderne una condizione di incolpevole e duratura incapacità economica. In un siffatto contesto, quindi, non può riconoscersi rilievo decisivo alla mera pendenza di alcune procedure esecutive immobiliari, delle quali non sono noti i presupposti e gli esiti. Nessuna censura, pertanto, può essere mossa alla valutazione di superfluità della relativa documentazione, compiuta da quella Corte. 3. Sono fondati, invece, il terzo ed il quarto motivo di ricorso. 3.1. La sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 58, comma 2, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna particolare prescrizione. Tale norma, infatti, stabilisce che, nell’esercitare il potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene corrispondenti, il giudice debba tenere conto dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato, ma non quello delle sue condizioni economiche Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274 Sez. 3, n. 17103 del 08/03/2016, Rv. 266639 Sez. 6, n. 36639 del 10/07/2014, Rv. 260333 . Il contrario divisamento della Corte d’appello, dunque, non è conforme alla legge. 3.2. Altrettanto dicasi per la disposta subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno. A tal fine, infatti, il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell’imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse, se dagli atti emergano elementi che consentano di dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta ovvero quando tali elementi vengano forniti dalla parte interessata in vista della decisione Sez. 5, n. 48913 del 01/10/2018, Rv. 274599 Sez. 6, n. 11371 del 15/02/2018, Rv. 272544 Sez. 6, n. 52730 del 28/09/2017, Rv. 271731 . Nel caso specifico, tali ragioni di dubbio parrebbero esistenti e sono state tenute in considerazione dalla Corte, al punto che essa ha respinto l’istanza di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, proprio sul presupposto del probabile inadempimento della stessa. Peraltro, il ricorrente potrebbe avere interesse ad una decisione sul punto, anche nel caso in cui venisse disposta la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, in quanto la sospensione condizionale può trovare applicazione anche in caso di pena pecuniaria sostitutiva Sez. 2, n. 23346 del 03/05/2016, Rv. 266910 . 4. Su entrambi questi ultimi capi, l’impugnata decisione dev’essere annullata, con rinvio al giudice emittente. Questa Corte, infatti, non dispone di sufficienti elementi per stabilire le effettive condizioni economiche dell’imputato, il cui accertamento - per quanto s’è appena detto - è rilevante sia per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, sia per verificare l’effettiva possibilità di assolvere all’obbligo risarcitorio. L’indagine sul punto dev’essere perciò devoluta al giudice di merito, che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra richiamati. 5. In quanto l’annullamento attiene esclusivamente a statuizioni relative alla pena, e non anche alla responsabilità dell’imputato per il fatto di reato contestatogli, questi, a norma dell’art. 592 c.p.p., dev’essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che, in applicazione della tariffa professionale di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, considerando l’impegno difensivo non particolarmente gravoso, si stima equo liquidare in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla conversione della pena ed alla subordinazione della sospensione condizionale della pena, e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bolzano. Rigetta nel resto e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile V.P. in questa fase, che si liquidano in complessivi Euro 3.500, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cpa.