Esclusa l’ipotesi del “fatto lieve” nonostante la droga fosse occultata nella cassaforte

Definitiva la condanna per detenzione illecita a fini di spaccio. Significativo il grosso quantitativo rinvenuto, cioè 700 grammi di cocaina, pari a quasi tremila e cinquecento dosi singole medie. Esclusa però a priori l’ipotesi di una inconsapevolezza dell’uomo sulla entità reale della droga occultata nella cassaforte.

Grossa scorta di cocaina occultata in una cassaforte murata presente nell’appartamento utilizzato da un uomo. Impossibile parlare di inconsapevolezza” della persona sotto processo sull’effettivo quantitativo di droga nascosto nella sua abitazione. E per i giudici è illogico anche ipotizzare di valutare come non grave la posizione dell’uomo. Tirando le somme, quindi, è definitiva la condanna per illecita detenzione a fini di spaccio” di circa 700 grammi di sostanza stupefacente Cassazione, sentenza n. 29060/19, sez. III Penale, depositata oggi . Ruolo. Comuni le valutazioni compiute dai giudici del Tribunale e da quelli della Corte d’appello a loro parere, è impensabile parlare di fatto non grave e ridimensionare la gravità della posizione dell’uomo sotto processo. Questa visione viene contestata dall’avvocato. Per i giudici di merito l’uomo non avrebbe potuto ignorare che quel quantitativo di cocaina fosse destinato ad un traffico di stupefacenti non modesto , ma il legale ribatte che non si è tenuto conto del ruolo di custode temporaneo della sostanza assunto dal suo cliente, che era del tutto ignaro della quantità di sostanza e del codice di apertura della cassaforte , aggiunge il legale. Secondo la linea difensiva, quindi, non solo non si è concretizzata una reale ed effettiva disponibilità della droga , ma emerge un ruolo secondario dell’uomo rispetto al processo di produzione e commercio della sostanza . Quantitativo. A spazzare via l’ipotesi del fatto lieve”, con annesso ridimensionamento della posizione dell’uomo sotto processo, sono i giudici della Cassazione. I magistrati provano a mettere da parte il solo dato ponderale della sostanza presente nella cassaforte, pur aggiungendo che i circa 700 grammi di cocaina rinvenuti sono pari a quasi tremila e cinquecento singole dosi medie. A prescindere da questo dato, però, non è prospettabile , secondo i Giudici, alcuna inconsapevolezza dell’uomo sulla reale entità del quantitativo . Ciò perché una tale ipotesi non può in alcun modo conciliarsi logicamente con un affidamento di droga talmente riservato da non essere stato l’uomo messo in grado di accedere personalmente al contenuto della cassaforte in cui era riposta la cocaina . Di conseguenza, a fronte della specifica situazione, si può escludere, secondo i giudici, l’ipotesi di un modesto traffico di sostanza stupefacente , e ritenere logica, invece, l’esistenza di professionali attività di primario livello nell’ambito del sistematico smercio di droga .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 marzo – 3 luglio 2019, n. 29060 Presidente Lapalorcia – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Gu. Fa. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma emessa in data 13/06/2018 di conferma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Tivoli in data 25/09/2017 di condanna per il reato di cui all'art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309 del 1990 perché, a fini di spaccio, illecitamente deteneva, occultati all'interno di una piccola cassaforte murata in un appartamento in suo uso, otto involucri contenenti complessivamente gr. 700 circa di sostanza stupefacente del tipo cocaina. 2. Con un unico motivo lamenta la erronea qualificazione giuridica del fatto, per non avere la Corte riconosciuto l'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, del D.P.R. cit La Corte, pur concordando nel ritenere che il dato ponderale non sarebbe valso da solo a qualificare l'ipotesi di cui al primo ovvero invece di cui al quinto comma dell'art. 73 cit., avrebbe ritenuto integrata l'ipotesi più grave posto che l'imputato non avrebbe potuto ignorare che quel quantitativo fosse destinato ad un traffico di sostanze stupefacenti non modesto. Non si sarebbe tenuto conto, tuttavia, del ruolo di custode temporaneo della sostanza assunto da Gu., del tutto ignaro della quantità della sostanza stupefacente e del codice d'apertura della cassaforte si da non concretizzare una reale ed effettiva disponibilità della sostanza , ruolo che evidenzierebbe lo scarso indice di incisività dell'apporto causale nel processo di produzione e commercio della sostanza e sotto il profilo psicologico. 3. Il ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata, onde escludere la riconducibilità dell'ipotesi contestata in quella, lieve, del comma 5 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, ha affermato che, anche a volersi porre nella prospettiva avanzata dall'imputato della impossibilità di assumere il solo dato ponderale della sostanza quale elemento dirimente per la differenzazione tra ipotesi disciplinata dal comma 1 ed ipotesi disciplinata dal comma 5 del D.P.R. cit. va sottolineato che nella specie, peraltro, la sentenza evidenzia che il quantitativo detenuto era pari a 3.489 singole dosi medie come da espletata consulenza tecnica , non fosse prospettabile nella specie alcuna inconsapevolezza, da parte dell'imputato, della reale entità del quantitativo una tale ipotesi, infatti, non poteva in alcun modo conciliarsi logicamente con il fatto che un affidamento di droga talmente riservato da non essere stato l'imputato messo in grado di accedere personalmente al contenuto della cassaforte nella quale la cocaina era riposta, doveva logicamente escludere che si versasse in ipotesi di qualsivoglia modesto traffico di sostanza stupefacente e non invece a professionali attività di primario livello nell'ambito del sistematico smercio di droga . Tale assunto, su cui, come detto, si fonda, in termini non manifestamente illogici, la ragione del diniego dell'ipotesi lieve invocata, non risulta, tuttavia, specificamente censurate dal ricorrente, che si è invece limitato ad evocare, senza che risulti una pregressa, necessaria, deduzione di ciò con l'atto di appello, profili di tenuità della condotta tratti dalla veste di mero custode della sostanza quale preteso ruolo secondario nel rapporto causale di produzione e commercio della stessa. Ne consegue, in definitiva, che, ancor prima di potere valutare la fondatezza della doglianza in esame, il ricorso, oltre ad essere carente di specificità, soffre di inammissibilità perché sollevante profili non prospettati in sede di appello. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.