Loghi noti riprodotti sulle borse: condannato per commercio di prodotti contraffatti

Respinta la tesi difensiva, centrata sulla grossolanità della contraffazione. Questo elemento, secondo i Giudici, non rende comunque meno grave la condotta. Confermata la condanna per l’uomo beccato in possesso della merce.

Inequivocabile il materiale sequestrato a un uomo – originario del Senegal – dalle forze dell’ordine tra la merce rinvenuta, anche borse con loghi riproducenti quelli di ‘Dolce& amp Gabbana’ e ‘Prada’. Inevitabile perciò la condanna per i reati di ricettazione” e commercio di prodotti contraffatti”. Respinta l’obiezione difensiva centrata sulla ipotesi di una contraffazione grossolana” e quindi non idonea a trarre in inganno i potenziali compratori Cassazione, sentenza n. 28845/19, sez. II Penale, depositata il 2 luglio . Loghi. A inchiodare l’uomo – un cittadino senegalese – è il resoconto fatto da un luogotenente e relativo all’operazione di sequestro del materiale contraffatto detenuto dallo straniero. Questo elemento è ritenuto sufficiente, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, per ritenere la persona sotto processo colpevole dei reati di ricettazione e commercio di prodotti contraffatti . Identica posizione assume anche la Cassazione, confermando senza tentennamenti la condanna dello straniero. In sostanza, è impossibile mettere in discussione la contraffazione dei prodotti , certificata dal luogotenente che, in qualità di teste, ha spiegato che le borse poste sotto sequestro presentavano il logo di ‘Dolce& amp Gabbana’ e ‘Prada’ . E questo elemento è decisivo poiché, osservano i Giudici, la semplice presenza di tagliandi riproducenti il marchio e la presenza dei loghi, riferibili alle aziende ‘Dolce& amp Gabbana’ e ‘Prada’, è idonea a porre in pericolo la fede pubblica . Rispetto a tale quadro è invece irrilevante la configurabilità della contraffazione grossolana . Di conseguenza, non si può parlare di reato impossibile pur quando la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 giugno – 2 luglio 2019, n. 28845 Presidente Gallo – Relatore Monaco Ritenuto in fatto La CORTE d'APPELLO di MESSINA, con sentenza del 31/1/2018, riformava parzialmente la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di PATTI il 6/5/2015 nei confronti di NI. CH. e, rideterminata la pena, confermava nel resto la condanna dello stesso in relazione ai reati di cui agli artt. 474 e 648 CP. 1. Avverso la sentenza propone ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, deduce i seguenti motivi. 1.1. Violazione della legge e vizio di motivazione. La difesa rileva che la Corte territoriale non avrebbe tenuto in alcuna considerazione le doglianze contenute nell'atto di appello avverso la sentenza di primo grado e che il provvedimento impugnato mancherebbe di una effettiva valutazione critica delle risultanze processuali. In specifico il contenuto del verbale di sequestro sarebbe stato travisato nella parte in cui la Corte ha ritenuto che nello stesso vi fosse la prova che i prodotti erano contraffatti, mentre sugli stessi era stato effettuato esclusivamente un esame superficiale ed approssimativo da parte di un soggetto inesperto all'esito del quale non sarebbe emerso alcun elemento specifico di fatto idoneo ad indentificare la condotta posta in essere dall'imputato. 1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della condotta di contraffazione e degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 474 cod. pen. piuttosto che di un'altra alternativa ipotesi di alterazione, eventualmente grossolana. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Nel primo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente risposto alla critica articolata nel primo motivo di appello. In specifico il ricorrente si duole che la Corte non si sia correttamente confrontata con le dichiarazioni rese dal luogotenente Campo che aveva effettuato l'accertamento e, pertanto, sia addivenuta ad una dichiarazione di responsabilità in assenza di un effettivo accertamento della contraffazione dei prodotti. La doglianza, posta sia nei termini della violazione di legge che come carenza assoluta di motivazione ovvero travisamento della prova, è infondata. A fronte di quanto ribadito dal teste la borsa a vista d'occhio raffigurava il logo di Dolce e Gabana e di Prada , già indicato nel verbale di sequestro ed espressamente richiamato nella motivazione del provvedimento impugnato, infatti, deve ritenersi che ogni ulteriore accertamento circa la sussistenza della contraffazione dei prodotti non fosse in realtà necessaria Sez. 5, n. 33900 del 08/05/2018, P.M. in proc. Cortese, Rv. 273893 . Sotto tale profilo, pertanto, la motivazione della Corte territoriale, che si salda ed integra con la sentenza di primo grado, evidenzia in termini adeguati e coerenti le ragioni per le quali può ritenersi dimostrata la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 474 cod. pen. Ogni diversa ed ulteriore considerazione circa la qualificazione giuridica attribuita al fatto nello stesso verbale, infine, appare inconferente. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La semplice presenza dei tagliandi riproducenti il marchio e la presenza dei loghi riferibili alle aziende D& amp G e PRADA , è idonea a porre in pericolo la fede pubblica così come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, cui la Corte si è correttamente conformata da ultimo, Sez. 5, n. 5260 dell'11/12/2013, Faje, Rv. 258722 per il quale integra il delitto di cui all'art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l'art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell'acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio. Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno non ricorre quindi l'ipotesi del reato impossibile anche qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno. Si è anche chiarito Sez. U, n. 23427 del 09/05/2001, Ndaye, Rv. 218771 Sez. 2, n. 12452 del 04/03/2008, Rv. 239745 che il delitto di ricettazione art. 648 cod. pen. e quello di commercio di prodotti con segni falsi art. 474 cod. pen. possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.