Morto il perito, non se ne fa un altro

E’ consentita la lettura della relazione tecnica del perito deceduto ai sensi dell’art. 512 c.p.p. ma, se richiesto, non può essere negato alla parte il deposito di consulenza tecnica contraria vertente sui medesimi fatti.

Così la Cassazione, seconda sez. penale, n. 28503/2019, dep. il 1° luglio. La vicenda processuale. A seguito di decesso del perito e divenutane impossibile la ripetizione, il giudice di primo grado disponeva ai sensi dell’art. 512 c.p.p. la lettura e l’acquisizione al fascicolo dibattimentale della perizia/esame antropometrico intanto da questi depositata. Condannati per fatti di rapina, i ricorrenti deducevano l’inutilizzabilità della prova peritale ed, inoltre, il mancato esame del consulente tecnico di parte che avrebbe relazionato in maniera difforme alle risultanze del perito deceduto, in disprezzo al diritto degli imputati alla prova contraria ex art. 495, comma 2, c.p.p. La Cassazione accoglie. E’ la persona” del perito e non la consulenza che fa la perizia. Più specificamente, l’impossibilità di ripetizione ai sensi dell’art. 512 c.p.p. ha al riguardo un fatto impeditivo relativo al professionista che ha licenziato la relazione tecnica e non la particolare tipologia della verifica peritale compiuta. La deduzione sta a significare che qualsiasi evento impeditivo all’esame dibattimentale del perito – fra quelli previsti - consente il recupero della relazione tecnica ai sensi dell’art. 512 c.p.p. a prescindere dai caratteri, ripetibili o meno, dell’esame che era a questi affidato. Come scavalcare” il vizio di inutilizzabilità della prova decisiva. Il ricorrente deve poter dedurre l’inutilizzabilità della prova se assunta in difformità ai canoni di legge. Tuttavia, quando gli esiti della prova peritale o della prova tecnica risultano essere verificabili manu propria dal giudice a prescindere dall’acquisizione tecnica, ne decade il carattere essenziale ai fini del decidere. Si tratta del noto principio di resistenza applicabile anche in sede di legittimità, che si realizza quando l’ invocata inutilizzabilità della prova non incide sul convincimento giudiziale eventualmente fondato su altre fonti probatorie. In specie, i rilievi antropometrici dei colpevoli erano intuitivamente percepibili dal giudice al di là dei contenuti della relazione peritale – di fatto avendo costituito una c.d. prova atipica -. Muore il perito, non decade il diritto della parte alla prova contraria ex artt. 6, par. 3, lett. d, CEDU e 111, comma 3, della Costituzione. Il diritto alla prova contraria ex art. 495, comma 2, c.p.p. resiste all’impossibilità dell’esame della prova principale, purché la richiesta sia stata ritualmente presentata in primo grado ed il diniego alla prova contraria dedotto in secondo grado. Nel caso in cui la prova contraria fosse stata richiesta dal difensore per la prima volta in appello, avrebbe sofferto del più stretto filtro di ammissibilità ex art. 603 c.p.p. In ogni caso, stante la lettura della relazione peritale ex art. 512 c.p.p., non può essere negata alla parte la prova contraria vertente sui medesimi fatti e ad oggetto le medesime verifiche stante, ormai, l’avvenuta assimilazione operata dalla giurisprudenza della prova peritale alla c.d. prova dichiarativa. La Cassazione annulla sul punto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 maggio – 1 luglio 2019, n. 28503 Presidente Cammino – Relatore Pardo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza in data 28 novembre 2017, la corte di appello di Bologna, confermava la pronuncia del tribunale di Rimini del 20 ottobre 2011 che aveva condannato M.V. e L.G. alle pene di legge, in quanto rispettivamente ritenuti responsabili di due diversi episodi di rapina aggravata contestati ai capi b e c della rubrica e commessi ai danni di agenzie bancarie di omissis . 1.2 Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati l’avv.to Sabato Graziano per M. deduceva - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c , per omessa sottoscrizione della sentenza di primo grado da parte sia del giudice estensore che del presidente - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c , per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 359 e 512 c.p.p., poiché doveva ritenersi illegittima l’acquisizione della consulenza del PM a firma Dott. M. a seguito dell’intervenuto decesso di questi che aveva impedito la sua escussione nel contraddittorio di primo grado ed attesa la ripetibilità dell’atto trattandosi di consulenza antropometrica - mancata assunzione di prova decisiva ex art. 606 c.p.p., lett. d , e difetto di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale finalizzata all’acquisizione della consulenza di parte a firma Dott. D. , svolta successivamente al giudizio di primo grado che perveniva a conclusioni opposte rispetto alla c.t. a firma M. peraltro, la corte di appello, aveva ritenuto la c.t. della difesa erroneamente tardiva, poiché l’interesse alla c.t. di parte era sorto a solo seguito della mancata possibilità di escutere il c.t. del p.m. e tale richiesta era anche stata avanzata in sede di art. 507 c.p.p., in conclusione del giudizio di primo grado valutazione questa che violava i principi del giusto processo e della CEDU art. 6.3 e che appariva anche contraddetta dalla parte motiva in cui si valutava la stessa consulenza della difesa - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e , in relazione al difetto di motivazione riguardante la ritenuta non attendibilità della deposizione del teste G. ed in ordine alla identificazione del titolare della scheda telefonica utilizzata sul cellulare sottratto in occasione della rapina, essendovi dubbio circa la clonazione dei documenti del ricorrente per attivare l’utenza e non essendovi prova di conversazioni con soggetti del suo nucleo familiare - motivazione apparente quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche. 1.3 L’avv.to Andrea Castiglione nell’interesse del L. deduceva con unico motivo violazione dell’art. 606 lett. b , c ed e c.p.p. poiché l’affermazione di responsabilità era stata fondata esclusivamente sulle risultanze della consulenza antropometrica del Dott. M. , non escusso in contraddittorio e ciò in violazione degli artt. 512 e 526 c.p.p., benché non si trattasse di atto irripetibile con conseguente inutilizzabilità dell’atto. Considerato in diritto 2.1 Manifestamente infondato e pertanto inammissibile appare il ricorso L. . Invero, quanto all’unico motivo proposto, e con il quale si deduceva violazione di legge, violazione di norme sulla utilizzabilità degli atti e difetto di motivazione, va in primo luogo richiamato il recente orientamento giurisprudenziale di questa corte secondo cui in tema di letture dibattimentali, la morte del consulente tecnico nelle more del giudizio costituisce una circostanza imprevedibile che consente, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., l’acquisizione al fascicolo del dibattimento della sua relazione Sez. 3, n. 46080 del 20/06/2018 Rv. 274308 . Invero, l’art. 512 c.p.p., rubricato lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione , prevede che, a richiesta di parte, sia data lettura degli assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, quando, per fatti e circostanze imprevedibili, ne sia divenuta impossibile la ripetizione. E la sopravvenuta morte del dichiarante costituisce per definizione un evento tale da impedire la ripetizione del suo contributo conoscitivo, ovvero, nel caso del consulente tecnico, dell’attività compiuta nel corso del procedimento penale, per cui le doglianze difensive risultano manifestamente infondate, assumendo rilievo, ai fini dell’operatività del peculiare meccanismo acquisitivo delineato dall’art. 512 c.p.p., non tanto la tipologia dell’accertamento tecnico compiuto, cioè se ripetibile o meno, ma la provenienza dello stesso da un soggetto la cui morte preclude la possibilità di rinnovare la specifica attività tecnica compiuta nell’ambito del procedimento penale, attività i cui esiti, anche dopo l’acquisizione dell’atto in cui sono cristallizzati e al di là dell’impossibilità di interloquire con l’autore dell’accertamento svolto, ovviamente non si sottraggono al confronto con prospettazioni diverse, nell’ambito della normale dialettica dibattimentale. In ogni caso, il predetto motivo di ricorso, con il quale si lamenta inutilizzabilità della prova decisiva e vizio di motivazione non supera la c.d. prova di resistenza secondo il costante orientamento di questa Corte allorché con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta prova di resistenza , essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452 . Difatti in tema di inutilizzabilità della prova e deduzione del vizio nel giudizio di impugnazione il giudice dell’impugnazione non è tenuto a dichiarare preventivamente l’inutilizzabilità della prova contestata qualora ritenga di poterne prescindere per la decisione, ricorrendo al cosiddetto criterio di resistenza , applicabile anche nel giudizio di legittimità Sez. 2, n. 41396 del 16/09/2014, Rv. 260678 . L’applicazione del suddetto principio al caso in esame comporta proprio l’inammissibilità del ricorso del L. posto che la prova di cui il ricorrente lamenta l’inutilizzabilità non ha avuto incidenza esclusiva nel giudizio di colpevolezza, affermato concordemente dai giudici di merito sulla base della personale valutazione di identità tra il rapinatore ritratto nei fotogrammi da 1 a 6 ed i ricorrente L. . Ed il riconoscimento effettuato personalmente dal giudice di merito che procede, pur costituendo prova atipica è certamente valutazione fondamentale idonea a sostenere un giudizio di responsabilità in quanto ricollega direttamente l’imputato al fatto sulla base di una conclusione cui perviene lo stesso organo giudicante e che,ove congruamente motivato appare non sindacabile nella sede di legittimità peraltro, nel caso in esame, il giudice di appello non si è limitato ad una apodittica affermazione di coincidenza tra l’immagine fotografica del rapinatore ed il ricorrente ma ha arricchito tale valutazione con riferimento a particolari somatici del L. riscontrati anche nella persona autrice del delitto escrescenza cutanea nella guancia destra , che rendono del tutto immune da censure le conclusioni adottate. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00. 2.2 Quanto alla posizione del M. in relazione ai primi due motivi di ricorso va osservato che - l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, per omessa sottoscrizione del giudice estensore e del presidente, non risulta formulata nell’atto di appello a firma avv.to Abbenanate e non può, stante il tassativo disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3, essere per la prima volta dedotta nella presente sede di legittimità - l’eccezione di inutilizzabilità della relazione di consulenza del Dott. M. va respinta rinviandosi integralmente alle osservazioni svolte nella trattazione del ricorso L. e dovendosi richiamare il precedente di questa corte secondo cui l’intervenuto decesso del consulente del P.M. legittima l’acquisizione ex art. 512 c.p.p., della consulenza redatta dallo stesso Sez. 3, 46080/2018 cit. . 2.3 Fondato appare invece il terzo motivo, nella parte in cui lamenta omessa assunzione di prova decisiva e violazione dei principi del contraddittorio, sebbene, in tema di perizia, questa corte ha già affermato l’obbligo del rispetto dei principi del contraddittorio nella assunzione e valutazione della prova di carattere tecnico. Si è difatti stabilito che in tema di perizia il giudice, dopo l’esame del perito, è tenuto ad integrare il contraddittorio con l’esame del consulente tecnico dell’imputato qualora questi abbia assunto iniziative di sollecitazione e di contestazione rispetto all’attività peritale ed ai relativi esiti Sez. 1, n. 54492 del 05/04/2017, Rv. 271899 . Ancora al proposito va ribadito che la stessa giurisprudenza precedentemente citata,e secondo cui è legittima l’acquisizione della consulenza del P.M. a seguito del decesso del suo autore Sez. 3, n. 46080/2018 cit. ai sensi dell’art. 512 c.p.p., in motivazione espressamente richiama la necessità che tale acquisizione data l’impossibilità di interloquire con l’autore dell’accertamento svolto, non si sottrae al confronto con prospettazioni diverse, nell’ambito della normale dialettica dibattimentale richiamando quindi espressamente il diritto all’assunzione della prova contraria. Diritto alla prova contraria che, in tema di perizia e consulenza tecnica, può ritenersi indirettamente confermato dalla giurisprudenza della Sezioni Unite di questa corte che, nella recente pronuncia n. 14426/2019 non ancora massimata , hanno attribuito a detti accertamenti la natura di prova dichiarativa, con il conseguente obbligo per il giudice di appello che intenda riformare la decisione assolutoria di primo grado di procedere alla rinnovazione ex art. 603 c.p.p., comma 3 bis così che può ritenersi avere, anche le Sezioni Unite, richiamato con riferimento agli accertamenti tecnici i parametri tipici della prova dichiarativa che comprendono quale fondamento essenziale il diritto alla prova contraria declinato dall’art. 111 Cost., comma 3 abbia facoltà di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa ed altresì dall’art. 6 CEDU lett. d . Deve pertanto ritenersi che nel caso in esame vada fatta applicazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza in tema di diritto alla prova contraria e sanatoria dei vizi del giudizio di primo grado in sede di rinnovazione istruttoria in appello al proposito si è affermato che il diritto alla prova contraria - garantito all’imputato dall’art. 495 c.p.p., comma 2, in conformità all’art. 6, par. 3, lett. d della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e attualmente anche dall’art. 111 Cost., comma 3, può essere, con adeguata motivazione, denegato dal giudice solo quando le prove richieste sono manifestamente superflue o irrilevanti. Ne deriva che il giudice d’appello, cui sia dedotta la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2, deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall’art. 190 c.p.p. per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte , mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dall’art. 603 c.p.p., in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado Sez. 5, n. 26885 del 09/06/2004, Rv. 229883 . E poiché nel caso in esame al giudice di appello era stata devoluta la violazione del diritto alla prova contraria a seguito della acquisizione della consulenza antropometrica del p.m. senza possibilità di contraddittorio e rigetto dell’istanza di svolgimento di perizia. ex art. 507 c.p.p., allo stesso competeva l’obbligo di valutare tale richiesta nei termini dell’art. 190 c.p.p., e non in virtù del più ristretto parametro di cui all’art. 603 c.p.p., della indispensabilità ai fini del decidere, di cui a pagina 14 della motivazione della sentenza impugnata che appare pertanto viziata sul punto. Deve pertanto ritenersi che affermata l’acquisibilità ex art. 512 c.p.p., della consulenza del P.M. agli atti del processo a seguito dell’intervenuto decesso del consulente tecnico per sopravvenuta irripetibilità dell’atto, sussiste però il diritto dell’imputato alla acquisizione della propria consulenza di parte che abbia ad oggetto analoghi aspetti quale prova contraria. Inoltre, il terzo motivo di ricorso appare altresì fondato nella parte in cui ha criticato il giudizio di tardività formulato dal giudice di primo grado e reiterato in appello circa la richiesta di acquisizione della consulenza della difesa posto infatti che il decesso del consulente del p.m. è intervenuto prima della sua escussione ed ha determinato la legittima acquisizione della sua relazione ai sensi del citato art. 512 c.p.p., essendo l’impossibilità della sua escussione in contraddittorio sopravvenuta rispetto all’inizio del giudizio di primo grado, i giudici di merito non potevano ritenere tardiva la richiesta di audizione del proprio consulente da parte della difesa che risulta esattamente formulata dopo la conoscenza del fatto impeditivo. Alla luce delle predette considerazioni l’impugnata sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio limitatamente alla posizione del M. in sede di rinvio il giudice di appello valuterà se procedere alla acquisizione in contraddittorio della consulenza della difesa a firma Dott. D. ovvero procedere a perizia di ufficio nel contraddittorio delle parti. Assorbiti rimangono gli ulteriori motivi. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di M.V. con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile il ricorso di L.G. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.