Porto d’armi per uso sportivo: illecito l’utilizzo per scopi differenti

Costituendo l’autorizzazione a detenere armi un permesso concesso in deroga al divieto generale in materia, il porto d’armi per uso sportivo non rende legittimo l’utilizzo della stessa per finalità differenti.

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28320/19, depositata il 28 giugno. Il fatto. La Corte d’Appello di Palermo confermava la decisione del Giudice di primo grado, affermando la responsabilità penale dell’imputato per aver illegalmente portato in luogo pubblico un’arma di cui possedeva regolare autorizzazione solo per uso sportivo. Contro la suddetta decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione, richiamando, tra i motivi di ricorso, l’orientamento giurisprudenziale in base al quale l’autorizzazione al porto di fucile per l’esercizio della caccia rende legittimo il porto dell’arma anche se strumentale a scopi diversi. Il porto d’armi per uso sportivo. La Suprema Corte dichiara infondato il motivo di ricorso prospettato dal ricorrente, affermando che l’autorizzazione al porto d’armi per fini sportivi non rende legittimo il porto delle stesse per scopi differenti da quelli consentiti nel provvedimento amministrativo. Nell’affermare ciò, gli Ermellini osservano come il nostro ordinamento non riconosca quale diritto soggettivo pubblico la possibilità per il cittadino di portare un’arma fuori dalla propria abitazione, ma, al contrario, esso è in via generale vietato. In tale prospettiva, è proprio il rilascio della licenza il fatto costitutivo del diritto del titolare di portare un’arma fuori dalla sua abitazione, tenendo in considerazione che la disciplina nazionale in materia ne consente il rilascio solo per scopi di difesa personale, per il tiro a volo uso sportivo e per altre attività descritte dalla l. n. 157/1992. Dunque, essendo il divieto di detenzione delle armi la regola generale, l’autorizzazione a tal fine costituisce un permesso concesso in deroga a tale divieto, rimuovendolo solo in via di eccezione in presenza di ragioni specifiche e in assenza di rischi anche solo potenziali. Per le ragioni appena esposte, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 aprile – 28 giugno 2019, n. 28320 Presidente De Gregorio – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 02/05/2018 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla affermazione di responsabilità di B.A. , in relazione ai reati di cui all’art. 582 c.p., art. 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2, art. 585 c.p., art. 577 c.p., n. 4, capo A , L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14, art. 61 c.p., n. 1, capo B , L. n. 497 del 1974, art. 13, art. 61 c.p., n. 1 capo C , provvedendo a rideterminare la pena in senso migliorativo per l’imputato. 2. Nell’interesse di quest’ultimo è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al reato di cui al capo B , richiamando l’orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale l’autorizzazione al porto di fucile per l’esercizio della caccia rende legittimo il porto dell’arma anche se strumentale a finalità diverse, persino illecite. 2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato da una valutazione di pericolosità contraddetta sia dall’assenza di precedenti penali che aveva condotto alla riduzione della pena - sia dal fatto che la condotta del B. aveva fatto seguito, come reazione istintiva, a un pestaggio sofferto. 2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla determinazione della pena. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento di recente espresso da Sez. 1, n. 44419 del 01/10/2015 - dep. 20/10/2016, Mongiardo, Rv. 268259, secondo la quale l’autorizzazione al porto di un’arma per un uso sportivo non rende legittimo il porto della stessa ove effettuato per finalità diverse da quella consentita dal provvedimento amministrativo. Tale decisione muove dalla condivisa premessa che il nostro ordinamento non riconosce come diritto soggettivo pubblico la possibilità per il cittadino di portare un’arma da fuoco fuori dalla propria abitazione. Al contrario, il porto delle armi in difetto dello specifico provvedimento della Autorità della Pubblica Sicurezza che, ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 42, lo consenta - è in generale affatto vietato e costituisce condotta illecita. In tale prospettiva può, quindi, affermarsi che è proprio il rilascio della licenza il fatto costitutivo del diritto , per il suo titolare, di portare fuori dalla propria abitazione un’arma. La disciplina nazionale in materia di porto e trasporto di armi comuni da sparo, infatti, consente di rilasciare la licenza di porto d’arma solo per scopi di difesa personale, per il tiro a volo uso sportivo e per le altre attività previste dalla L. n. 157 del 1992. In particolare, il R.D. n. 773 del 1931, art. 42 e R.D. 6 maggio 1940, n. 635, art. 61, e segg. recante l’approvazione del regolamento per l’esecuzione del t.u.l.p.s. disciplinano la licenza di porto d’armi per esigenze di difesa personale la L. 25 marzo 1986, n. 85, recante norme in materia di armi per uso sportivo, regolamenta l’uso di armi per tale finalità infine, è la L. 11 febbraio 1992, n. 157 disciplina la licenza di porto d’arma per uso di caccia. Il rigore e il significato di siffatta regolamentazione sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza amministrativa. Come anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato Cons. Stato, sez. 3, 22/08/2018, n. 5015 , in coerenza con la propria costante giurisprudenza, la regola generale è il divieto di detenzione delle armi pertanto, l’autorizzazione a detenere armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, ma assume contenuto di permesso concessorio in deroga al divieto di portare armi sancito dall’art. 699 c.p. e dalla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, comma 1, cui si possono aggiungere la L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14 . Da tali premesse discende che la cd. autorizzazione di polizia rimuove, solo in via di eccezione, tale divieto in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire e che spetta al prudente apprezzamento di detta Autorità di pubblica sicurezza l’individuazione della soglia di emersione delle ragioni impeditive della detenzione degli strumenti di offesa. Pertanto, l’affermazione secondo cui sarebbero penalmente irrilevanti le finalità per le quali il titolare della licenza porta l’arma fuori dalla propria abitazione v., per tale considerazione Sez. 3, n. 14749 del 20/01/2016, Mereu, Rv. 266391 Sez. 1, n. 8838 del 08/01/2010, Curridori, Rv. 246379 Sez. 1, n. 19771 del 24/04/2008, Franchina, Rv. 240376 non è condivisibile, in quanto non si tratta di dare rilievo alle motivazioni interiori dell’autore della condotta, ma di valutare se quest’ultima sia o non consentita dal provvedimento concessorio che la permette. In difetto di siffatta corrispondenza, il porto d’armi deve ritenersi, in conformità alla indicata regola generale, vietato. 2. Il secondo motivo è inammissibile. La motivazione della Corte d’appello non è fondata sulla pericolosità dell’imputato, ma sull’assenza di elementi positivamente valutabili, in relazione alle modalità della condotta, razionalmente giudicata come grave. L’assenza di precedenti ha svolto un ruolo come elemento di mitigazione della pena e, a tali effetti, è stato preso in esame nella sua efficacia di ridimensionamento del complessivo disvalore di un fatto, si ripete considerato dai giudici di merito come grave. 3. Inammissibile è anche il terzo motivo, dal momento che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142 , ciò che - nel caso di specie - non ricorre. 4. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.