I “reati formali” scavalcano il limite della responsabilità oggettiva

Non c’era alcuna assunzione irregolare. Condannato comunque l'imprenditore per aver violato l’ordine di sospensione dell’attività imprenditoriale dovuto alla presenza di lavoratore in nero”.

Il reato di inottemperanza al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale adottato dall’organo di vigilanza in materia di lavoro, previsto dall’art. 14, comma 10, d.lgs. 81/2008 non sussiste solo laddove il giudice ravvisi profili di illegittimità formale o sostanziale del provvedimento contestato come violato. Il fatto storico. In esito ad ispezione effettuata dell’ispettorato del lavoro veniva verificato l’impiego di un lavoratore privo di permesso di soggiorno e non regolarmente assunto. Nei confronti dell’impresa veniva adottato provvedimento di sospensione dall’attività ex art. 14, comma 1, d.lgs. n. 81/2008. Avverso detto provvedimento l’imprenditore non proponeva ricorso e non ottemperava alle prescrizioni, finendo col violare il comma 1 della disposizione. L’imprenditore però veniva assolto dall’imputazione mossa suo carico ex art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286/88 con formula di insussistenza del fatto. Sulla scorta di detta assoluzione il difensore proponeva ricorso avverso la sentenza di condanna inflitta per la violazione del disposto dell’art. 14, comma 1 e 10, d.lgs. n. 81/2008 rilevando come l’assoluzione dal reato previsto e punto dall’art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286/88 fosse da considerarsi quale fatto giuridico capace di travolgere le ragioni stesse dell’emissione del provvedimento di sospensione dall’attività di impresa. Travolte le ragioni che sostenevano l’adozione del provvedimento non v’era ragione di ritenere che il ricorrente lo avesse violato e, conseguentemente l’imputato doveva essere mandato assolto dal fatto reato ascritto. L’inesistenza della violazione contestata ab origine , ovvero di aver impiegato manodopera non regolarmente assunta, secondo il difensore, avrebbe dovuto travolgere ogni atto successivamente posto in essere dalla p.a. e conseguentemente eliminarne ogni effetto. La risposta della Corte prologo doveroso. Non so quanto questo possa far piacere od interessare al Collega difensore ma leggere quanto la Corte ha scritto in apertura della parte motiva costituisce per me un grandissimo complimento. Sentirsi dire, apertis verbis che il ricorso è suggestivo è per un avvocato il massimo. Suggestivo, ovvero capace di suggerire spunti interessanti di riflessione. Avessi fatto io il ricorso inquadrerei la sentenza custodendola sull’altare dedicato agli dei mani. I reati formali. La Corte identifica la violazione dell’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 quale reato formale ovvero reato privo di evento in senso naturalistico. Vi sarebbe da chiedersi se la riconduzione della fattispecie astratta a tale tipologia di reato si corretta posto che la non sospensione dell’attività è produttrice di evento naturalistico dal momento che nella realtà fenomenologicamente intesa interviene l’esercizio di un’attività atta a modificarla che non avrebbe dovuto aver luogo. Ma tant’è la qualificazione della fattispecie, da cui fieramente dissento, sembra più utile a sostenere la tesi propugnata che a dar corso ad opere di tassonomia. L’interpretazione costituzionalmente orientata. Gli Ermellini fanno riferimento ad una interpretazione del diritto penale che non solo mi è assai cara ma mi pare sia l’unica possibile ed immaginabile in un sistema che voglia dirsi di diritto, ovvero all’interpretazione della norma Costituzionalmente orientata. Detta interpretazione, come è noto, fa perno sul principio di offensività, ovvero sulla capacità concreta che l’azione, o l’omissione, posta in essere dall’agente di aggredire o porre a rischio il bene dotato di protezione da parte dell’ordinamento. Bene che naturalmente si trova ed interagisce in rapporto ad altri beni e che con essi deve essere posto a confronto utilizzando, ai fini di determinare la gerarchia una scala” di valori da determinarsi ai sensi di quelli declamati e declinati dalla Costituzione. Dunque in senso discendente, diritti inviolabili dell’uomo, eguaglianza, libertà intesa in tutte le sue forme , fino a giungere a quelli oggetto di concreto contrasto nel caso di specie, ovvero libera iniziativa art. 41 Cost. e sicurezza e tutela del lavoro art. 35 Cost. . Il semplice criterio ordinatorio fa comprendere come in una Repubblica democratica fondata sul lavoro il bene lavoro, sub specie inteso nell’accezione di sicurezza e tutela del lavoro, sia prevalente rispetto al bene iniziativa economica privata. In virtù di detta osservazione la Corte osserva come del tutto legittimo sia il provvedimento di sospensione disposto ex art. 14 d.lgs. n. 81/2008, avverso cui peraltro è prevista la possibile di formare ricorso con obbligo di pronuncia sul medesimo da parte della p.a. da intervenirsi nel termine di 15 dalla formulazione dello stesso, pena la perdita di efficacia del provvedimento stesso. Ma, a ben vedere, utilizzando il gergo di un notissimo ex magistrato che c’azzecca?” Il punto nodale del ricorso formato era un altro. Ovvero l’inesistenza, accertata attraverso una pronuncia giudiziale del presupposto su cui si fondava l’emissione del provvedimento di sospensione. Il sindacato di legittimità del giudice penale sugli atti amministrativi. Gli Ermellini ricordano come da tempo la giurisprudenza abbia affermato il diritto del giudice di penale di sindacare la legittimità dell’atto amministrativo che costituisce elemento di fattispecie non soltanto quando tale potere trovi fondamento e giustificazione in un’esplicita previsione legislativa, ma anche quando l’interpretazione finalistica della norma penale conduca a ritenere che la legittimità dell’atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale del reato cfr. Sez. U. n. del 31.01.1987 . Partendo da questo presupposto la Corte afferma come il sindacato di legittimità sia limitato ai profili di legalità sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato, sotto i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell’eccesso di potere e della incompetenza. Giungendo ad affermare il principio secondo cui il reato di inottemperanza al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale adottato dall’organo di vigilanza in materia di lavoro, previsto dall’art. 14, comma 10, d.lgs. n. 81/2008, non sussiste laddove il giudice ravvisi profili di illegittimità formale o sostanziale del provvedimento contestato come violato . E quindi? Quindi. Nel caso di specie non sussistevano profili di illegittimità formale o sostanziale del provvedimento emesso ex art. 14, comma 10, d.lgs. n. 81/2008, semplicemente esso si fondava su di un presupposto che si era rivelato inesistente. Può dirsi che un atto amministrativo che si fondi su di un presupposto dichiarato inesistente sia capace di generare sanzione penale? Per gli Ermellini sì. In conclusione aveva ragione Godel non Goebbels gli alti richiami a principi fondamentali del nostro sistema democratico, da cui deve necessariamente trarre linfa e ragione il sistema giuridico, non paiono essere in grado di giustificare la soluzione adottata che vede condannato l’imputato per un fatto reato che è scollegato, quanto al suo fondamento, da qualsivoglia violazione di norma o legge. Per dirla con l’insigne matematico Godel la coerenza del sistema non è dimostrabile con il linguaggio del sistema stesso .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 aprile – 20 giugno 2019, n. 27534 Presidente Liberati – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26 settembre 2018, il Tribunale di Firenze ha condannato l’odierno ricorrente alla pena di 6.400 Euro di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 14, commi 1 e 10, per non aver ottemperato all’ordine di sospensione dell’attività d’impresa emesso dall’organo di vigilanza a seguito di accertamento di impiego di personale irregolare in misura superiore al 20%. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo violazione di legge in relazione al favor rei, per non aver il giudice tenuto conto che con riguardo alla pretesa, irregolare, assunzione che aveva dato origine al provvedimento di sospensione dell’attività, in separato procedimento penale l’imputato era stato assolto perché il fatto non sussiste dal reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. art. 22, comma 12, L’assoluzione per il reato presupposto - osserva il ricorrente - avrebbe dovuto comportare l’assoluzione anche per il reato susseguente . Considerato in diritto 1. Il ricorso - pur suggestivo - non è fondato. In fatto è pacifico che in data 5 dicembre 2014 l’Ispettorato del lavoro effettuò un ordinario controllo presso l’hotel omissis e sorprese al lavoro, intento a riparare una presa elettrica, il sig. E.V. , cittadino albanese privo del permesso di soggiorno e non regolarmente assunto dalla società che gestiva l’albergo, la C.R. Srl, amministrata dal ricorrente. Essendo stato il predetto ritenuto lavoratore dipendente, poiché la sua irregolare assunzione determinava il superamento del limite del 20% rispetto al numero dei lavoratori regolarmente assunti, a norma del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 1, il successivo 9 dicembre 2014 l’Ispettorato adottò il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale. È altrettanto pacifico che la società amministrata dall’imputato non si avvalse della possibilità - prevista dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 9, - di proporre ricorso avverso detto provvedimento, e tuttavia non vi ottemperò. Di qui la ritenuta responsabilità per il contestato reato di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 10. 2. Ciò premesso, osserva il Collegio che - diversamente da quanto argomenta il ricorrente - la successiva assoluzione dell’imputato, con la formula perché il fatto non sussiste, dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, con riguardo all’assunzione del lavoratore straniero, privo di permesso di soggiorno, E.V. non esclude la sussistenza del reato qui sub iudice, perfezionatosi sin dal momento in cui l’imputato non ha ottemperato al provvedimento di sospensione dell’attività nei suoi confronti adottato. La fattispecie incriminatrice in parola, invero, è reato formale che si consuma, con condotta permanente, nel momento e per tutto il tempo in cui l’imprenditore non ottempera al provvedimento impartito dall’autorità di vigilanza. La tutela penale finalizzata a garantire l’osservanza del provvedimento amministrativo in parola si giustifica rispetto all’importanza dei beni protetti dalla disposizione incriminatrice, vale a dire - come agevolmente si ricava dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 1, - il contrasto al lavoro irregolare e la tutela e sicurezza dei lavoratori, oggetto di particolare protezione nella Carta costituzionale art. 35 Cost. e ss. . Va al riguardo osservato che l’art. 41 Cost., pur affermando la libertà dell’iniziativa economica privata comma 1 , sancisce che essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana comma 2 . La disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, realizza un equilibrato contemperamento tra gli opposti beni costituzionalmente protetti, poiché - pur prevedendo l’immediata efficacia del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale adottato dagli organi di vigilanza laddove siano accertate le violazioni alla normativa sul lavoro prese in considerazione - consente il ricorso amministrativo e prevede che se la decisione non interviene entro 15 giorni il provvedimento di sospensione perda efficacia D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 9 . 3. Anche al di là e prima della possibilità di ricorrere avverso il provvedimento amministrativo, la necessità di interpretare le norme penali in funzione dei beni protetti e nell’ottica del principio di necessaria offensività - la cui attuazione va particolarmente considerata laddove, come nel caso di specie, si tratti di reati formali - consente tuttavia di escludere la sussistenza del reato se l’inottemperanza abbia riguardato un provvedimento amministrativo illegittimo. Benché il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 10, - a differenza di analoghe fattispecie incriminatrici che hanno per presupposto l’inosservanza di provvedimenti amministrativi si pensi all’art. 650 c.p. - non preveda espressamente che il reato sussista soltanto laddove il provvedimento sia legalmente dato, da tempo la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il giudice penale abbia il potere di sindacare la legittimità dell’atto amministrativo che costituisce elemento di fattispecie non soltanto quando tale potere trovi fondamento e giustificazione in un’esplicita previsione legislativa, ma anche quando l’interpretazione finalistica della norma penale conduca a ritenere che la legittimità dell’atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa cfr. Sez. U, n. 3 del 31/01/1987, Giordano, Rv. 176304 . Nella nota decisione appena richiamata - relativa alla discussa possibilità di sindacare la legittimità della concessione edilizia rilasciata, per ritenere la sussistenza del reato di costruzione sine titulo - le Sezioni unite chiarirono che nel caso in cui non si tratti di provvedimento amministrativo che comporta la lesione dei diritti soggettivi, ma, per contro, di atto che rimuove un ostacolo al loro libero esercizio, come le autorizzazioni ed i nulla-osta, non può farsi richiamo al generale potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo previsto, soltanto nel primo caso, dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E . Laddove il provvedimento abbia invece gli effetti di restringere e limitare i diritti soggettivi - e tale è il caso della sospensione di un’attività imprenditoriale adottata dall’organo di vigilanza sul lavoro per ritenute infrazioni alla relativa normativa - non v’è ragione di escludere che anche il giudice penale possa disapplicare l’atto amministrativo illegittimo, conseguentemente negando la sussistenza del reato previsto per sua inottemperanza. Quand’anche, poi, non si volessero richiamare le citate disposizioni della risalente legge abolitrice del contenzioso amministrativo, l’interpretazione finalistica, e costituzionalmente orientata, delle norme penali porterebbe certamente a questo risultato. Si tratta, del resto, di principi non di rado affermati da questa Corte in casi analoghi si pensi alla disapplicazione del provvedimento illegittimo nel reato di violazione del foglio di via obbligatorio oggi previsto dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 2, Sez. F, n. 54155 del 27/07/2018, Caparelli, Rv. 274649 Sez. 1, Sentenza n. 41738 del 16/09/2014, Ripa, Rv. 260515 Sez. 1, n. 4426 del 05/12/2013, dep. 2014, Tabacu, Rv. 259015 , ovvero alla disapplicazione del provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato quanto al reato previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, Sez. 1, n. 28849 del 11/06/2009, Makdad, Rv. 244296 . In questi casi, al pari di quanto avviene per la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., il sindacato del giudice penale è tuttavia rigorosamente limitato ai profili di legalità sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato, sotto i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell’eccesso di potere e della incompetenza Sez. 1, n. 54841 del 17/01/2018, Sciara, Rv. 274555 Sez. 1, n. 555 del 16/11/2010, dep. 2011, Filogamo, Rv. 249430 . Deve, pertanto, affermarsi il principio secondo cui il reato di inottemperanza al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale adottato dall’organo di vigilanza in materia di lavoro, previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 10, non sussiste laddove il giudice ravvisi profili di illegittimità formale o sostanziale del provvedimento contestato come violato. 4. Ciò osservato, rileva il Collegio come il ricorrente non abbia tuttavia denunciato alcun profilo di illegittimità del provvedimento di sospensione adottato dall’organo di vigilanza, peraltro neppure fatto oggetto di ricorso in via amministrativa, limitandosi a valorizzare la circostanza che l’imputato era stato assolto dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, per non essere stata riconosciuta la sussistenza del rapporto di lavoro irregolare. Il diverso giudizio di merito dato sul punto all’esito del procedimento penale - le cui specifiche ragioni il Collegio ignora, potendo lo stesso essere stato adottato sulla scorta di elementi di prova che non erano stati nell’immediatezza sottoposti all’attenzione dell’organo di vigilanza, né erano da questo conoscibili, ovvero per ragioni processuali tipiche del processo penale si pensi alla regola di giudizio di cui all’art. 530 c.p.p., comma 2 - non vale, ovviamente, a dimostrare che il provvedimento di sospensione fosse viziato da illegittimità, né, comunque, il ricorrente ha specificamente affrontato questo profilo o ha allegato di averlo sottoposto al giudice di merito senza ottenere dal medesimo risposta. Questo, ad avviso del Collegio, era invece il punto che, nell’ottica difensiva, doveva essere sviscerato, non essendo, per contro, conforme alle esigenze di tutela sottese alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 10, escludere la sussistenza del reato sulla base di una valutazione sul merito del provvedimento amministrativo - peraltro effettuata ex post, magari in base ad elementi che l’organo di vigilanza non poteva conoscere - quale vorrebbe qui sostenere il ricorrente. Il ricorso dev’essere pertanto rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.