Illecita concorrenza con minaccia o violenza: concerne solo le condotte illecite tipiche?

Rimessa alle Sezioni Unite la questione riguardante se ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 513-bis c.p., è necessaria una illecita condotta concorrenziale tipica, commessa con violenza o minaccia, ovvero è sufficiente il compimento di atti intimidatori con le stesse modalità e finalizzati a minare la libera concorrenza.

Questa la decisione della Corte di Cassazione n. 26870/19, depositata il 18 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello di Napoli confermava la pronuncia emessa dal Tribunale, che condannava due imputati per il reato di cui all’art. 513- bis c.p., avendo essi compiuto, in concorso tra loro, atti di illecita concorrenza con minaccia e violenza. Avverso la suddetta decisione, i due imputati propongono ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione della norma citata in relazione alla fattispecie concreta, poiché l’art. 513- bis punirebbe solamente le condotte tipicamente concorrenziali. Il reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza. La Suprema Corte osserva come la questione posta dai ricorrenti sia ancora oggi oggetto di un contrasto giurisprudenziale riguardante il confine della fattispecie delineata dall’art. 513- bis c.p. e, nello specifico, se la norma abbracci solamente le condotte tipiche concorrenziali poste con violenza o minaccia ovvero comprenda anche gli atti intimidatori idonei ad impedire al concorrente di autodeterminarsi nell’esercizio della sua attività professionale. In particolare, si contrappongono due orientamenti giurisprudenziali in base al primo, l’elemento oggettivo del reato sarebbe costituito dalla repressione delle sole condotte illecite tipicamente concorrenziali realizzate con minaccia e violenza, concernendo condotte concorrenziali ritenute illecite dal punto di vista civilistico e perseguendo lo scopo di tutelare la libera concorrenza. Il secondo orientamento, invece, individua la fattispecie contemplata dalla norma in oggetto in tutti quei comportamenti attivi” e impeditivi” della concorrenza altrui commessi con minaccia e violenza, quando essi siano idonei a falsare la concorrenza e a far acquisire all’agente una posizione di vantaggio illegittima sul libero mercato, ivi rientrando, dunque, tutti gli atti intimidatori a ciò finalizzati. Dopo aver illustrato le differenti posizioni sul tema, la Corte di Cassazione decide di rimettere la questione alle Sezioni Unite, al fine di dirimere il suddetto contrasto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 19 aprile – 18 giugno 2019, n. 26870 Presidente Andreazza – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza resa dal Tribunale di Nola e appellata dagli imputati, che aveva condannato G.D. e G.C. alla pena di giustizia, perché ritenuti responsabili dei delitti di cui agli artt. 110 e 513-bis c.p. capo A e artt. 110 e 582 c.p., art. 585 c.p., comma 1, art. 576 c.p., comma 1, capo B . Agli imputati è contestato, in concorso tra loro, di aver compiuto atti di illecita concorrenza con minaccia e violenza, consistite, rispettivamente, nel pronunciare la frase sei venuto a lavorare nella nostra zona, allontanati subito da qui e non far più ritorno a Pomigliano D’Arco per lavori di spurgo , e nel colpire con calci e pugni, da cui erano derivate lesioni giudicate guaribili in tre giorni, B.G. , dipendente della ditta individuale T. , la quale forniva lavori di spurgo nel medesimo ambito territoriale per il quale gli imputati, operanti nel medesimo settore, rivendicavano l’esclusiva. 2. Avverso l’indicata sentenza, gli imputati, per il tramite del comune difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione articolato in due motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e e in relazione all’omessa valutazione del teste M. nonché alla ritenuta credibilità della persona offesa e dei testimoni. Assumono i ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare la deposizione del teste M.N. , il quale, come si desume dalle dichiarazioni rese da costui e riportate per ampi stralci nel ricorso, ha fornito una versione dell’accaduto radicalmente diversa da quella riferita dalla persona offesa, accreditando la ricostruzione del fatto operata dagli imputati. Sotto altro profilo, la testimonianza dei teste C. , genero della persona offesa, sarebbe caratterizzata da incoerenza e inverosimiglianza, non avendo costui saputo indicare nè il nome del committente del lavoro che stava effettuando, nè dove fosse ubicato l’appartamento oggetto dei lavori aggiungono, infine, i ricorrenti che, in fase di indagini, il p.m. ha cercato conferme in ordine alla presenza in loco del C. , il cui datore di lavoro, all’uopo interpellato dai carabinieri, si è però rifiutato di rendere dichiarazioni. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e in relazione al’art. 513-bis c.p Ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato la fattispecie in esame, la quale punirebbe solo le condotte tipicamente concorrenziali come il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare attuate con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, con esclusione, quindi, degli atti intimidatori finalizzati a contrastare od ostacolare l’altrui libera concorrenza. Diversamente da quanto ritenuto dai giudici d merito, la fattispecie in esame, come ritenuto da un orientamento della giurisprudenza di legittimità puntualmente indicato, non sarebbe perciò applicabile agli atti, come quelli in contestazione, di violenza e minaccia, in relazione ai quali la limitazione della concorrenza è solo la mira teleologica dell’agente. In subordine, si chiede che la questione sia rimessa al vaglio delle Sezioni Unite. Considerato in diritto 1. Quanto al secondo motivo di ricorso, la cui valutazione appare preliminare, si osserva che, in seno alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, è da tempo radicato un contrasto segnalato da ben tre relazioni dell’ufficio del Massimario , tuttora perdurante, concernente il perimetro applicativo della fattispecie contemplata dall’art. 513-bis c.p. se, cioè, essa intenda reprimere solamente le condotte tipicamente concorrenziali, come definite dall’art. 2598 c.c., poste in essere con violenza o minaccia nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero se essa abbracci anche gli atti intimidatori comunque idonei ad impedire al concorrente di autodeterminarsi nell’esercizio della propria attività imprenditoriale. 2. Secondo un primo indirizzo, più aderente a la lettera della norma, l’elemento oggettivo del reato de quo consiste nella repressione delle sole condotte illecite tipicamente concorrenziali e competitive quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare, ecc. realizzate con atti di violenza o minaccia che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, non rientrando, invece, nella fattispecie astratta quelle condotte intimidatorie finalizzate ad ostacolare e contrastare l’altrui libera concorrenza e però poste al di fuori dell’attività concorrenziale - quali i casi di diretta aggressione ai beni dell’imprenditore concorrente o della sua persona -, ferma restando l’applicabilità, in casi del genere, di altre fattispecie di reato Sez. 2 n. 49365 del 08/11/2016, Prezioso, Rv. 268515 Sez. 6 n. 44698 del 22/09/2015, Cannizzaro, Rv. 265358 Sez. 2 n. 9753 del 10/02/2015, Amadorc, R?. 263299 Sez. 2 n. 29009 del 27/05/2014, Ciliberti, Rv. 260039 Sez. 3 n. 16195 del 06/03/2013, Fammilume, Rv. 255398 Sez. 1 n. 6541 del 02/02/2012, Aquino, Rv. 252435 Sez. 1 n. 9750 del 03/02,12010, P.G. in proc. Bongiorno, Rv. 246515 Sez. 2 n. 35611 del 27/06/2007, Tarantino, Rv. 237801 Sez. 3 n. 46756 del 03/11/2005, Mannone, Rv. 232650 . Secondo questo orientamento, la ratio della norma consiste nella tutela della libera concorrenza, di talché, ai fini dell’integrazione de reato, si ritengono atti di concorrenza soltanto quelle condotte concorrenziali ritenute illecite sotto il profilo civilistico, che siano realizzate con metodi di coartazione volti ad ostacolare la normale dinamica imprenditoriale. Ne segue che i principi di legalità e di tassatività ostano a una diversa interpretazione della norma in questione, in quanto, ai fini della ricostruzione del fatto, non può eliminarsi dall’elemento oggettivo dell’incriminazione il nucleo fondamentale, ossia la realizzazione di un atto di concorrenza, che, evidentemente, non è ravvisabile negli atti di intimidazione in quanto tali. L’art. 513-bis c.p., quindi, non è applicabile ad atti di violenza e minaccia, in relazione ai quali la limitazione della concorrenza è solo la mira teleologica dell’agente Sez. 3 n. 46756 del 03/11/2005, cit. . 3. Secondo un diverso orientamento, il delitto previsto dall’art. 513-bis c.p. è configurabile ogni qualvolta sia realizzato un comportamento che, attraverso l’uso strumentale della violenza o della minaccia, sia idoneo ad impedire al concorrente di autodeterminarsi dell’esercizio della sua attività commerciale, industriale o comunque produttiva. Si argomenta che, ai fini della configurazione del delitto in esame, sono da qualificare atti di concorrenza illecita tutti quei comportamenti sia attivi che impeditivi dell’altrui concorrenza, che, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia, seno idonei a falsare il mercato e a consentirgli di acquisire, in danno dell’imprenditore minacciato, illegittime posizioni di vantaggio sul libero mercato, senza alcun merito derivante dalla propria capacità operativa Sez. 2, n. 18122 del 13/04/2016 - dep. 02/05/2016, P.M. in proc. Gencarelli, Rv. 266847 Sez. 3, n. 3868 del 10/12/2015 - dep. 29/01/2016, Inguì ed altro, Rv. 266180 . Una conclusione dei genere fa leva, per un verso, sulla voluntas legislatoris, che, con la fattispecie di cui all’art. 513-bis c.p., introdotta dalla L. 13 settembre 1982, n. 646, art. 8, ha inteso reprimere forme di intimidazione che, nello specifico ambiente dalla criminalità organizzata, specie di stampo mafioso, tendono a controllare e/o a condizionare le attività commerciali e produttive, sebbene - si precisa - il riferimento alle condotte tipiche della criminalità organizzata intende non già dimensionare l’ambito di applicabilità della norma restringendolo, appunto, unicamente alle operazioni di criminalità organizzata , ma solamente caratterizzare i comportamenti punibili con il ricorso a un significativo parallelismo così già Sez. 3, n. 450 del 15/02/1995 - dep. 24/03/1995, Tamborrini, Rv. 201578 per altro verso, sul tenore dell’art. 2598 c.c., che, mentre ai numeri 1 e 2 prevede i casi tipici di concorrenza sleale parassitaria, ovvero attiva, al n. 3 contempla una norma di chiusura, secondo cui sono atti di concorrenza sleale tutti i comportamenti contrari ai principi della correttezza professionale idonei a danneggiare l’altrui azienda. Di conseguenza, rientrano nella fattispecie in esame non scio le condotte tipicamente concorrenziali, ma anche tutti quegli atti intimidatori che siano finalizzati a contrastare o ad ostacolare l’altrui libertà di concorrenza Sez. 6 n. 50084 del 12/07/2018, Terracciano, Rv. 274288 Sez. 6 n. 38551 del 05/06/2018, D., Rv. 274101 Sez. 2 n. 30406 del 19/06/2018, P.M. in proc. Sergi, Rv. 273374 Sez. 2 n. 9513 del 18/01/2018, letto, Rv. 272371 Sez. 2 n. 18122 del 13/04/2016, P.M. in proc. Gencarelli, Rv. 266847 Sez. 6 n. 24741 del 05/05/2015, P.M. in proc. Iacopino Rv. 265603 Sez. 3 n. 3868 del 10/12/2015, Inguì, Rv. 266180 Sez. 2 n. 15781 del 26/03/2015, Arricchiello, Rv. 263530 Sez. 3 n. 44169 del 22/10/2008, Di Nuzzo, Rv. 241683 Sez. 2 n. 13691 del 15/03/2005, De Noia Mecenero Rv. 231129 . 4. Per dirimere l’indicato contrasto, alle Sezioni Unite, pertanto, va rimessa la questione se, ai fini della configurabilità del reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza, sia necessario il compimento di condotte illecite tipicamente concorrenziali o, invece, sia sufficiente il compimento di atti di violenza o minaccia in relazione ai quali la limitazione della concorrenza sia solo la mira teleologica dell’agente . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.