Se il certificato medico si limita a prescrivere una prognosi di 6 giorni, l’impedimento del difensore non è legittimo

È legittimo il provvedimento con cui il giudice del merito rigetti l’istanza di rinvio dell’udienza, per impedimento del difensore ad essere presente, documentata da un certificato medico che si limiti ad attestare la patologia sofferta e ad indicare una prognosi di alcuni giorni senza però precisare il grado di intensità di tale patologia e la sua attitudine a determinare l’impossibilità del difensore a lasciare la propria abitazione.

Sul punto torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 26046/19, depositata il 12 giugno, chiamata ad intervenire all’interno del giudizio avverso la decisione assunta in secondo grado con cui veniva respinta l’istanza di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento proposta dal difensore di fiducia, considerata immotivata e lesiva del diritto di difesa dell’imputato. In particolare tale impedimento era stato giustificato con un certificato di malattia che prescriveva solamente 6 giorni di riposo assoluto e terapia medica, senza precisare il grado di intensità dell’infermità diagnosticata e la sua assoluta attitudine a determinare l’impossibilità assoluta a partecipare all’udienza. Quando l’impedimento è legittimo? Al riguardo, la giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte chiarito che il giudice del merito può considerare l’insussistenza dell’impedimento a comparire dell’imputato, dedotto con allegazione del certificato medico, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza idonee a valutare l’impossibilità del soggetto portatore della patologia indicata di essere presente in udienza, se non a prezzo di un grave rischio per la propria salute. Richiamando, infatti, un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, è legittimo il provvedimento con cu il giudice del merito rigetti l’istanza di rinvio dell’udienza, per impedimento del difensore ad essere presente, documentata da un allegato certificato medico che si limiti ad attestare la patologia sofferta e ad indicare una prognosi di alcuni giorni senza però precisare il grado di intensità di tale patologia e la sua attitudine a determinare l’impossibilità a lasciare la propria abitazione. Si tratta, infatti, di elementi fondamentali per valutare la gravità e fondatezza dell’impedimento, che non si riscontrano qualora si tratti di una diagnosi e di una prognosi che denotino l’insussistenza di una condizione tale da comportare l’impossibilità di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave rischio per la propria salute. Per tale motivo il motivo di ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 febbraio – 12 giugno 2019, n. 26046 Presidente Vessichelli – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 05.02.2018 la Corte di Appello di Messina ha confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato F.E. responsabile del reato di cui all’art. 495 c.p., per aver dichiarato falsamente al notaio S.S. , nell’atto di assegnazione della proprietà superficiaria dell’alloggio della Cooperativa edilizia Eldorado società cooperativa edilizia , di essere legalmente separato, quando in realtà tale status era stato superato dalla riconciliazione avvenuta nell’anno 2006. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di F.E. , Avv. Gian Ettore Gassani, deducendo tre motivi di ricorso. 2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 495 c.p. e art. 157 c.c. i giudici di merito avrebbero erroneamente valutato la norma extra penale, ritenendo che la mera ripresa della convivenza costituisca elemento sufficiente a far venir meno gli effetti giuridici, tra le parti e verso i terzi, della separazione omologata la convivenza, ripresa tra il 2006 ed il 2010, era una mera coabitazione estemporanea, insuscettibile di eliminare gli effetti della omologazione della separazione. 2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 47 c.p. essendo la dichiarazione del F. al notaio antecedente alla presentazione del ricorso per separazione giudiziale da parte del difensore, verrebbe meno, sul piano dell’elemento psicologico del reato, la volontà e consapevolezza dell’imputato di dichiarare il falso sul proprio status al fine di ottenere vantaggi dall’assegnazione dell’immobile. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 24 Cost. e art. 420 ter c.p.p. la decisione della Corte Territoriale di respingere l’istanza di rinvio dell’udienza del 5.2.2018 per legittimo impedimento proposta dall’unico difensore di fiducia del F. risulterebbe, oltre che immotivata, lesiva del diritto di difesa dell’imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel suo complesso infondato. 2. Preliminarmente va osservato, quanto al terzo motivo concernente il legittimo impedimento dedotto dal difensore, che l’ordinanza con cui la Corte di Appello ha rigettato la richiesta di rinvio appare immune da censure, avendo ritenuto insussistente l’assoluto impedimento a comparire al riguardo, il certificato medico trasmesso alla Corte territoriale, diagnosticando una lombosciatalgia bilaterale con risentimento deambulatorio limitativo , prescriveva, in data 2.2.2018, sei giorni di riposo assoluto e terapia medica. Il certificato medico, dunque, lungi dall’attestare un impedimento assoluto, si è limitato a prescrivere un periodo di riposo, senza precisare il grado di intensità dell’infermità diagnosticata e la sua attitudine a determinare l’assoluta impossibilità di lasciare l’abitazione e di partecipare all’udienza fissata per il 5.2.2018, tre giorni dopo il rilascio dell’attestazione medica, allorquando le condizioni fisiche potevano essere migliorate anche in virtù della terapia farmacologica prescritta. In tal senso, la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che il giudice di merito può ritenere l’insussistenza dell’impedimento a comparire dell’imputato, dedotto mediante l’allegazione di certificato medico, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza idonee a valutare l’impossibilità del soggetto portatore della prospettata patologia di essere presente in giudizio, se non a prezzo di un grave e non evitabile rischio per la propria salute Sez. 5, n. 44369 del 29/04/2015, Romano, Rv. 265819, in una fattispecie, analoga al caso in esame, in cui è stata ritenuta corretta la decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza dell’impedimento a comparire dell’imputata, che aveva addotto di essere affetta da lombosciatalgia , evidenziando che tale patologia non costituisce un impedimento assoluto a comparire, in quanto fronteggiabile con medicinali e non ostativa al trasporto con mezzi adeguati, oltre che non idonea a determinare una incapacità di stare in giudizio ex art. 70 c.p.p. nel medesimo senso, Sez. 5, n. 3558 del 19/11/2014, dep. 2015, Margherita, Rv. 262846 È legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetti l’istanza di rinvio dell’udienza, per impedimento del difensore a comparire, documentata da un certificato medico che si limiti ad attestare un’infermità con stato febbrile nella specie virosi respiratoria e ad indicare una prognosi di quattro giorni senza precisare il grado di intensità di tale stato e la sua attitudine a determinare l’impossibilità a lasciare l’abitazione, trattandosi di elementi essenziali per la valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell’impedimento, non riscontrabili laddove si tratti di una diagnosi e di una prognosi che, secondo nozioni di comune esperienza, denotino l’insussistenza di una condizione tale da comportare l’impossibilità di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute . Analogamente, Ndr testo originale non comprensibile , Rv. 260814. 3. I primi due motivi di ricorso, che meritano una valutazione congiunta, sono infondati. Secondo la ricostruzione dei fatti accertata dalle sentenze di merito, in data 28.10.2011 l’imputato, dinanzi al notaio, ha dichiarato di essere legalmente separato in virtù del provvedimento di omologazione del Tribunale di Barcellona P.G. del 13.2.2003, al fine di ottenere l’assegnazione della proprietà superficiaria dell’alloggio della cooperativa edilizia Eldorado la separazione legale aveva tuttavia perso efficacia nel 2006, allorquando vi era stata una riconciliazione tra i coniugi, che avevano ripreso la convivenza e la coabitazione. La riconciliazione e la ricostituzione del consorzio familiare sono state accertate grazie alle dichiarazioni rese dagli stessi coniugi e da una vicina di casa Fa.Al. del resto, la consapevolezza del ripristino della comunione familiare da parte del F. è stata, altresì, desunta dalla circostanza che, dopo la dichiarazione dinanzi al notaio, egli ha presentato un nuovo ricorso per separazione personale in data 12.12.2011, nel quale lo stesso odierno ricorrente rappresentava la ripresa della convivenza nel 2006. Tanto premesso, dunque, la doglianza concernente l’erronea interpretazione dell’art. 157 c.c. è infondata, in quanto è pacifico, anche nella giurisprudenza civile di questa Corte, che la riconciliazione successiva al provvedimento di omologazione della separazione consensuale, ai sensi dell’art. 157 c.c., determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materiale, propria della vita coniugale Sez. 3, n. 19541 del 26/08/2013, Rv. 627594 - 01, che, infatti, sottolinea come, in caso di successiva separazione, occorre una nuova regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi la cessazione degli effetti civili della separazione si determina a seguito di riconciliazione, che non consiste nel mero ripristino della situazione quo ante , ma nella ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita, vale a dire la ripresa di relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti, tali da comportare il superamento di quelle condizioni che avevano reso intollerabile la prosecuzione della convivenza e che si concretizzino in un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione Sez. 1, n. 28655 del 24/12/2013, Rv. 629303 - 01 Sez. 2, n. 1630 del 23/01/2018, Rv. 647784 - 01 In forza dell’art. 157 c.c., gli effetti della separazione personale, in mancanza di una dichiarazione espressa di riconciliazione, cessano soltanto col fatto della coabitazione, la quale non può, quindi, ritenersi ripristinata per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontri e di frequentazioni tra i coniugi, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spirituali costituenti manifestazione ed effetto della rinnovata società coniugale . La deduzione secondo cui sarebbe stata ripristinata una mera coabitazione, senza la ricostituzione del consorzio familiare, oltre a proporre una rivalutazione del merito non consentita in sede di legittimità, appare sfornita di qualsivoglia valenza probatoria Cass. civ., Sez. 1, n. 12314 del 25/05/2007, Rv. 597951 - 01, ha al riguardo precisato che perché si abbia riconciliazione, con conseguente cessazione degli effetti della separazione, occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi cessata appunto con la separazione a tal fine, il giudice di merito deve attribuire prevalente valore agli elementi esteriori oggettivamente diretti a dimostrare la volontà dei coniugi di ripristinare la comunione di vita piuttosto che a elementi psicologici permeati di soggettività , e smentita dalla proposizione di un nuovo ricorso per separazione personale da parte del F. . La doglianza con cui si deduce l’errore di fatto sullo stato di separazione è manifestamente infondata, in quanto, al momento della dichiarazione dinanzi al notaio, l’imputato era ben consapevole del fatto che gli effetti della separazione personale omologata nel 2003 erano venuti meno nel 2006, con il ripristino della convivenza e della comunione familiare, tanto da avere, due mesi dopo, presentato un nuovo ricorso per separazione personale in senso analogo, Sez. 5, n. 24699 del 23/03/2004, Olivan, Rv. 229549 È configurabile il reato di cui all’art. 495 c.p. nella condotta di chi, in sede di formazione di un atto pubblico di compravendita immobiliare, attesti falsamente al notaio rogante di essere coniugato in regime di separazione dei beni, nulla rilevando, sotto il profilo psicologico, l’eventuale errore dell’agente circa la disciplina civilistica di riferimento, trattandosi di errore di diritto da considerare incidente su di un elemento normativo della fattispecie penale del resto, come opportunamente evidenziato dalla sentenza impugnata, il fine della falsa dichiarazione era quella di divenire unico assegnatario dell’alloggio, in quanto, per effetto della riconciliazione del 2006, l’assegnazione sarebbe spettata ad entrambi i coniugi in virtù del ripristino del regime di comunione dei beni. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.