Stacca un tubo pluviale in rame da un edificio: è furto tentato, aggravato dalla violenza sulla cosa

Definitiva la condanna per l’uomo finito sotto processo. Indiscutibile, secondo i Giudici, il riconoscimento della violenza sulla cosa . Su questo fronte, difatti, viene osservato che il tubo pluviale, una volta distaccato dall’edificio, è diventato un rottame.

Colto sul fatto, denunciato e condannato per avere provato a portare via un tubo pluviale in rame da un edificio. A rendere grave la posizione del ladro non solo il furto tentato e non riuscito ma anche i dettagli dell’azione compiuta, qualificabili come violenza sulla cosa Cassazione, sentenza n. 25802/19, sez. V Penale, depositata oggi . Funzione. Una volta ricostruito l’episodio, verificatosi nella zona di Pisa, l’uomo sotto processo viene condannato prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello perché riconosciuto colpevole del delitto di tentato furto di un tubo pluviale in rame, asportato dal corpo di fabbrica cui accedeva mediante smontaggio . Col ricorso in Cassazione il difensore punta a mettere in discussione almeno l’applicazione della aggravante della violenza sulla cosa . A questo proposito, egli sostiene che lo smontaggio del tubo pluviale con l’uso di un cacciavite, in assenza di rotture o di danneggiamento del tubo stesso e della struttura muraria non è operazione suscettibile di essere inquadrata come violenza sulla cosa . Per i Giudici del Palazzaccio’, però, sono inequivocabili le modalità esecutive del fatto . In sostanza, va riconosciuto che l’asportazione del tubo di rame dalla struttura in muratura cui era trattenuto tramite viti ha costituito condotta illecita oggettivamente aggravata, indipendentemente da qualsivoglia danneggiamento poiché tale da comportare l’immutazione della destinazione del bene, per la sola, ovvia ragione che il tubo pluviale, distaccato dal corpo di fabbrica al cui servizio era stato posto, non era più in condizione di svolgere la funzione di convogliamento delle acque pluvie, finendo per essere un rottame di metallo .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 aprile 11 giugno 2019, n. 25802 Presidente Micheli Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. Le. An., con il ministero del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 19 novembre 2018, resa in integrale conferma di quella del Tribunale di Pisa del 10 maggio 2016, che l'aveva riconosciuto responsabile del delitto di tentato furto di un tubo pluviale in rame, asportato dal corpo di fabbrica cui accedeva, mediante smontaggio. 2. L'impugnativa consta di tre motivi. 2.1. Il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 597, comma 3, cod.proc.pen., e deduce che la Corte territoriale, nell'escludere, in accoglimento di specifico motivo di appello proposto dall'imputato, che la circostanza aggravante della violenza sulla cosa, di cui all'art. 625, comma 1, n. 2, prima parte, cod.pen., fosse integrata dal danneggiamento della recinzione, posta a presidio dell'immobile al cui servizio era posto il tubo pluviale oggetto di furto, come ritenuto dal Tribunale, ed invece nel ravvisarla nel fatto dello smontaggio del tubo dalla struttura muraria su cui questo era infisso, avesse operato una non consentita reformatio in peius, posto che, per effetto di tale differente qualificazione della porzione del fatto corrispondente all'elemento accessorio contestato, non era stata dichiarata l'improcedibilità del reato, conseguente alla riconduzione del fatto alla fattispecie del furto semplice, per difetto di querela 2.2. il secondo e il terzo motivo denunciano il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 625, comma 1, n. 2, prima parte, cod.pen., e il vizio di motivazione, sul rilievo che lo smontaggio del tubo pluviale con l'uso di cacciaviti, in assenza di rotture o di danneggiamento delle cose del tubo stesso e della struttura muraria , non è operazione suscettibile di essere sussunta nello schema tipico della circostanza aggravante della violenza sulla cosa. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Deve essere evidenziato che il punto della decisione di primo grado relativo alla circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 2, prima parte, cod.pen., contestata nell'imputazione con il solo riferimento alla violenza sulla cosa senza alcuna particolare specificazione della cosa sulla quale questa era intervenuta era stato devoluto al giudice dell'impugnazione per il tramite dell'unico motivo di appello articolato dall'imputato, con la conseguenza che il giudice stesso era stato investito della rivalutazione dell'intero segmento fattuale riguardante le modalità esecutive del fatto. Sicché, al lume di tale preliminare rilievo, deve escludersi che la Corte di appello, ritenendo integrata la circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 2, prima parte, cod.pen. non in ragione del danneggiamento della recinzione posta a protezione dell'immobile depredato del tubo di rame come ritenuto dal primo giudice , ma per effetto dell'asportazione del tubo stesso mediante lo smontaggio dai supporti che lo tenevano infisso alla struttura muraria, abbia operato una reformatio in peius non consentita dall'art. 597, comma 3, cod. proc.pen. il giudice di appello, infatti, non ha neppure diversamente qualificato il fatto, ma si è semplicemente limitato a ritenere che valesse ad integrare la circostanza aggravante, sin dall'inizio contestata, una porzione del fatto diversa da quella individuata dal primo giudice e già, però, conosciuta dall'appellante, quantomeno attraverso l'iter del processo Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 . Sovviene, in proposito, l'insegnamento impartito da questa cattedra nomofilattica secondo il quale, in tema di giudizio di impugnazione, la disposizione di cui all'art. 597, comma 1, cod.proc.pen. attribuisce al giudice di appello gli stessi poteri del giudice di primo grado, con la conseguenza che questi - fermo restando il limite posto dal divieto di riformano in pejus - non è vincolato da quanto prospettato dall'appellante ma, relativamente ai punti della decisione cui i motivi di gravame si riferiscono, può affrontare tutte le questioni enucleabili all'interno dei punti medesimi, potendo persino accogliere o rigettare il gravame in base ad argomentazioni proprie o diverse da quelle dell'appellante Sez. 6, n. 40625 del 08/10/2009, B., Rv. 245288 Sez. 4, n. 15461 del 14/01/2003, P.G. in proc. Willliams e altri, Rv. 227783 . 2. D'altro canto - e qui emerge l'infondatezza degli ultimi due motivi di ricorso -la giurisprudenza di legittimità ha già ritenuto, sia pure in materia di furto commesso su parti di autovettura, che l'asportazione di una ruota fissata con bulloni ad un autoveicolo importa un mutamento di destinazione della cosa stessa, di modo che colui che sviti le ruote dell'autovettura non essendone legittimato, commette il reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose ex art. 625, n. 2 cod.pen Sez. 2, n. 2230 del 12/11/1984 -dep. 06/03/1985, Cammarano, Rv. 168164 . Enunciazione, questa, che costituisce espressione del più generale principio di diritto secondo il quale & lt P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.