L’accertamento della continuazione tra reati secondo la giurisprudenza di legittimità

Decidendo in merito al ricorso avverso il diniego dell’applicazione della disciplina della continuazione tra reati, gli Ermellini richiamano i principi consolidati dalla giurisprudenza in tema di accertamento dell’unicità del disegno criminoso, presupposto per l’applicazione dell’invocata disciplina.

Così la sentenza n. 24660/19, depositata dalla Corte di Cassazione il 3 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Genova, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di applicazione ex art. 617 c.p.p. della disciplina della continuazione in ordine a diversi reati di furto aggravato e ricettazione. Il difensore dell’istante ha proposto ricorso per cassazione dolendosi per non aver la Corte considerato gli elementi dai quali emergeva, secondo i principi giurisprudenziali consolidati, l’unicità del disegno criminoso in esecuzione del quale i reati furono commessi. L’accertamento della continuazione. Cogliendo l’occasione, la Cassazione ricorda che in tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto, postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose . Non si tratta dunque di un programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, la sua opzione a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, i quali, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nello loro principali coordinate, ma rivelano una generale propensione alla devianza che si concretizza di volta in volta in relazione alle varie occasioni e opportunità esistenziali cfr. Cass. Pen. n. 15955/16 . Aggiunge inoltre la S.C. che l’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità della condotta dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla omogeneità delle violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di luogo Cass. Pen. n. 11564/13 , con la precisazione che ognuno di tali elementi concorre all’accertamento del requisito summenzionato da parte del giudice di merito Cass. Pen. nn. 12905/10, 44862/08 , la cui motivazione, se congrua e non illogica, è sottratta al sindacato di legittimità e Cass. Pen. n. 10366/1990 . In conclusione l’indagine che deve essere compiuta dal giudice di merito si snoda su tre momenti la verifica della credibilità intrinseca esistenza di un unico programma delittuoso, l’analisi dei singoli comportamenti incriminati e la verifica delle circostanza del caso di specie al fine di verificare l’esecuzione del prospettato unico disegno criminoso Cass. Pen. n. 1721/92 . Precisando infine che la consumazione dei reati in relazione allo stato di tossicodipendenza non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della continuazione Cass. Pen. n. 18242/14 , la Corte di Cassazione ritiene fondato il ricorso non avendo il giudice di merito fornito adeguata motivazione a sostegno della decisione. La pronuncia impugnata viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello ligure per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 febbraio - 3 giugno 2019, n. 24660 Presidente Di Tomassi – Relatore Mancuso Ritenuto in fatto 1. Con istanza alla Corte di appello di Genova, in funzione di giudice dell’esecuzione, veniva richiesta, nell’interesse di M.A. , l’applicazione, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., della disciplina della continuazione, in ordine ai reati di seguito indicati in ordine cronologico, per i quali costui era stato giudicato con sentenze divenute irrevocabili I. reato di cui all’art. 455 c.p., commesso in il giorno 2 furto aggravato, commesso in il omissis 3 ricettazione, commessa in fra il omissis 4 ricettazione, commessa in il omissis 5 furto aggravato, commesso in il omissis 6 furto aggravato, commesso in il omissis . 2. Con ordinanza del 12.12.2017, il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza. 3. Il difensore dell’interessato ha proposto ricorso per cassazione con atto in cui deduce, richiamando l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c, e , erronea applicazione dell’art. 81 c.p., e art. 671 c.p.p., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il giudice dell’esecuzione, nel rigettare l’istanza, non ha considerato gli elementi dai quali emerge, sulla base dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, che i reati giudicati furono commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso e che, pertanto, sussistono i presupposti per l’applicazione della disciplina della continuazione. Considerato in diritto 1. L’esame delle censure rende opportuno il richiamo di alcuni principi in materia. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81 c.p., comma 2, richiamato per la fase esecutiva dall’art. 671 c.p.p., postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose essa non coincide con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, la sua opzione a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, i quali,’ seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, ma rivelano una generale propensione alla devianza che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni e opportunità esistenziali Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016 - dep. 18/04/2016, P.M. in proc. Eloumari, Rv. 266615 . L’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità della condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla omogeneità delle violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di luogo, essendo a tal fine sufficiente la sola constatazione di alcuni soltanto di essi, purché significativi Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012 - dep. 12/03/2013, Daniele, Rv. 255156 . L’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della spinta a delinquere e la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di una programmazione e deliberazione unitaria, però ciascuno di questi fattori, aggiunto a un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica corrispondente all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010 - dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838 Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008 - dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098 . La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso, è compito del giudice di merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990 - dep. 16/07/1990, Paoletti, Rv. 184908 . L’indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a delibare un istanza di applicazione della disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali problemi dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario programma delittuoso indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall’agente infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per la finalità che li ha contraddistinti, possano considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno criminoso Sez. 1, n. 1721 del 22/04/1992 - dep. 25/06/1992, Curcio, Rv. 190807 . La consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della continuazione, ma ne costituisce comunque un indice rivelatore che deve formare oggetto di specifico esame da parte del giudice dell’esecuzione, qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti prospettato dal condannato Sez. 1, n. 18242 del 04/04/2014 - dep. 30/04/2014, Flammini, Rv. 259192 . 2. Sulla base dei predetti principi, nel caso in esame deve affermarsi la fondatezza del ricorso. La motivazione che dovrebbe sostenere logicamente l’ordinanza impugnata espone considerazioni generiche, negando la sussistenza del vincolo senza adeguata riflessione. Il provvedimento non contiene riferimenti specifici agli elementi emergenti dalle pronunce di condanna o ad altri dati istruttori, e non prende in considerazione la brevità delle distanze fra i luoghi di commissione dei reati, né la vicinanza temporale delle epoche di consumazione, elementi emergenti dalla elencazione esposta sopra nella parte narrativa. La motivazione è inadeguata anche sullo stato di tossicodipendenza, menzionato dal giudice dell’esecuzione come una condizione che aveva spinto il M. in via estemporanea ed occasionale a compiere questo o quel furto o altro fatto delittuoso non preventivamente deliberato, al solo fine di procurarsi il fabbisogno di stupefacente . In proposito, il riconoscimento della correlazione finalistica tra i reati e detto stato non appare conciliabile - in carenza di una spiegazione più approfondita - con la mancata attribuzione di una rilevanza ad esso, ai fini dell’applicazione della disciplina della continuazione. È quindi omessa nell’ordinanza, sui temi evidenziati, una disamina articolata, capace di porre in luce elementi rilevanti del caso concreto e di spiegare le ragioni per le quali essi non siano idonei a dimostrare che i reati in valutazione - o almeno taluni di essi - siano avvinti dal medesimo disegno criminoso. 3. Per le ragioni esposte, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice dell’esecuzione che provvederà a nuovo esame senza incorrere nei vizi riscontrati. Dovrà applicarsi l’art. 34 c.p.p., comma 1, quale risulta a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 183 del 2013, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione e dell’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a , nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell’art. 671 c.p.p P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Genova.