L’improcedibilità per incapacità irreversibile dell’imputato travolge anche le statuizioni civili

In virtù dell’art. 72-bis c.p.p., vengono caducate ex lege le statuizioni civili a seguito della declaratoria di improcedibilità dell’azione penale dovuta all’incapacità irreversibile dell’imputato.

Così decide la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23790/19, depositata il 29 maggio. I fatti. Il Tribunale di Vasto condannava l’imputato alla pena della reclusione, in quanto ritenuto colpevole di aver costretto due minorenni a subire atti sessuali, prevedendo, in aggiunta, il risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede. A seguito di ricorso dell’imputato, la Corte d’Appello dell’Aquila dichiarava non doversi procedere a causa dell’incapacità irreversibile dello stesso, come previsto dall’art. 72 -bis , c.p.p., introdotto dalla l. n. 103/2017, senza pronunciarsi in relazione alle statuizioni civili. Proprio per questo motivo, l’imputato ricorre per cassazione. L’automatica caducazione delle statuizioni civili. Gli Ermellini dichiarano il ricorso infondato, osservando come la riforma del 2017 abbia configurato la capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo come una sorta di condizione di procedibilità, la cui mancanza, ove sia accertata come irreversibile, impone la definizione del procedimento penale, potendo l’azione penale essere esercitata nuovamente solo ove l’incapacità della persona da giudicare venga meno, o sia provato che era stata dichiarata in modo erroneo . Dopo questa premessa, la Corte afferma che la pronuncia estintiva ai sensi del nuovo art. 72- bis c.p.p. è comunque idonea a travolgere gli effetti risultanti dall’esercizio dell’azione penale, dunque, nel caso di specie, intervenendo la suddetta decisione al termine della seconda fase di giudizio, devono ritenersi caducate ex lege anche le statuizioni civilistiche emanate dal giudice di prime cure. Nonostante la mancata formale revoca delle previsioni civili nel dispositivo della sentenza impugnata, quindi, le stesse perdono efficacia ex lege a seguito della declaratoria di improcedibilità dell’azione penale ai sensi della disposizione citata. A questo punto, l’unico rimedio possibile consiste nella procedura di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza, dovendosi rigettare il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 febbraio – 29 maggio 2019, n. 23790 Presidente Rosi – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30 gennaio 2015, i Tribunale di Vasto condannava B.B. alla pena di anni 7 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 81 c.p., art. 609 bis c.p., comma 1 e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1 e 4, contestatogli per aver costretto le minori C.A. e D.T.A. , entrambe infraquattordicenni, a subire atti sessuali, approfittando del suo ruolo di massaggiatore-fisioterapista all’interno della Polisportiva omissis , nella cui formazione agonistica di pallavolo militavano le persone offese, fatti commessi in omissis e in data anteriore e prossima. Con la predetta sentenza, B. veniva altresì condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, assegnando ai genitori di ciascuna minore una provvisionale pari a 10.000 Euro. Con sentenza del 4 dicembre 2017, la Corte di appello dell’Aquila, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di B. per incapacità irreversibile dello stesso, ai sensi dell’art. 72 bis c.p.p 2. Avverso la sentenza della Corte di appello abruzzese, B. , tramite i difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui contesta la violazione dell’art. 546 c.p.p., commi 1 e 3, evidenziando che la Corte di appello, nel dispositivo, non aveva revocato le statuizioni civili della sentenza di primo grado, limitandosi solo in motivazione ad affermare che le stesse non potevano essere confermate, omettendo di riformare sul punto la pronuncia impugnata, per cui, stante l’assenza di indicazioni esplicite in tal senso nel dispositivo, la non conferma menzionata in modo irrituale nella motivazione doveva ritenersi inidonea a produrre valide conseguenze giuridiche, non potendosi comunque considerarsi applicabile, proprio alla luce della terminologia adoperata in motivazione, la procedura di correzione dell’errore materiale. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Occorre premettere che, con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha riformato la pronuncia di condanna del Tribunale, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato ai sensi dell’art. 72 bis c.p.p., norma introdotta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 22. Tale disposizione rubricata Definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell’imputato prevede che se, a seguito degli accertamenti previsti dall’art. 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere, o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca . La L. n. 103 del 2017, art. 1, comma 23 ha poi modificato il comma 2 dell’art. 345 c.p.p. rubricato Difetto di una condizione di procedibilità. Riproponibilità dell’azione penale , stabilendo che l’azione penale può essere esercitata nuovamente anche quando, dopo che è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per incapacità irreversibile dell’imputato ex art. 72 bis c.p.p., l’incapacità viene meno o è stata erroneamente dichiarata. Viceversa, se l’incapacità dell’imputato è reversibile, l’art. 71 c.p.p., pure modificato dalla L. n. 103 del 2017, dispone che il procedimento sia sospeso, con nomina di un curatore speciale per l’imputato, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. Dunque, la riforma del 2017, nell’affrontare la problematica dei cd. eterni giudicabili , la cui delicatezza era stata già segnalata al Legislatore dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 23 del 2013 e n. 45 del 2015, ha configurato la capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo come una sorta di condizione di procedibilità, la cui mancanza, ove sia accertata come irreversibile, impone la definizione del procedimento penale, potendo l’azione penale essere esercitata nuovamente solo ove l’incapacità della persona da giudicare venga meno, o sia provato che era stata dichiarata in modo erroneo. Tanto premesso, deve quindi affermarsi che la pronuncia estintiva delineata dal nuovo art. 72 bis c.p.p., per quanto suscettibile di essere rivisitata, sia comunque idonea a travolgere gli effetti scaturiti dall’esercizio dell’azione penale, per cui, ove, come nel caso di specie, la sentenza che accerti l’incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare coscientemente al processo intervenga in secondo grado, devono ritenersi caducate ex lege anche le eventuali statuizioni civilistiche della sentenza di primo grado, sulla falsariga di quanto avviene con la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per la morte dell’imputato, comportando il sopravvenuto decesso della persona sottoposta a giudizio, come già precisato da questa Corte cfr. Sez. 4, n. 58 dell’8/11/2000, dep. 2001, Rv. 219149 , la cessazione non solo del rapporto processuale in sede penale, ma anche del rapporto processuale civile inserito nel processo penale. 2. Ciò posto, deve pertanto ritenersi che, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, la mancanza, nel dispositivo della sentenza impugnata, della formale revoca delle statuizioni civili contenute nella pronuncia di primo grado non integra alcuna nullità, derivando ex lege dalla declaratoria di improcedibilità dell’azione penale operata dalla Corte territoriale ex art. 72 bis c.p.p. la perdita di efficacia di tutte le statuizioni della sentenza di primo grado, comprese quelle relative all’esercizio nel processo penale delle pretese civilistiche. Dunque, all’omissione nel dispositivo della sentenza impugnata della formale revoca delle statuizioni civili contenute nella pronuncia di primo grado, ben potrà porsi rimedio con la procedura di correzione dell’errore materiale, tanto più che, nella motivazione della sentenza oggetto dell’odierno ricorso, la Corte di appello ha già evidenziato l’impossibilità di confermare le statuizioni civili, per cui l’unica questione che si pone nel caso di specie è solo quella di rettificare il dispositivo di una decisione, di cui non viene affatto rimesso in discussione il contenuto, che del resto consegue ipso iure alla peculiare tipologia di definizione del processo. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di B. deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento, mentre, proprio in ragione della già rimarcata caducazione automatica degli effetti della sentenza di primo grado a seguito della sentenza impugnata, alcuna statuizione può essere adottata in questa sede rispetto alle richieste avanzate dalle odierne parti civili. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.