L’avente diritto è ignoto? Le somme sequestrate vanno alla cassa ammende

In relazione a somme di denaro sequestrate per le quali non vi sia istanza di restituzione, il giudice dell'esecuzione deve provvedere d'ufficio alla restituzione all'avente diritto ai sensi dell'art. 263, comma 1, c.p.p. se non vi sia dubbio sulla loro appartenenza, mentre, se l'avente diritto è ignoto o irreperibile, deve disporne la devoluzione alla cassa delle ammende ai sensi dell'art. 154, comma 3, d.P.R. n. 115/2002.

Lo ha ribadito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23475, depositata il 28 maggio 2019. I principi applicabili alle misure cautelari reali I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall'art. 275 c.p.p. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, e devono costituire oggetto di valutazione preventiva e non eludibile da parte del giudice nell'applicazione delle cautele reali, al fine di evitare un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata. Ne consegue che, qualora detta misura trovi applicazione, il giudice deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato della misura cautelare reale con una meno invasiva misura interdittiva cfr. Cass. pen., sez. V, n. 8152/2010 . Inoltre, il provvedimento di sequestro preventivo non deve essere inutilmente vessatorio, ma deve essere limitato alla cosa o alla parte della cosa effettivamente pertinente al reato ipotizzato, e deve essere disposto nei limiti in cui il vincolo imposto serve a garantire la confisca del bene o ad evitare la perpetuazione del reato cfr. Cass. pen., sez. III, n. 15717/2009 . ed i presupposti del sequestro preventivo. In base all’orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato. Inoltre, il sequestro preventivo di tipo impeditivo previsto dal comma 1 dell'art. 321 c.p.p. è una misura di coercizione reale connessa e strumentale al procedimento penale ed all'accertamento del reato per cui si procede, avente lo scopo di evitare che il decorso del tempo pregiudichi irrimediabilmente l'effettività della giurisdizione espressa con la sentenza irrevocabile di condanna. Ne discende che la sua applicazione va disposta nelle situazioni in cui il mancato assoggettamento a vincolo della cosa pertinente al reato possa condurre, in pendenza del relativo accertamento, non solo al protrarsi del comportamento illecito od alla reiterazione della condotta criminosa, ma anche alla realizzazione di ulteriori pregiudizi quali nuovi effetti offensivi del bene protetto, sicché può essere adottato anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi. Qualcosa va aggiunto in merito alla nozione di fumus commissi delicti , rilevante nel sistema delle misure cautelari reali. Il concetto di gravi indizi di colpevolezza, previsto dal codice di procedura penale art. 273, comma 1, c.p.p. , si pone quale condizione di applicabilità di una misura cautelare. Tuttavia, la nozione di gravi indizi di cui all’art. 273 c.p.p. non ha lo stesso valore probatorio degli indizi gravi, precisi e concordanti di cui all’art. 192 c.p.p Questi ultimi, infatti, sono veri elementi di prova idonei a fondare un giudizio finale di colpevolezza, una prova logica o indiretta, intesa quale un fatto certo dal quale risalire ad uno incerto, attraverso massime di comune esperienza. Al contrario, per emettere una misura cautelare è sufficiente un grave indizio, inteso come qualunque elemento probatorio idoneo e fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli Cass. Pen., n. 30328/05 . Nella fase cautelare, quindi, è necessario - per applicare una misura cautelare - il semplice requisito della gravità dell’indizio, e non quelli della precisione e concordanza degli stessi. Destinazione delle somme sequestrate. In merito all’orientamento giurisprudenziale riportato in massima, ai fini della devoluzione del denaro, non interessa che le somme siano confiscate, essendo sufficienti che siano in sequestro, avendo il legislatore voluto introdurre un sistema veloce di destinazione dei beni sequestrati e del ricavato della loro vendita, indipendentemente dalla confisca, pur se nel rispetto dei diritti dell'imputato e dei terzi nella cui disponibilità sono stati rinvenuti i beni sequestrati, essendo prevista la previa citazione dei soggetti interessati. Pertanto, per l'accoglimento della domanda di restituzione delle cose, sequestrate nel corso del giudizio, non è sufficiente il favor possessionis , ma occorre la prova positiva del jus possidendi . Il giudice dell'esecuzione deve quindi accertare la effettiva sussistenza del diritto alla restituzione a favore del richiedente, non essendo sufficiente all'uopo, laddove si tratti, come nel caso in esame, di denaro, la momentanea disponibilità da parte dell'imputato poi condannato, dovendosi invece verificare la effettiva appartenenza del denaro allo stesso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 aprile – 28 maggio 2019, n. 23475 Presidente Rosi – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza 4.07.2017, il Tribunale di Firenze, decidendo sull’opposizione proposta ex art. 667 c.p.p., comma 4, presentata avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione 9.05.2016 avverso la quale, come disposto da questa Corte con ordinanza 21.09.2016, ritenendo che l’impugnazione proposta avrebbe dovuto essere riqualificata come opposizione, con trasmissione degli atti al tribunale di Firenze con la quale veniva rigettata la richiesta di dissequestro e restituzione avanzata dal liquidatore della Giochi Telematici s.r.l., ritenendo il denaro non di spettanza della medesima società bensì di terzi scommettitori, dichiarava inammissibile l’opposizione proposta da P.G. , rigettando l’opposizione presentata da D.V.D. quale legale rappresentante della Giochi Telematici s.r.l 2. Contro la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessata, a mezzo del difensore di fiducia - procuratore speciale, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, c.p.p., articolando quattro motivi, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 154. In sintesi, la ricorrente sostiene il difetto dei presupposti per la devoluzione delle somme sequestrate alla Cassa delle Ammende disposta prima dal giudice dell’esecuzione e successivamente confermata dal Tribunale di Firenze. Ciò in quanto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 154 prevede l’adozione di tale procedura nelle ipotesi di inerzia dell’avente diritto e quando non vi è contestazione sulla titolarità dei beni in sequestro. L’imputato P. aveva presentato richiesta di restituzione delle somme rigettata dal giudice di merito. Errato sarebbe quindi il richiamo ad aventi diritto ignoti o irreperibili atteso che la norma fa riferimento ad ipotesi in cui il diritto non è in contestazione e non vi siano richiedenti, assenza non rinvenibile nel caso di specie. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione. In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata sostenendo che la sentenza del giudice della cognizione affermerebbe con certezza che il denaro depositato sui conti è di proprietà degli acquirenti delle card che dovranno essere individuati e ai quali il denaro potrà essere restituito . Secondo il giudice dell’esecuzione invece se l’avente diritto è ignoto o irreperibile le somme sono devolute alla Cassa delle Ammende . I due giudici avrebbero assunto due punti di vista completamente diversi in quanto, per il primo, gli aventi diritto sarebbero tutt’altro che ignoti, risultando individuabili e reperibili in quanto parti di un contratto. Di converso, per il secondo, essi sarebbero non conosciuti, non identificabili ed irreperibili. Le determinazioni del giudice dell’esecuzione si porrebbero in contraddizione con il provvedimento di cognizione. Il provvedimento impugnato mancherebbe inoltre del tutto della motivazione e dell’indicazione degli elementi processuali dai cui sarebbe stato ricavato che gli aventi diritto alla restituzione sarebbero rimasti ignoti ed irreperibili, mancanza determinata, ad avviso del ricorrente, dall’assenza in atti di qualsiasi accertamento diretto ad identificare gli ignoti e a rintracciare gli eventuali noti. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione. In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata sostenendo che la stessa non si confronterebbe con la consulenza dell’Avv. Bassi secondo la quale chi acquistava le card avrebbe accettato le condizioni contrattuali, prima tra tutte la irripetibilità delle somme corrisposte e la scadenza temporale del diritto a fruire del servizio acquistato. Nei conti sequestrati sarebbero confluiti i corrispettivi, ossia il prezzo pagato dai privati scommettitori e quello una tantum dell’affiliato, nonché il canone mensile di affiliazione, al netto delle percentuali dovute all’affiliato sul prezzo di listino dei servizi e/o prodotti oggetto del contratto. Ne conseguirebbe che una parte delle somme sui conti non sarebbe di proprietà degli acquirenti delle card. L’ordinanza impugnata non si occuperebbe della questione, omettendo di motivare in ordine ai rilievi difensivi. Le somme sequestrate sarebbero infatti, secondo l’organo giudicante, tutte di proprietà di ignoti acquirenti, senza alcuna precisazione o distinzione che era stata sollecitata dalla difesa con la consulenza de qua, non considerando che le quote ed il canone di affiliazione certamente non potrebbero essere di pertinenza degli acquirenti finali. Ad avviso del ricorrente, non sarebbe stata tenuta in conto la prassi commerciale ormai consolidata e cristallizzata in massime di esperienza delle quali si era dato atto nella consulenza. Sul punto sono richiamate le sent. nn. 566 e 567 del 2016 della Corte di Cassazione, con le quali è stato delineato il rapporto intercorrente tra le compagnie telefoniche e il rivenditore di ricariche telefoniche e carte servizi. Il giudice di legittimità ha qualificato l’attività dei rivenditori come attività di vendita e l’utente è considerato acquirente con diritto di fruire, entro una determinata scadenza, dei servizi acquistati, rimanendo esclusa qualsiasi titolarità sulle somme versate a titolo di corrispettivo. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 154. In sintesi, si sostiene che il giudice dell’esecuzione avrebbe errato nell’applicare il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 154, ponendo in essere una confisca non consentita di somme la cui titolarità ed il cui possesso sono in capo ad un soggetto terzo rispetto alle parti del processo, rectius la Giochi Telematici s.r.l La ricorrente rammenta inoltre la sentenza con la quale è stato dichiarato prescritto il reato addebitato agli imputati P. e D. , invece assolvendo per non aver commesso il fatto l’imputata F. , non rivestendo tale decisione i caratteri della condanna nè formale nè sostanziale. Sia la giurisprudenza della Corte EDU che quella nazionale di legittimità hanno enunciato il principio di incompatibilità della confisca di un bene con la mancanza di una pronuncia di condanna nei confronti del titolare dello stesso bene da ultimo Cass., Sez. I, 27 novembre 2017, n. 53609 . Il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto in conto tale principio procedendo ad una confisca sostanziale, vestita ex D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 154. La ricorrente sostiene inoltre che per l’accoglimento della domanda di restituzione delle cose sequestrate avanzata dal possessore prosciolto, nel caso in cui manchi la prova dell’altruità delle cose e non vi siano state domande di restituzione da parte di altri soggetti, non occorrerebbe la prova positiva dello jus possidendi in capo al richiedente, essendo sufficiente il favor possessionis. Tale sarebbe la situazione nel caso concreto, in quanto le somme erano in giacenza su c/c bancario della società Giochi Telematici s.r.l., soggetto estraneo al procedimento penale e nessuna richiesta di restituzione sarebbe stata inoltrata ad eccezione di quella del P. . Il favor possessionis avrebbe dunque dovuto indurre a conclusioni ben diverse da quelle adottate in sede di esecuzione. 3. Con requisitoria scritta, depositata in data 19.03.2019, il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona del Sostituto Dott.ssa P. Filippi, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza. In particolare, secondo il PG, sarebbe fondato il quarto motivo di ricorso, in quanto - richiamata giurisprudenza di questa Corte sentenza SS.UU., Lucci e della Corte EDU sentenza Varvara c. Italia - si sostiene che, essendosi concluso il processo con declaratoria di prescrizione, ai fini della confisca era necessario che il giudice di merito offrisse adeguata motivazione in ordine alla sussistenza di elementi da cui trarre la responsabilità penale dell’imputato e, inoltre, considerato che la confisca riguardava un soggetto terzo, occorreva la motivazione in ordine alla sussistenza del vincolo di pertinenzialità. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. 5. Al fine di meglio comprendere la soluzione cui è pervenuto il Collegio è utile richiamare il contenuto del provvedimento impugnato, che si poneva in linea con quanto affermato dal giudice di primo grado, il quale aveva riservato alla fase esecutiva la decisione in ordine alla destinazione delle somme in sequestro. In particolare, davanti al tribunale di Firenze si concludeva in data 20.04.2012 il procedimento penale a carico di tale P. , D. e F. , prosciogliendo i primi due per intervenuta prescrizione e con pronuncia liberatoria per la F. , rinunciante alla prescrizione, per non aver commesso il fatto. Con tale decisione veniva respinta la richiesta di restituzione delle somme depositate sue due conti correnti bancari, intestati alla s.r.l. Giochi Telematici, riservando alla fase esecutiva la decisione in ordine alla destinazione delle somme in sequestro. Con provvedimento del 9.05.2016, il g.e. non provvedeva alla restituzione nè confiscava le somme, ma disponeva la devoluzione delle stessa alla Cassa delle Ammende. Tale provvedimento, impugnato con ricorso davanti a questa Corte, veniva qualificato dalla Prima sezione penale come opposizione ex art. 667 c.p.p., comma 4, trasmettendolo al tribunale di Firenze, che decideva con il provvedimento qui impugnato. In particolare, quanto al contenuto dei provvedimenti susseguitisi, è emerso che sul conto della società di cui l’istante, D.V.A. dichiara essere legale rappresentante e liquidatrice , erano confluiti i versamenti effettuati da punti remoti affiliati sicché, per il giudice della cognizione adito, non si sarebbe trattato di denaro riferibile al P. legale rappresentante della società , ma a terzi da individuare e ai quali restituire il denaro previa dimostrazione del relativo titolo. Il giudice dell’esecuzione, con l’ulteriore ordinanza del 9.05.2016, su richiesta avanzata dalla Cancelleria, aveva devoluto le somme sequestrate a favore dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 154, comma 3, trattandosi di denaro riconducibile a soggetti ignoti ed essendo trascorsi i sei mesi richiesti dalla legge dal passaggio in giudicato della sentenza. Tale decisione veniva impugnata da P.G. e D.V.D. , ma il Tribunale di Firenze, quale g.e., condivideva integralmente il provvedimento oggetto di opposizione, operando innanzitutto un distinguo tra le posizioni dei due opponenti. Il P. , benché in precedenza legale rappresentante della società Giochi Telematici s.r.l., aveva presentato opposizione in proprio e, trattandosi di soggetto certamente non titolare del conto corrente sequestrato nè personalmente proprietario o nella disponibilità delle medesime somme, non poteva vedere accolta l’istanza di restituzione, da dichiararsi inammissibile, non avendo inoltre fornito alcuna prova del proprio titolo di legittimazione. Relativamente al D.V. , il quale si opponeva alla decisione in qualità di liquidatore della società titolare del conto corrente sequestrato, veniva riportato il contenuto di una consulenza dell’Avv. Bassi, secondo il quale le somme versate sul c/c oggetto di sequestro avrebbero costituito il corrispettivo della vendita di carte prepagate acquistate dagli scommettitori e che, trattandosi del prezzo del servizio venduto, erano da considerarsi di piena titolarità della società. Tale soluzione è stata ritenuta non condivisibile dal giudice fiorentino in quanto, come sostenuto nel giudizio di merito e riportato sulle stesse carte prepagate, la card dà diritto ad una ricarica del proprio conto deposito precedentemente contrattualizzato pari al valore indicato sulla facciata . Si trattava dunque, per il giudice, di uno strumento mediante il quale lo scommettitore tramutava il proprio denaro contante in valuta elettronica utilizzabile per le proprie scommesse. La società non avrebbe potuto pertanto disporne a proprio piacimento, costituendo tali somme un debito di pari importo nei confronti dei terzi scommettitori in quanto somme che potevano essere utilizzate dagli stessi per giocare, sicché l’ente societario avrebbe operato quale mero detentore a titolo di deposito. Per tale ragione, ha chiarito il giudice, non avrebbe alcun rilievo, ai fini della restituzione, la titolarità del conto sul quale le somme in contanti venivano versate. 6. Tanto premesso, la questione giuridica controversa attorno alla quale ruotano i motivi di ricorso - che, attesa l’intima connessione tra gli stessi esistente, ben possono essere trattati congiuntamente - è quella di valutare se l’istanza di restituzione dei beni sequestrati e non confiscati, sia governata dalla regola del favor possessionis o dello ius possidendi, considerando peraltro il rapporto giuridico sottostante nel caso di specie. Orbene, in materia la più recente giurisprudenza di questa Corte è concorde nel sostenere che, dopo la sentenza non più soggetta ad impugnazione, la restituzione delle cose sequestrate, a chi ne abbia diritto, postula che venga fornita dall’interessato la prova positiva dello ius possidendi. In linea di principio, quindi, il giudice dell’esecuzione deve preliminarmente accertare l’effettiva sussistenza del diritto alla restituzione a favore del richiedente, non ritenendosi sufficiente l’assenza di richieste altrui ovvero la mancanza di prova circa l’altruità della cosa, occorrendo invece la prova positiva, da valutarsi rigorosamente, della esistenza di un diritto legittimo e giuridicamente apprezzabile del richiedente, anche qualora si tratti di colui al quale la cosa venne sequestrata, non essendo ravvisabile in questa materia un favor possessionis presunto che prescinda dallo ius possidendi Cass., Sez. 5, 15 ottobre 2014, n. 9284 Cass., Sez. 3, 22 gennaio 2010, n. 2912 Cass., Sez. 1, 9 giugno 2009, n. 26475 Cass., Sez. 1, 13 febbraio 2008, n. 8997 Cass. SS.UU., 27 settembre 1995, n. 10372 Cass. Sez. 2, 14 dicembre 1990, n. 6532 . Si è inoltre precisato che, qualora oggetto del sequestro sia denaro versato su di un conto corrente bancario, ai fini della restituzione, la prova richiesta non può essere costituita dalla mera intestazione formale del conto medesimo, essendo necessaria la verifica che il denaro sia effettivamente appartenente all’intestatario Cass., Sez. 1, 7 dicembre 2004, n. 621 . Qualora, poi, relativamente a somme di denaro sequestrate non vi sia stata istanza di restituzione, il giudice dell’esecuzione dovrà provvedere d’ufficio alla restituzione all’avente diritto se non vi sia dubbio sulla loro appartenenza mentre, se l’avente diritto risulti essere ignoto o irreperibile, dovrà disporne la devoluzione alla Cassa delle ammende ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 154, comma 3, Cass., Sez. 1, 8 febbraio 2008, n. 10273 . Tuttavia, secondo un orientamento giurisprudenziale, l’onere probatorio gravante sulla persona interessata alla restituzione si attenua nei casi di proscioglimento dell’imputato. Infatti, salvo che la titolarità della res sia invocata anche da altri soggetti, sarebbe sufficiente provare il precedente stato di ius possessionis sulla cosa riconoscendosi dunque rilievo al favor possessionis , purché dagli atti non emerga l’acquisto illecito della stessa. In merito la Corte di Cassazione, in passato, aveva sostenuto che la caducazione del vincolo importa l’obbligo di restituzione del bene alla libera disponibilità di colui al quale sia stato sottratto, restituzione che non può essere subordinata ad una inversione dell’onere della prova sulla originaria legittimità della situazione di fatto, nè alla deroga alle regole in tema di possesso, in carenza di contrapposte pretese di terzi o della sicura illiceità dell’acquisto emergente dagli atti Cass., Sez. 5, 22 settembre 2006, n. 35370 Cass., Sez. 2, 6 luglio 2005, n. 26462 . Quest’ultimo orientamento, tuttavia, è stato recentemente considerato come superato dalla Corte di Cassazione Cass., Sez. 1, 23 gennaio 2018, n. 9982 Cass., Sez. 1, 20 gennaio 2017, n. 53609 Sez. 5, sentenza n. 9284 del 15/10/2014 - dep. 03/03/2015, P.O. in proc. c/ Ignoti, Rv. 262892 Cass., Sez. 1, 13 dicembre 2012, n. 2862 . 7. Tanto premesso, i motivi proposti sono infondati. Il tribunale di Firenze, al fine di decidere sull’opposizione all’esecuzione ex art. 667 c.p.p., comma 4, ha innanzitutto preso atto dell’accertamento a monte operato nella sentenza di merito con la quale veniva affermato che il denaro non era riferibile al P. in qualità di legale rappresentante della società , bensì a terzi scommettitori da individuare e ai quali restituire quanto precedentemente sequestrato, previa dimostrazione del relativo titolo. Tale conclusione veniva fondata dal giudice sul contenuto contrattuale del rapporto intercorrente tra la Giochi Telematici s.r.l. e gli scommettitori-clienti, il cui versamento consentiva sostanzialmente la trasformazione del denaro contante in valuta elettronica funzionale al gioco. In seguito, la decisione qui impugnata esamina distintamente la posizione dei due opponenti, condividendo il provvedimento opposto del giudice dell’esecuzione in quanto a relativamente al P. , il Tribunale di Firenze rilevava il difetto di un titolo giuridico che potesse essere fatto valere per la restituzione dei beni, avendo lo stesso presentato opposizione in proprio b la posizione del D.V. , quale liquidatore della società, non è stata condivisa invece proprio in ragione dell’accertamento operato in sede di merito circa la titolarità del denaro riconducibile agli scommettitori e non alla società. La contestazione in punto di inclusione nel conto corrente di somme versate a diverso titolo quale ad esempio il canone mensile di affiliazione e quindi non riconducibili ai giocatori, avrebbe dovuto invece essere sostenuta e provata in diversa sede, non potendo essere oggetto di esame in fase di esecuzione. 8. Corretta pertanto è la destinazione alla Cassa delle ammende delle somme non essendo stata avanzata alcuna richiesta di restituzione fondata su un valido titolo giuridico. 9. Sotto tale profilo dunque, non hanno pregio le doglianze sviluppate nei quattro motivi. 10. Non quella articolata nel primo motivo, posto che non solo non rileva la circostanza che l’imputato P. avesse presentato richiesta di restituzione delle somme rigettata dal giudice di merito, atteso che il disposto del D.P.R. n. 155 del 2002, art. 154, comma 3 secondo cui Se l’avente diritto alla restituzione di somme o di valori sequestrati è ignoto o irreperibile, le somme e i valori sono devoluti alla Cassa delle Ammende decorsi sei mesi dalla data in cui la sentenza è passata in giudicato o il provvedimento è divenuto definitivo , deve essere applicato non solo quando ab origine non vi siano aventi diritto ignoti o irreperibili e dunque, come sostenuto dalla difesa, solo nelle ipotesi in cui il diritto non è in contestazione e non vi siano richiedenti , ma anche nel caso in cui, pur essendovi richiedenti, il giudice ritenga che gli stessi non abbiano titolo giuridico alla restituzione del denaro. Quanto sopra è stato infatti può essere desunto da una decisione di questa Corte, precisandosi invero che in relazione a somme di denaro sequestrate per le quali non vi sia istanza di restituzione il giudice dell’esecuzione deve provvedere d’ufficio alla restituzione all’avente diritto ai sensi dell’art. 263 c.p.p., comma 1, se non vi sia dubbio sulla loro appartenenza, mentre, se l’avente diritto è ignoto o irreperibile e, si aggiunga ad ulteriore specificazione, nel caso in cui l’eventuale istanza di restituzione sia proposta da soggetto non legittimato e gli effettivi titolari delle somme non abbiano proposto alcuna istanza , deve disporne la devoluzione alla Cassa delle Ammende ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 154, comma 3 Sez. 1, n. 10273 del 08/02/2008 - dep. 06/03/2008, De Lassis Presbiteri, Rv. 239566 . 11. Non ha pregio nemmeno la censura sostenuta nel quarto motivo, afferente ad una presunta violazione di legge operata dal giudice attraverso l’erronea applicazione dell’art. 154 citato, che avrebbe celato in realtà una confisca del denaro. Trattasi di affermazione che non può essere condivisa dovendosi sul punto ritenere non pertinente pure il rilievo del P.G. presso questa Corte, che muove dal presupposto, erroneo, che di confisca si tratti , atteso che il giudice ha fatto correttamente applicazione della norma in questione, che non determina alcuna ablazione coattiva presupponendo, infatti, la mancanza di soggetti legittimati che rivendichino la proprietà o, più correttamente, dimostrino rigorosamente lo ius possidendi del denaro sequestrato , non potendo dunque ritenersi che il provvedimento di devoluzione alla Cassa delle Ammende abbia natura giuridica di confisca . Nè, peraltro, il giudice era tenuto previamente a disporre la confisca delle somme poiché, ai fini della devoluzione, non interessa che le somme siano confiscate, essendo sufficienti che siano in sequestro, avendo il legislatore voluto introdurre un sistema veloce di destinazione dei beni sequestrati e del ricavato della loro vendita, indipendentemente dalla confisca, pur se nel rispetto dei diritti dell’imputato e dei terzi nella cui disponibilità sono stati rinvenuti i beni sequestrati, essendo prevista la previa citazione dei soggetti interessati, come è avvenuto nel caso in esame. 12. Analogamente deve ritenersi quanto alle doglianze sviluppate nel secondo e nel terzo motivo, con cui si evocano asseriti vizi di motivazione del provvedimento impugnato. 13. Ed invero, quanto al secondo motivo, secondo cui si asserisce che le determinazioni del giudice dell’esecuzione si porrebbero in contraddizione con il provvedimento di cognizione, aggiungendosi anche che il provvedimento impugnato mancherebbe del tutto della motivazione e dell’indicazione degli elementi processuali dai cui sarebbe stato ricavato che gli aventi diritto alla restituzione sarebbero rimasti ignoti ed irreperibili causa l’assenza in atti di qualsiasi accertamento diretto ad identificare gli ignoti e a rintracciare gli eventuali noti , trattasi di censura priva di pregio in quanto proposta da soggetto non legittimato, atteso che, come emerge chiaramente dal provvedimento impugnato non solo il liquidatore della società istante era stato presente sia nella precedente fase sia in quella che ha dato origine al provvedimento impugnato avendo quindi esplicato appieno le proprie difese , ma soprattutto non ha alcun interesse e titolo giuridico a dolersi dell’asserita contraddittorietà della motivazione dei due provvedimenti e dell’asserita mancanza di accertamenti finalizzati a individuare i soggetti aventi diritto alla restituzione, una volta che il giudice sia con il provvedimento del 5.06.2015 che con quello oggi impugnato aveva escluso che il liquidatore della Giochi Telematici s.r.l. potesse qualificarsi come avente diritto alla restituzione, essendo il denaro non di spettanza della società in questione, ma dei terzi scommettitori. Venuto meno il riconoscimento di una legittimazione della società ad ottenere la restituzione, dunque, tutte le ulteriori questioni poste con il secondo motivo, avrebbero potuto al più essere sollevate dagli eventuali soggetti terzi scommettitori, titolari delle somme, unici legittimati eventualmente a dolersi della devoluzione alla Cassa delle Ammende, ma non certo dalla società, priva di interesse a eccepire vizi motivazionali del provvedimento rispetto ai quali non potrebbe sortire alcun effetto favorevole, una volta esclusane la natura di soggetto avente diritto alla restituzione . Ed invero, deve qui essere ribadito che l’interesse richiesto dall’art. 568 c.p.p., comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento oggetto dell’impugnazione e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione del predetto provvedimento, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante v., tra le tante Sez. 6, n. 17686 del 07/04/2016 - dep. 28/04/2016, Conte, Rv. 267172 . 14. Infine, ad analogo approdo deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo, sempre afferente ad un presunto vizio motivazionale, con cui si sostiene che l’ordinanza impugnata non si sarebbe confrontata con la consulenza dell’Avv. Bassi secondo la quale chi acquistava le card avrebbe accettato le condizioni contrattuali, prima tra tutte la irripetibilità delle somme corrisposte e la scadenza temporale del diritto a fruire del servizio acquistato , atteso che una parte delle somme sui conti non sarebbe di proprietà degli acquirenti delle card, donde sarebbe ravvisabile una omessa motivazione in ordine ai rilievi difensivi, non avendo considerato che le quote ed il canone di affiliazione certamente non potrebbero essere di pertinenza degli acquirenti finali. Nel caso di specie, la ricorrente, più che prospettare un reale vizio motivazionale tenta di fornire una diversa lettura degli elementi sulla cui base il giudice ha ritenuto non legittimato il liquidatore della società a ottenere la restituzione delle somme sequestrate, introducendo peraltro un elemento - quello della esistenza di somme non appartenenti ad ignoti ma alla società, costituite dalle quote e dal canone di affiliazione che non sarebbero di pertinenza degli acquirenti finali - il cui accertamento trattandosi all’evidenza di verificare la possibilità di scorporo dalla somma sequestrata di un equivalente monetario, asseritamente costituito dal corrispettivo versato quale una tantum dall’affiliato nonché dal canone mensile di affiliazione , presupporrebbe un accertamento in fatto da parte di questa Corte, valutazione come è noto inibita in sede di legittimità. 15. Nè, peraltro, può ritenersi mancante la motivazione per non aver tenuto conto di quanto riportato nella consulenza, avendo infatti l’ordinanza impugnata tenuto conto della c.t. eseguita dall’avv. Prof. Bassi nel disattendere la richiesta del liquidatore v. pag. 3 , donde ancora una volta la doglianza non coglie nel segno, sostanzialmente criticando l’approdo valutativo cui è pervenuto il giudice di merito, celando tale dissenso dietro l’asserita sussistenza di un vizio di motivazione. 16. Quanto alla asserita prassi commerciale che sarebbe sostenuta da alcune decisioni di questa Corte del 2016, in cui è stato delineato il rapporto intercorrente tra le compagnie telefoniche e il rivenditore di ricariche telefoniche e carte servizi , trattasi all’evidenza di doglianza priva di pregio in quanto, ancora una volta, si tenta di introdurre in sede di legittimità un argomento di cui non v’è menzione negli elementi valutati dal giudice dell’ordinanza impugnata, dolendosi di un ipotetico vizio motivazionale che non può certo essere dedotto per la prima volta davanti a questa Corte. Non possono infatti essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso provvedimento adottato dal giudice del merito pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto giudice, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita dai motivi scritti a sostegno della richiesta di incidente di esecuzione, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza camerale tenutasi a norma dell’art. 667 c.p.p., comma 4. 17. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.