Facoltà di patteggiare la pena: i poteri del difensore avvalso di procura speciale

L’assenza dell’imputato all’udienza e il conferimento di mandato speciale al difensore, privo di indicazioni sulla definizione del processo mediante pena concordata, rendono la sentenza affetta da nullità a causa del difetto di valida rappresentanza dell’imputato stesso.

Sul tema torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 23119/19, depositata il 24 maggio. La vicenda. Il Tribunale applicava all’imputato la pena di 6 mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998. Avverso tale decisione, l’imputato propone ricorso per violazione di norme processuali in relazione all’art. 448, comma 2- bis , c.p.p In particolare, l’imputato aveva dato procura speciale ad un avvocato senza però esplicitare la volontà di definire il procedimento con in rito alternativo poi richiesto ed ammesso , pertanto l’accordo raggiunto dal difensore con il rappresentante della Procura della Repubblica, in assenza del diretto interessato, doveva ritenersi invalido. La necessaria manifestazione di volontà dell’imputato. Per il ricorrente quello che manca, dunque, è una sua valida manifestazione di volontà di definire il processo a suo carico mediante l’attivazione del rito speciale del patteggiamento. Al riguardo va menzionato che il comma 2- bis dell’art. 448 c.p.p. dispone che il PM e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p. solo per motivi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza. Pertanto la richiesta di ammissione al rito alternativo costituisce un atto personalissimo dell’imputato, col quale egli esprime determinazioni dispositive che incidono sul proprio diritto di libertà e può essere formulata o di persona o con procura speciale, in tal caso però l’incarico assegnato deve menzionare in termini specifici ed espressi la legittimazione ad attivare il rito alternativo. Nel caso in esame, l’assenza dell’imputato all’udienza e il conferimento di mandato speciale al difensore, privo di indicazioni sulla definizione del processo mediante pena concordata, rendono la sentenza affetta da nullità a causa del difetto di valida rappresentanza dell’imputato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 aprile – 24 maggio 2019, n. 23119 Presidente Di Tommasi – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con sentenza resa il 2 marzo 2018 il Tribunale di Piacenza, su richiesta delle parti, applicava ai sensi dell’art. 444 c.p.p., all’imputato S.Y. la pena di mesi sei di reclusione in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, fatto accertato in omissis . 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento parziale per violazione di norme processuali in relazione all’art. 448 c.p.p., comma 2 bis. Secondo la difesa, l’imputato aveva conferito procura speciale all’avv.to Emilio Dadomo ma senza avere esplicitato la volontà di definire il procedimento col rito alternativo poi richiesto ed ammesso, sicché l’accordo raggiunto dal predetto difensore con il rappresentante della Procura della Repubblica, in assenza del diretto interessato, doveva ritenersi invalido. In ogni caso l’imputato aveva espresso l’intenzione di far valere la propria condizione di soggetto coniugato con cittadina italiana convivente e di titolare di regolare permesso di soggiorno, rilasciatogli dalla , il che avrebbe imposto la sua considerazione quale cittadino comunitario. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott. Francesco Salzano, ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con ogni statuizione conseguente. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va dunque accolto. 1.Il ricorrente ha denunciato l’erroneità della statuizione contenuta nella sentenza impugnata di applicazione della pena concordata tra le parti in relazione al difetto di una valida manifestazione della propria volontà di definire il processo a suo carico mediante l’attivazione del rito speciale del patteggiamento. 1.1 In punto di fatto, il ricorrente ha dedotto e dimostrato che, tratto in arresto per la flagrante violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, arresto convalidato dal Tribunale cui era stato presentato per essere giudicato col rito direttissimo, e chiesta dallo stesso la concessione di un termine a difesa, egli aveva provveduto a designare propri procuratori speciali l’avv.to Sara Felloni e l’avv.to Emilio Dadomo, quindi all’udienza successiva quest’ultimo legale aveva avanzato istanza di applicazione della pena concordata con il rappresentante dell’accusa ed il relativo accordo era stato recepito nella sentenza impugnata. 1.2 Dalla lettura del verbale dell’udienza del 20 febbraio 2018, -direttamente consultabile da parte di questa Corte, investita anche della verifica dei presupposti di fatto della questione processuale sollevata-, emerge che l’imputato, ricevuto avviso dal Giudice della facoltà di chiedere la concessione di un termine a difesa di essere giudicato con un rito alternativo, aveva chiesto il termine a difesa e nominato procuratore speciale l’avv.to Sara Felloni e l’avv.to Emilio Dadomo nominato d’ufficio e non di fiducia, disgiuntamente tra loro . Alla successiva udienza del 2 marzo 2018, senza fossero stati prodotti ulteriori atti e nell’assenza dello stesso imputato, l’avv.to Dadomo per conto dello S. aveva patteggiato la pena, sebbene l’atto di conferimento della procura speciale non contenesse nessun riferimento all’accesso a quel rito speciale ed alla determinazione negoziata della pena. 2. Tanto premesso, va ricordato che con la L. n. 103 del 2017, al vigente art. 448 c.p.p., è stata apportata una modifica incidente sull’ambito di deducibilità dei vizi che inficiano la sentenza di patteggiamento mediante l’introduzione del comma 2 bis, a detta del quale il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. e ss., solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza . 2.1 La riforma ha inciso sull’unico rimedio esperibile avverso la sentenza di patteggiamento in termini che, per quanto attiene alla volontà dell’imputato, sono funzionali a garantirne la consapevole scelta del rito alternativo con una previsione che sul piano del mezzo d’impugnazione e del suo contenuto si pone come simmetrica con il dovere, già imposto dal sistema processuale all’art. 446 c.p.p., comma 5, che incarica il giudice di verificare la volontarietà della richiesta o del consenso , disponendo, se lo ritenga opportuno, la comparizione personale dell’imputato. 2.2 La portata innovativa della novella si apprezza, sia sul piano formale per l’introduzione di disposizione in precedenza assente, sia perché in contrasto con l’interpretazione giurisprudenziale formatasi in base al testo previgente dell’art. 448 c.p.p., che aveva sempre escluso la deducibilità quale motivo di ricorso per cassazione di eventuali ripensamenti o vizi di volontà o di comprensione del patto e delle sue conseguenze sanzionatorie, che non si fossero tradotti in violazione di norme processuali causa di nullità, per le quali opera il principio di tassatività Cass., sez. 4, n. 54580 del 19/09/2018, Sentimenti, rv. 274505 sez. 1, n. 15557 del 20/03/2018, Tarik ed altri, rv. 272630 . A giustificazione di tale arresto si era osservato che l’accordo tra le parti non può essere rimesso in discussione con contestazioni postume sull’accusa elevata all’imputato, perché esso implica la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla validità formale della richiesta di patteggiamento, alla legalità della pena applicata, alla definizione giuridica dei fatti, se viziata da palese erroneità ed al consenso prestato dall’imputato per la definizione del giudizio sez. 1, n. 46146 del 4/11/2009 P.G. in proc. Rosa, rv. 245505 sez. 5, n. 21287 del 25/3/2010, Legari, rv. 247539 sez. 4, n, 10692 dell’11/03/2010, P.G. in proc. Hernandez, rv. 246394 . Una volta che la richiesta di applicazione della pena sia pervenuta a conoscenza dell’altra parte processuale e sia stata da questa accolta, il negozio processuale non è suscettibile di recesso o di modifiche unilaterali anche se non sia stato ancora recepito nella sentenza che conclude il processo, producendo effetti irreversibili, come deducibile dal disposto dell’art. 447 c.p.p., comma 3. A fronte di questo consolidato orientamento, nelle pronunce di questa Corte è stata riconosciuta unicamente la possibilità di far valere nel giudizio di legittimità la condizione personale di incapacità d’intendere e volere dell’imputato e la conseguente compromissione della capacità di stare in giudizio validamente, già accertata prima della pronuncia della sentenza, oppure oggetto di successivo riscontro debitamente documentato, poiché in tale situazione la piena imputabilità opera quale precondizione dell’accordo e la sua carenza determina che il consenso prestato dal diretto interessato al negozio processuale non può produrre effetti ed è affetto da nullità l’accordo raggiunto con la parte pubblica sez. 6, n. 38454 del 14/07/2017, Arigò, rv. 270850 sez. 6, n. 7530 del 21/01/2016, Amodio, rv. 266104 sez. 6, n. 13183 del 02/04/2012, Gugole, rv. 252594 . 2.3 Ritiene il Collegio che in realtà la situazione rappresentata in ricorso dallo S. integri un motivo deducibile col ricorso per cassazione anche alla stregua della previgente formulazione dell’art. 448 c.p.p., per la dirimente ragione che il difensore, che ha agito in sua rappresentanza, si è avvalso di procura speciale, che non conteneva anche la facoltà di patteggiare la pena e quindi ha definito il procedimento senza essere munito dei necessari poteri. Se dunque, com’è pacifico sez. 6, n. 23804 del 29/05/2009, Izzo, rv. 244289 sez. 2, n. 17381 del 6/04/2011, Basile, rv. 250073 , la richiesta di ammissione costituisce atto personalissimo dell’imputato, col quale egli esprime determinazioni dispositive incidenti sul proprio diritto di libertà e può essere formulata di persona, oppure a mezzo di procuratore speciale, è però necessario che in questo secondo caso l’incarico assegnato menzioni in termini specifici ed espressi la legittimazione ad attivare il rito alternativo, senza sia consentito ricavare tale potere per implicito in assenza di una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà. A norma dell’art. 122 c.p.p., la procura deve contenere l’indicazione dell’oggetto per cui è conferita e, sebbene non siano prescritte formule rituali e tassative, essa deve fare riferimento al potere di richiedere la applicazione di pena ex art. 444 c.p.p 2.4 Nel caso specifico, l’assenza dell’imputato all’udienza ed il conferimento di mandato speciale al difensore, privo di indicazioni sulla definizione del processo mediante pena concordata, rendono la sentenza impugnata affetta da nullità per violazione dell’art. 446, e dell’art. 178 c.p.p., lett. c , a causa del difetto di valida rappresentanza dell’imputato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata. Dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Piacenza per nuovo giudizio.