La “Spazzacorrotti” non si applica alle sentenze passate in giudicato prima della sua entrata in vigore

Poiché è al momento del passaggio in giudicato del provvedimento da eseguire che si apre il rapporto processuale di esecuzione e si cristallizza il contesto normativo che definisce le modalità di esecuzione della pena, l’unica interpretazione della norma sopravvenuta che conduca a risultati irragionevoli e non leda le legittime aspettative del condannato è quella che si applichi solo in relazione alle sentenze divenute esecutive dopo la sua entrata in vigore.

Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Appello di Catania che accoglie il ricorso del condannato a cui non era stato sospeso l’ordine di carcerazione e per il quale si erano aperte le porte del carcere , disponendone l’immediata scarcerazione. Il mutato quadro normativo. La recente legge 9 gennaio 2019, n. 3, entrata in vigore il 31 gennaio 2019 c.d. Spazzacorrotti” , ha incluso i delitti contro la pubblica amministrazione nel novero dei reati ostativi dell’art. 4- bis dell’ordinamento penitenziario. Tale modifica si riverbera sull’ordine di esecuzione della pena. Infatti, atteso il rinvio operato dall’art. 656, comma 9, lett. a , c.p.p. al 4- bis , non è più possibile sospendere per le condanne a pene non superiori a quattro anni di pena detentiva l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e, pertanto, di richiedere nei trenta giorni successivi alla sua comunicazione l’ammissione alle misure alternative alla detenzione. Tra gli effetti della riforma vi è quindi quello di imporre, per i condannati nella sfera dei c.d. corrotti” l’assaggio di carcere e impedire che, nei loro confronti, operino – in difetto di collaborazione con la giustizia – le forme di esecuzione extramuraria sia di tipo trattamentale permesso premio, lavoro all’esterno sia di natura propriamente alternativa alla detenzione Fiorentin . È una quaestio molto controversa, sulla quale si pronuncerà a breve anche la Suprema Corte visto che la Procura Generale della Repubblica etnea, dopo la pronuncia in commento, ha proposto ricorso per Cassazione . Più precisamente, premesso che l’articolo 1, comma 6, l. n. 3/2019 non prevede alcuna norma di diritto intertemporale, occorre decidere se il nuovo art. 656, comma 9, c.p.p. possa trovare applicazione per tutte le esecuzioni in corso al momento della sua entrata in vigore o se sia individuabile un limite temporale solo a partire dal quale la nuova norma può produrre effetto. La vicenda. Nel caso di specie, un condannato per delitto di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p., la sentenza che aveva sancito la irrevocabilità era intervenuta il 10.1.2019, ma il fascicolo della sua esecuzione è stato lavorato dopo” l’entrata in vigore della Spazzacorrotti, esattamente il 5.2.2019, dove veniva emessa l’ordine di carcerazione. Il condannato presentava incidente di esecuzione sostenendo 1 la natura sostanziale della norma formalmente processuale dell’art. 656 c.p.p. così come dell’art. 4- bis incidendo sulla qualità” della pena 2 in ogni caso, anche restando confinato nel binario processuale della norma in esame, era il passaggio in giudicato della sentenza che occorreva individuare il momento di applicazione del tempus regit actum . La quaestio. Ecco dunque il quesito, che incide fortemente sulla libertà personale del condannato, sottoposto alla Corte territoriale cosa succede se, a causa dello scarto temporale tra il momento formale dell’avvio della fase di esecuzione rispetto a quello della effettiva lavorazione”, l’ordine di esecuzione viene emesso dopo l’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019 , quindi dal 31 gennaio 2019 in poi? La dottrina ha segnalato che agli ordini non materialmente emessi ma emettibili”, le cui pronunce siano divenute definitive entro il 30 gennaio 2019, dovranno essere disciplinati dalla disposizione precedente – quindi dall’articolo 656, comma 5, c.p.p., posto che la fase di esecuzione deve ritenersi avviata e quindi vincolata alla disciplina vigente al momento della definitività del giudicato Alberta . La decisione della Corte etnea tempus regit actum. Questo ragionamento è stato seguito dalla Corte d’Appello di Catania la quale si muove sempre nel considerare le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione – non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa – non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto, in assenza di una specifica disciplina transitoria, soggiacciono al principio tempus regit actum ” e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo. Revirement della Cassazione natura sostanziale e non processuale? Sul punto in verità nella recente sentenza n. 12541 del 20 marzo 2019 della Prima Sezione, la Corte di Cassazione, nel ritenere non manifestamente infondata, ma comunque non rilevante, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. b , l. 9 gennaio 2019, n. 3, per contrasto con l’art. 117 della Costituzione norma interposta della violazione dell’art. 7 della Cedu nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli ostativi” ai sensi dell’art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, senza prevedere un regime intertemporale, la pronuncia della Cassazione, qui segnalata, sembra aprire, suggerendola, la via di un revirement giurisprudenziale. Si richiama, all’uopo, la giurisprudenza della Corte EDU sulla ‘materia penale’ dove si segue un approccio sostanzialistico e non formalistico in particolare la sentenza Del Rio Prada contro Spagna del 21 ottobre 2013, là dove la Grande Camera della Corte EDU, nel ravvisare una violazione dell'art. 7 della Convenzione, ha riconosciuto rilevanza anche al mutamento giurisprudenziale in tema di un istituto riportabile alla liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento in quanto suscettibile di comportare effetti peggiorativi, giungendo dunque ad affermare che, ai fini del rispetto del principio dell'affidamento” del consociato circa la prevedibilità della sanzione penale”, occorre avere riguardo non solo alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione. Il passaggio in giudicato spartiacque” della fase esecutiva. La Corte d’Appello di Catania ricorda che dal combinato disposto dell’art. 650, comma 1, c.p.p. – a norma del quale le sentenze e i decreti penali di condanna hanno forza esecutiva, salvo che sia diversamente disposto, quando sono divenuti irrevocabili – e dell’art. 656, comma 1, c.p.p. – che prescrive al pubblico ministero di emettere l’ordine di esecuzione quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, emerge che l’ordine di esecuzione deve essere emesso quando la sentenza è divenuta irrevocabile senza ritardo secondo quanto prescrive l’art. 28 delle norme di attuazione al codice di rito . Per la Corte territoriale, il passaggio in giudicato della sentenza costituisce il presupposto e il fattore condizionante l’ordine di esecuzione da tale momento il condannato matura la legittima aspettativa che l’esecuzione della pena che gli è stata inflitta avvenga secondo le modalità previste dalla legge allora vigente, considerato, altresì, che l’art. 13 della Costituzione prescrive che le limitazioni alla libertà personale sono ammesse nei soli casi e modi previsti dalla legge. Affidamento del condannato anche per le norme processuali”. In tali passaggi si richiama il principio dell’affidamento del condannato non entrare in carcere, facendo, per l’appunto, affidamento sulla possibilità di chiedere e ottenere da libero una misura alternativa alla detenzione, evitando che egli si trovi inaspettatamente con la sacca sulle spalle, pronto a varcare la soglia del carcere Gatta . Tale principi, fatto proprio dalla giurisprudenza EDU e adesso dalla Cassazione nella richiamata sentenza n. 12541/19 con riferimento alla prevedibilità della sanzione penale, e qui esteso anche all’art. 656 c.p.p. oltre che all’art. 4- bis ord. pen. , quindi alla norma che si ritiene solo di natura processuale. Evitare odiose disparità di trattamento. Inoltre, in assenza di norme transitorie, il giudice può evitare che l’applicazione dell’art. 4- bis ad uno dei delitti contro la pubblica amministrazione commesso prima dell’entrata in vigore della l. n. 3/2019 comporti vistose disparità di regime e trattamenti diversi e odiosi” si è detto con voluta ironia cancelliere regit actum ” . Può infatti accadere che due ordini di carcerazione, per fatti anteriormente commessi e per sentenza entrambe passate in giudicato sotto la vecchia disciplina Manes . Proprio seguendo tale ragionamento, la Corte etnea, in accoglimento del ricorso, ordina la sospensione dell’ordine di esecuzione, afferma che l’affidamento del condannato a che l’esecuzione della pena avvenga con modalità previste dalla legge allora vigente, strettamente connesso alla libertà personale, fa sì che lo spatium deliberandi intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza e l’emissione dell’ordine di carcerazione, nel quale si insinua la novella legislativa che introduce nuove ipotesi ostative alla concessione di misure alternative alla detenzione, non può essere posto a detrimento del condannato.

Corte d’Appello di Catania, sez. II Penale, ordinanza 22 marzo 2019 Presidente Quartararo - Estensore Maggiore Fatto e diritto L'istante ha promosso incidente di esecuzione al fine di ottenere la sospensione dell'ordine di carcerazione emesso nei suoi confronti dal Procuratore generale in data 05.02.19. Il B., infatti, è stato condannato alla pena di anni due, mesi undici e giorni ventotto per il delitto di cui all'art. 319 c.p. con sentenza della Corte di appello di Catania divenuta esecutiva in data 10.01.19. Com'è noto, l'art. 656, co. 5, c.p.p prevede che se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. Il comma 9 della stessa norma dispone, però, che la sospensione dell'esecuzione di cui al cennato comma 5 non può essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 572, secondo comma, e 612-bis, terzo comma, 624-bis, del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. Nel caso di specie rileva che il delitto di cui all'art. 319 c.p. rientri nel catalogo di reati previsti dall'art. 4-bis della L. 354/75, così come modificato dall'art. 1, co. 6, L. 3/19, in vigore dal 31.01.19. Il quesito che si pone nel caso di specie è quello relativo al se debba trovare applicazione la novella legislativa per fatti commessi anteriormente o, comunque, in relazione a condanne divenute definitive prima dell'entrata in vigore della medesima. Quanto al primo profilo reputa la Corte che vada ribadito il principio secondo il quale le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto in assenza di una specifica disciplina transitoria , soggiacciono al principio tempus regit actum , e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 cod. pen., e dall'art. 25 della Costituzione Cass. S.U. 24561/06 . Nella specie, considerato che la L. 3/19 non ha dettato alcuna specifica norma transitoria, deve trovare applicazione il principio tempus regitactum anche per reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore. In relazione al secondo profilo reputa la Corte che con riferimento all'ordine di esecuzione il tempus deve essere individuato nella data del passaggio in giudicato della sentenza che si intende eseguire. Invero, ai sensi dell'art. 650, co. 1, c.p.p le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva, salvo che sia diversamente disposto, quando sono divenuti irrevocabili. L'art. 656, co. 1, c.p.p prescrive, inoltre, che il pubblico ministero emetta l'ordine di esecuzione quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva. Dal combinato disposto delle due norme emerge, dunque, che l'ordine di esecuzione deve essere emesso quando la sentenza è divenuta irrevocabile senza ritardo secondo quanto prevede l'art. 28, norme attuazione c.p.p . Il passaggio in giudicato della sentenza segna, pertanto, il momento a partire dal quale la sentenza può e deve essere eseguita. L'omissione o il ritardo dell'ordine di esecuzione, ex art. 656 c.p.p, non incide sull'apertura della fase esecutiva considerato che, nella fase di esecuzione, il rapporto processuale è validamente costituito dalla sentenza irrevocabile e nessun effetto di rilievo svolge l'ordine di carcerazione, trattandosi di mero adempimento amministrativo v. Cass. 19647/11 tale principio è stato recentemente ribadito da Cass. 30140/18 in motivazione . E', dunque, al momento del passaggio in giudicato del provvedimento da eseguire che si apre il rapporto processuale di esecuzione e si cristallizza il contesto normativo che definisce le modalità di esecuzione della pena. E' in tale momento, inoltre, che il condannato viene a conoscenza del fatto che la pena a lui inflitta dovrà essere eseguita e matura il diritto a che l'esecuzione della pena detentiva, limitativa della libertà personale, avvenga con le modalità previste dalla legge in allora vigente. Diversamente opinando, le modalità di esecuzione di una sentenza di una pena detentiva sarebbero rimesse al caso si pensi all'ipotesi in cui il P.M. delegato all'esecuzione sia in ferie o in malattia o, peggio, all'arbitrio dell'organo esecutivo che potrebbe decidere se emettere l'ordine di esecuzione prima o dopo l'entrata in vigore della novella legislativa. Potrebbe, poi, configurarsi in concreto una irragionevole disparità di trattamento tra correi, condannati nel medesimo procedimento, per il medesimo reato ed alla stessa pena per un correo, infatti, la pena potrebbe essere eseguita prima dell'entrata in vigore della novella legislativa e per un altro successivamente, con modalità e grado di afflittività del tutto diversi. Va osservato, peraltro, come nella giurisprudenza CEDU e della Corte costituzionale siano stati individuati dei limiti al principio tempus regit actum. Si è affermato, infatti, che la concreta applicazione di tale principio deve avvenire in assenza di arbitrarietà CEDU decomma 08.07.14 Biagioli comma San Marino , mentre limiti sono stati individuati, ad es., nel principio di eguaglianza e nel diritto di difesa cfr. C. Cost. 394/02 ove in tema di efficacia delle sentenze di patteggiamento nei giudizi disciplinari è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, co. 1, L. 97/2001 nella parte in cui prevedeva che gli articoli 1 e 2 della stessa legge si riferivano anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore si è in particolare affermato che l'anzidetta disposizione transitoria, in contrasto con il congiunto operare delle garanzie poste dagli articoli 3 e 24 della Costituzione, ha radicalmente innovato alla disciplina che l'imputato aveva avuto presente nel ponderare l'opportunità di addivenire al patteggiamento ed ha retroattivamente attribuito al consenso prestato l'ulteriore significato di una rinunzia alla difesa anche nel successivo procedimento disciplinare rinunzia pressoché totale, deve aggiungersi, posto che l'efficacia di giudicato della sentenza di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale si estende a tutti gli elementi della fattispecie. In tal modo l'articolo 10, comma 1, poc'anzi citato, non tanto ha violato una aspettativa generica e non titolata di permanente vigenza di una determinata disciplina legislativa aspettativa, che, in termini così generali, questa Corte ha sempre escluso potesse essere tutelata - quanto ha leso un affidamento qualificato dal suo intimo legame con l'effettività del diritto di difesa nel procedimento disciplinare e quindi costituzionalmente protetto dal simultaneo agire, nella presente fattispecie, dei parametri evocati dal giudice remittente . Anche la Corte di Cassazione ha individuato in talune ipotesi limiti ad un'applicazione rigida del principio tempus regit actum. In particolare Cass. S.U. 27919/11, Ambrogio, pronunciata in materia di misure cautelari a seguito della modifica dell'art. 275 c.p.p disposta dal D.L. 11/09, ha, dapprima, affermato che la regola ricavabile dall'art. 11 delle preleggi corrisponde ad esigenze di certezza, razionalità, logicità e che il brocardo tempus regit actum costituisce una guida logica, semplice e certa per il compimento dell'atto e consente di risolvere spesso senza incertezze i problemi di diritto intertemporale che insorgono, o possono insorgere, quando una determinata materia sia regolata da norme di diverso contenuto che si susseguono nel tempo. Ha aggiunto, però, che se di solito non emergono questioni problematiche quando l'atto si compie e si esaurisce istantaneamente, problemi possono più facilmente insorgere, invece, quando il compimento dell'atto, o lo spatium deliberandi o ancora gli effetti si protraggono, si estendono nel tempo un tempo durante il quale la norma regolatrice muta . Ha concluso, quindi, sostenendo che problemi in questione, sebbene rinvengano una comune, vaga matrice nel susseguirsi di norme differenti entro un medesimo campo d'azione, presentano solitamente tratti distintivi irriducibili in relazione ai diversi istituti. Dunque, piuttosto che cercare soluzioni di carattere generale, conviene considerare che il superamento di alcuni problemi può essere favorito da una attenta disamina della complessiva disciplina legale della materia cui ci si interessa e dall'individuazione del concreto, reale ruolo che la nuova norma è chiamata a svolgervi alla luce delle diverse possibili soluzioni dei problemi di diritto intertemporale Cass. S.U. 27614/07, Lista, in materia di impugnazioni, ha affermato che ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell'impugnazione . In particolare ha sostenuto che non può, inoltre, avallarsi, ai fini che qui interessano, una nozione indifferenziata di atto processuale, poiché deve aversi riguardo anche alle dimensioni temporali del medesimo, per modulare correttamente il parametro intertemporale e stabilite se sia applicabile il vecchio o il nuovo regime. E' necessario distinguere tra varie specie di atti quello con effetti istantanei che si esaurisce senza residui nel suo puntuale compimento e ha, per così dire, una funzione autoreferenziale quello che, pur essendo di esecuzione istantanea, presuppone una fase di preparazione e di deliberazione più o meno lunga ed è strettamente ancorato ad altro atto che lo legittima e che finisce con l'assumere rilievo centrale quello che ha carattere strumentale e preparatorio rispetto ad una successiva attività del procedimento, con la quale va a integrarsi e completarsi in uno spazio temporale anch'esso più o meno ampio, dando luogo ad una fattispecie processuale complessa. La regola tempus regit actum non può non tenere conto della variegata tipologia degli atti processuali e va modulata in relazione alla differente situazione sulla quale questi incidono e che occorre di volta in volta governare. Le Sezioni Unite hanno poi stigmatizzato l'applicazione in senso letterale della formula tempus regit actum che conduca ad esiti irragionevoli1 e hanno, quindi, concluso affermando che è vero che è insita nel fenomeno della successione di norme nel tempo una certa disparità di trattamento, che, però, per non essere censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale cfr. C. Cost. sent. n. 381/01 , non deve essere altrimenti evitabile e/o irragionevole e non deve coinvolgere, in senso penalizzante, l'autonomia di azione e il diritto di difesa della parte processuale interessata . Ancora Cass. S.U. 4265/98, Gerina, hanno stabilito che qualora nel corso del processo si verifichino innovazioni legislative in materia di utilizzabilità o inutilizzabilità della prova, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento della decisione e non a quello dell'acquisizione della prova, atteso che il divieto di uso, colpendo proprio l'idoneità di questa a produrre risultati conoscitivi valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, interviene allorché il procedimento probatorio non ha trovato ancora esaurimento, di modo che il divieto inibisce che i dati probatori, pur se acquisiti con l'osservanza delle forme previste dalle norme previgenti, possano avere un qualsiasi peso nel giudizio , evidenziando ancora una volta come il principio tempus regit actum non vada applicato rigidamente, ma debba essere declinato diversamente con specifico riferimento al contesto nel quale la modifica si inserisce. Ciò posto, reputa la Corte che, nel caso in esame, l'unica interpretazione della norma sopravvenuta che non conduca a risultati irragionevoli e non leda le legittime aspettative del condannato è quella che si applichi solo in relazione alle sentenze divenute esecutive dopo la sua entrata in vigore. Occorre prendere atto del fatto che l'ordine di esecuzione non può essere adottato, se non vi è stato il passaggio in giudicato della sentenza che si intende eseguire. Il passaggio in giudicato della sentenza costituisce, dunque, il presupposto e il fattore condizionante l'ordine di esecuzione che, per sé solo, non ha una sua autonomia, ma costituisce soltanto una delle fasi necessarie dell'esecuzione della pena detentiva passaggio in giudicato della sentenza - ordine di esecuzione - 4 carcerazione . Al passaggio in giudicato della sentenza, dunque, il condannato matura la legittima aspettativa che l'esecuzione della pena che gli è stata inflitta avvenga secondo le modalità previste dalla legge in allora vigente, considerato, altresì, che l'art. 13 Cost. prescrive che le limitazioni alla libertà personale sono ammesse nei soli casi e modi previsti dalla legge. L'affidamento del condannato a che l'esecuzione della pena avvenga con le modalità previste secondo la legge vigente al momento del passaggio in giudicato della sentenza è interesse costituzionalmente protetto allorquando sia ricollegato a diritti inviolabili, qual'è la libertà personale cfr. C.Cost. 394/02 cit. . Ne deriva che lo spatium deliberandi intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza e l'emissione dell'ordine di carcerazione, nel quale si insinua la novella legislativa che introduce nuove ipotesi ostative alla concessione di misure alternative alla detenzione, non può essere posto a detrimento del condannato si ricordi che l'ordine di esecuzione deve essere adottato senza ritardo , dunque senza apprezzabile distacco temporale dal passaggio in giudicato della sentenza . Nella specie, poiché la sentenza che ha condannato il B. per il delitto di cui all'art. 319 c.p.p è divenuta esecutiva in data 10.01.19, e dunque prima dell'entrata in vigore della novella legislativa 3/19, l'ordine di esecuzione avrebbe dovuto essere sospeso, dando avviso al condannato che entro trenta giorni dalla notifica avrebbe potuto presentare un'istanza volta ad ottenere una misura alternativa alla detenzione. L'ordine di carcerazione deve, pertanto, essere sospeso per giorni trenta per consentire al condannato di presentare, ove lo vorrà, istanza di concessione di una misura alternativa. P.Q.M. Ordina la sospensione dell'ordine di esecuzione per la carcerazione emesso nei confronti di B.O. dal Procuratore generale di Catania in data 05.02.19 e, conseguentemente, l'immediata liberazione del condannato se non detenuto per altra causa. Avverte B.O. che entro trenta giorni dalla notifica del presente provvedimento potrà essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessaria, volta ad ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione e che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia dichiarata inammissibile o sia respinta, l'esecuzione avrà corso immediato. Si comunichi. Catania, 22.03.19. 1 Cass. S.U. 27614/07, Lista Si pensi al caso in cui, in pendenza del termine per impugnare e in prossimità della sua scadenza, una nuova legge abroghi il grado di appello, mantenendo il ricorso per cassazione l'imputato o altra parte può venirsi a trovare in grave difficoltà nella predisposizione del mezzo di gravame appropriato, può determinarsi una dissimmetria tra le posizioni, sostanzialmente analoghe, di due imputati o di altre parti si immagini ancora il caso, assolutamente emblematico, di due soggetti in identica posizione processuale che maturano nella stessa data il termine, di medesima durata, per impugnare la sentenza l'uno deposita l'impugnazione diversi giorni prima della scadenza e nel vigore della legge che la consente, l'altro attende gli ultimi giorni per proporla ma, essendo nel frattempo intervenuta la norma che abroga tale facoltà, la relativa domanda non può sfuggire alla sanzione dell'inammissibilità. S'intuisce agevolmente che il regime di impugnabilità di una sentenza non può essere condizionato da elementi meramente aleatori, come quelli affidati alla tempestività o meno del deposito della stessa ovvero alla puntualità degli adempimenti di cancelleria o ancora alla iniziativa più o meno tempestiva della parte interessata tanto si verificherebbe, ove si avesse riguardo al momento di presentazione dell'atto di impugnazione .