Disoccupato e con un reddito annuo di 4mila euro: nessuna giustificazione per l’allaccio abusivo alla rete Enel

Respinte anche in Cassazione le obiezioni difensive proposte dal legale dell’uomo sotto processo. Evidente il suo stato di indigenza economica, ma ciò non è sufficiente per rendere comprensibile la decisione di usufruire senza pagare della fornitura di energia elettrica.

Disoccupato e con un reddito annuo che supera di poco i 4mila euro. Nonostante le evidenti difficoltà economiche, non è comunque giustificabile l’allaccio abusivo alla rete di distribuzione dell’Enel Cassazione, sentenza n. 18329/19, sez. IV Penale, depositata oggi . Difficoltà. Riflettori puntati su una cittadina calabrese. Lì un controllo dei carabinieri e il successivo controllo di alcuni tecnici permettono di portare alla luce un allaccio abusivo ai cavi elettrici della rete di distribuzione dell’Enel. Quel collegamento rifornisce un appartamento e un laboratorio utilizzati da un uomo – Rino, nome di fantasia – a cui non risulta intestato alcun contratto di fornitura di energia elettrica. Inevitabile il processo e, secondo i giudici, inevitabile la condanna. Nessun dubbio, difatti, sulla illegale condotta tenuta da Rino. E respinta la linea difensiva secondo cui l’impiego di energia elettrica senza pagare il dovuto era reso comprensibile dalle precarie condizioni economiche del soggetto. In sostanza, il legale sottolinea che Rino ha dimostrato il proprio stato di indigenza, essendo egli disoccupato ed avendo dichiarato nell’anno un reddito complessivo di 4mila e 227 euro, derivante esclusivamente da un contratto di solidarietà a tempo determinato , e quindi egli è stato mosso da un grave e urgente bisogno di fronteggiare le più elementari necessità di vita . A sostegno di questa visione, poi, l’avvocato aggiunge che la somma richiestagli dall’Enel per il riallaccio della fornitura interrotta era di 15mila euro e non era possibile per il suo cliente neanche una rateizzazione . Queste osservazioni non convincono però i giudici della Cassazione, che confermano invece la condanna di Rino. Per i magistrati lo stato di indigenza non può essere una giustificazione per la condotta illecita accertata. Ciò anche perché si è fatto riferimento unicamente a una situazione di difficoltà economica , senza dare prova, invece, della esistenza di un pericolo attuale di danno grave alla persona .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 gennaio – 3 maggio 2019, numero 18329 Presidente Izzo – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto Ii. Sa. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui agli artt. 624, 625 numero 2 cod. penumero 2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché non sussiste l'aggravante della violenza sulle cose, in quanto non vi è stata manomissione del contatore, che era stato precedentemente rimosso da personale Enel, e l'allaccio è avvenuto semplicemente attraverso l'appoggio ai cavi elettrici della rete di distribuzione. È pertanto ravvisabile esclusivamente il reato di furto semplice, improcedibile per mancanza di querela, non essendo ravvisabile nemmeno l'aggravante del mezzo fraudolento, attesa l'evidenza della condotta illecita, posta in essere in modo ben visibile. 2.1. Anche la qualificazione giuridica del fatto è inesatta, non essendovi prova dell'effettivo utilizzo dell'energia elettrica e potendosi perciò ravvisare l'ipotesi tentata. È anche prefigurabile una qualificazione giuridica ex art. 626 cod. penumero 2.2. La motivazione della sentenza impugnata è carente anche per quanto attiene alla ravvisabilità dello stato di necessità dell'imputato, che ha dimostrato il proprio stato di indigenza, essendo egli disoccupato ed avendo dichiarato nell'anno 2015 un reddito complessivo di Euro 4.227,00, derivante esclusivamente da un contratto di solidarietà a tempo determinato. La somma richiestagli da Enel per il riallaccio della fornitura interrotta era di Euro 15.000 e, attesa la scarsità delle risorse del ricorrente, non era possibile neanche una rateizzazione. Dunque, il ricorrente è stato mosso da un grave e urgente bisogno di fronteggiare le più elementari necessità di vita. 2.3. Priva di adeguata motivazione è, infine, la quantificazione della pena così come il diniego di prevalenza delle generiche, nonostante l'immediato pentimento dell'imputato e il senso di colpa provato per il proprio comportamento, oltre al documentato stato di indigenza. Il ricorrente chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Invero, è consolidato principio di diritto quello per cui la realizzazione di un allaccio abusivo mediante collegamento diretto alla rete elettrica da cui consegua la sottrazione di energia all'ente fornitore, e cioè all' Enel, comporta un necessario uso della violenza sulle cose, funzionalmente alla manomissione dell'impianto ex plurimis, Cass., Sez. 4, numero 27445 del 04/06/2008, Randazzo, Rv. 240888 Sez. 4, numero 23660 del 23/11/2012, Rv. 256190 . I giudici di merito hanno, pertanto, correttamente ravvisato nella specie la sussistenza dell'aggravante in disamina. 2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il giudice a quo ha, infatti, evidenziato che, al momento del sopralluogo da parte dei Carabinieri e del successivo intervento dei verificatori Enel, l'abitazione dell'imputato e il locale sito al pian terreno del medesimo stabile adibito a laboratorio risultavano alimentati da un impianto di illuminazione, pur in assenza di una regolare utenza elettrica. Circostanza questa che dimostra l'effettivo utilizzo, da parte dell'imputato, dell'energia elettrica, con conseguente impossibilità di qualificare il fatto come tentativo. Per quanto attiene alla prospettata qualificazione giuridica ex art. 626 cod. penumero , la Corte territoriale ha correttamente evidenziato come la riconosciuta sussistenza dell'aggravante ex art. 625, numero 2 cod. penumero precluda la configurabilità del delitto di cui all'art. 626 cod. penumero , secondo quanto previsto dal secondo comma della stessa disposizione. 3. Manifestamente infondato risulta anche il terzo motivo di ricorso. I giudici del merito hanno, anche sotto tale profilo, fornito adeguata motivazione circa l'assenza degli elementi rilevanti ai fini della sussistenza della scriminante dello stato di necessità. E', infatti, da richiamare il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui l'esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l'atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente causati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non penalmente rilevanti ex plurimis, Cass., Sez. 3, numero 35590 del 11/05/2016, Rv.267640 . Dunque lo stato d'indigenza non è di per sé idoneo a configurare la scriminante in questione, non presentando quegli elementi di attualità e inevitabilità del pericolo e atteso che alle persone che si trovano in tale stato è consentito di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni essenziali per mezzo degli istituti di assistenza sociale Cass., Sez. 5, numero 3967 del 13/07/2015, Rv. 265888 . Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, non ha ritenuto provata la sussistenza di un pericolo attuale di danno grave alla persona, potendo unicamente inferirsi dalle allegazioni difensive una situazione di difficoltà economica dell'imputato, irrilevante ai fini in disamina. 5. La doglianza formulata con l'ultimo motivo di ricorso non può trovare ingresso in questa sede. Le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio sono, infatti, insindacabili in cassazione ove siano sorrette da congrua motivazione. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata, che si salda con quella di primo grado, costituendo un complessivo corpo argomentativo Cass., Sez. 3, numero 44418 del 16/07/2013 , Rv. 257595 , è senz'altro da ritenersi adeguata. La Corte territoriale ha infatti sottolineato l'assenza di elementi di spessore tale da consentire di pervenire ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti già concesse in regime di equivalenza, in considerazione anche delle precedenti denunce per lo stesso reato e dell'equilibrata dosimetria della pena effettuata dal giudice di prime cure, il quale aveva anche escluso l'aumento di pena per la recidiva. 6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.