Esercizio della prostituzione: non è attività pericolosa, il giudice deve disapplicare il foglio di via

Laddove tale provvedimento amministrativo, il foglio di via obbligatorio, sia motivato con riferimento esclusivo all’esercizio dell’attività di prostituzione è doverosa la sua disapplicazione da parte del giudice penale.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 17616/19, depositata il 26 febbraio. Il fatto. Il Tribunale affermava la penale responsabilità delle imputate in relazione al reato di cui all’art. 76, comma 3, d.lgs. n. 159/2011. In particolare, le due donne, sottoposte alla misura di prevenzione del foglio di via con divieto di far rientro in un Comune per la durata di 3 anni, venivano sorprese in tale Comune ad esercitare il meretricio. Avverso detta decisione le imputate ricorrono in Cassazione. Prostituzione e foglio di via obbligatorio. Come più volte affermato, la Suprema Corte ritiene che laddove il provvedimento amministrativo, il foglio di via obbligatorio, sia motivato con riferimento esclusivo all’attività di prostituzione è doverosa la sua disapplicazione da parte del giudice penale chiamato a pronunciarsi sulla ricorrenza dell’ipotesi di reato di cui all’art. 76, comma 3, d.lgs. n. 159/2011. Questo perché l’esercizio della prostituzione non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della normativa vigente e non è un’attività costituente reato infatti tale esercizio non può fondare l’emissione di un provvedimento di allontanamento basato sulle ipotesi di traffici delittuosi. Da ciò deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 febbraio – 26 aprile 2019, n. 17616 Presidente Mazzei – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Con sentenza emessa in data 16 febbraio 2018 il Tribunale di Macerata ha affermato la penale responsabilità di L.R. e D.D. in riferimento al reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 76 comma 3. Secondo la contestazione, le due imputate - sottoposte alla misura di prevenzione del foglio di via con divieto di far rientro in Civitanova Marche provvedimenti emessi in data 3 ottobre 2012 e 15 maggio 2014 per la durata di anni tre, venivano sorprese nel territorio di detto comune in data 29 luglio 2015. In motivazione, premesso che le due imputate venivano sorprese in Civitanova Marche il 29 luglio del 2015 intente ad esercitare il meretricio, si ritiene che la mera esistenza obiettiva del provvedimento questorile di allontanamento e la conoscenza del medesimo da parte delle imputate integri la fattispecie di reato. 2. Avverso detta sentenza hanno proposto - con autonomi atti - ricorso immediato per cassazione, a mezzo del comune difensore, L.R. e D.D. , deducendo l’erronea applicazione della legge incriminatrice. Era stata chiesta, in sede di merito, la disapplicazione dell’atto amministrativo presupposto, atteso che i due decreti di allontanamento erano stati emessi con motivazione del tutto inadeguata, risultando menzionata esclusivamente l’attività di prostituzione svolta dalla L. e dalla D. . Si rappresenta, pertanto, che sulla base di un ormai consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte ciò non può integrare alcuna delle fattispecie tipiche di pericolosità prevista dall’attuale D.Lgs. n. 159 del 2011. 3. I ricorsi sono fondati. Questa Corte, con orientamento cui il Collegio presta adesione tra le molte, Sez. I n. 41738 del 16.9.2014, rv 260515 ha affermato che lì dove il provvedimento amministrativo di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 2, foglio di via obbligatorio sia motivato con esclusivo riferimento all’attività di prostituzione, è doverosa la sua disapplicazione da parte del giudice penale chiamato a pronunziarsi sulla ricorrenza dell’ipotesi di reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 2, comma 2, attuale D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 76, comma 3 . Ciò perché la stessa previsione di legge che facoltizza la misura pone come presupposto dell’ordine di allontanamento non un qualsivoglia comportamento ‘pericoloso per la sicurezza pubblica nozione che aprirebbe il varco a forme incontrollabili di discrezionalità ma una condotta pericolosa che sia espressione delle riconosciute categorie criminologiche di cui al precedente art. 1 n. 1 soggetti abitualmente dediti, sulla base di elementi di fatto, a traffici delittuosi, n. 2 soggetti che per condotta e tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, produttori di proventi derivanti da attività delittuose con cui si sostengono, almeno in parte, n. 3 soggetti dediti, sulla base di elementi di fatto, alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica . Ora, come è stato già ritenuto nelle precedenti decisioni sul tema, è del tutto pacifico che l’esercizio della prostituzione in sé non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della vigente normativa già in base alla L. n. 327 del 1988, che ebbe ad eliminare il riferimento a coloro che svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica ed al buon costume . Né può ritenersi condotta di reato quella consistente in fatti di adescamento”, stante la depenalizzazione operata con la L. n. 689 del 1981, art. 81, della fattispecie originariamente prevista dalla L. n. 75 del 1958, art. 5, comma 1. Va poi rilevato come sia anche del tutto certo che, pur nell’ambito delle categorie contemplate dalla legge, il provvedimento amministrativo non possa essere motivato con indicazione generica della categoria di pericolosità ritenuta presente nel caso specifico, ma debba indicare gli elementi concreti in fatto, riferibili al soggetto interessato, sui quali il provvedimento è fondato. Non può ritenersi, dunque, che l’esercizio della prostituzione - in sé attività non costituente reato - possa fondare l’emissione di un provvedimento di allontanamento basato sulle ipotesi di cui all’art. 1, n. 1, traffici delittuosi o numero 2 vivere con provento di attività delittuose . Ma neanche tale attività può dar luogo alla iscrizione” del soggetto nella categoria di cui all’art. 1, n. 3, della legge in parola, come evocato nei provvedimenti posti a base della successiva condotta illecita in termini di inottemperanza . È del tutto evidente, sul punto, che l’offesa o la messa in pericolo dei beni indicati in detta norma l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica , per essere rilevante ai fini in parola, deve discendere da veri e propri reati ascrivibili al soggetto, e non da condotta in sé non costituente reato. Ritenere diversamente finirebbe invero, in modo del tutto inammissibile, per ripristinare surrettiziamente, a questi fini, la categoria già soppressa dalla L. n. 327 del 1988. Dal chiarissimo testo di legge è poi rilevabile, in modo del tutto piano, che eventuali reati, o comportamenti pericolosi, commessi da terze persone, sia pur occasionati dall’offerta prostitutoria, non possono ricadere ai sensi di legge sul soggetto che si prostituisce, a meno che l’offerta stessa non si concretizzi in condotte di reato. Ciò posto, le doglianze mosse nei ricorsi risultano fondate, posto che l’illegittima emissione del provvedimento amministrativo - disapplicabile per violazione di legge e vizio di motivazione - rende insussistente la fattispecie di reato oggetto di contestazione. Da ciò deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto di reato non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.