Droghe: patteggiamento da rifare dopo l’intervento della Consulta

La sentenza di patteggiamento per il reato di cui all’art. 73, comma 2, d.P.R. n. 309/1990 che ha applicato la sanzione della reclusione secondo la disciplina precedente alla sentenza n. 40/2019 della Corte Costituzionale, deve essere annullata in virtù del principio dell’applicazione della nuova normativa più favorevole per l’imputato.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16790/19, depositata il 17 aprile, decidendo sul ricorso presentato da un imputato, cittadino straniero, avverso la sentenza del GIP del Tribunale di Busto Arsizio che aveva applicato la pena patteggiata in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 2, d.P.R. n. 309/1990. Con il ricorso in sede di legittimità, la difesa lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p. in relazione all’omessa motivazione sui presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione, disposta con la medesima sentenza dal GIP. Sentenza annullata. Il Collegio rileva d’ufficio l’illegalità della pena applicata all’imputato 3 anni e 7 mesi di reclusione, e 14mila euro di multa per effetto della sentenza n. 40/2019 della Consulta . Il Giudice delle Leggi ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di 8 anni anziché di 6. Nel caso di specie, il GIP aveva ratificato l’accordo sulla pena sulla base della disciplina sanzionatoria precedente alla citata dichiarazione di incostituzionalità, circostanza da cui discende dunque l’illegalità della pena disposta. La Corte annulla dunque la sentenza impugnata con trasmissione degli atti al GIP che, in caso di nuovo accordo delle parti sulla pena, dovrà dare congrua motivazione sui presupposti della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, anche sotto il profilo della valutazione in concreto della pericolosità sociale. Su quest’ultimo punto, la sentenza richiama ancora la Corte Costituzionale ed in particolare la pronuncia n. 58/1995 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 86 d.P.R. n. 309/1990 nella parte in cui prevedeva l’automatismo dell’espulsione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 marzo – 17 aprile 2019, n. 16790 Presidente Rosi – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 17 luglio 2018, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio ha applicato, su accordo delle parti, a G.E.G.O. , la pena di anni tre e mesi sette di reclusione e Euro 14.000,00 di multa, in relazione al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 comma 1, per l’importazione sul territorio nazionale di n. 39 ovuli occultati contenenti sostanza stupefacente tipo cocaina. In omissis . Con la medesima sentenza il Giudice ha applicato la misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione all’omessa motivazione sui presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza, segnatamente sulla pericolosità sociale dell’imputato che deve essere accertata in concreto. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Va rilevata, d’ufficio, l’illegalità della pena applicata all’imputato per effetto della sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale. Con la citata sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza , nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni, anziché di sei anni pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie 1 Corte costituzionale, n. 11 del 13/03/2019 . A mente dell’art. 136 Cost. tale norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione avvenuta in data 13 marzo 2019. Il Giudice ha ratificato l’accordo delle parti sulla base della disciplina sanzionatoria precedente, essendo stata pronunciata la sentenza in data 17/07/2018 e il reato commesso il 10/01/2018. L’accordo concluso tra le parti e ratificato dal giudice, in epoca precedente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 comma 1, nella misura del minimo edittale ora prevista in anni sei di reclusione, comporta l’applicazione di una pena illegale, di talché va annullata senza rinvio la relativa sentenza di patteggiamento. Deve infine rilevarsi che le Sezioni Unite Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015 dep. 25/11/2015, Della Fazia, Rv. 265111 hanno stabilito il principio che alla applicazione della nuova normativa nei processi in corso, in quanto più favorevole, non sia di ostacolo l’inammissibilità del ricorso trattandosi di questione che deve essere rilevata di ufficio ex art. 609 c.p.p. Principi validi anche per effetto della pronuncia di incostituzionalità del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1. 5. La sentenza va, dunque, annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, il quale, qualora le parti giungano a nuovo accordo sulla pena, dovrà dare congrua motivazione sui presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, sia sotto il profilo della valutazione in concreto della pericolosità sociale, per effetto della pronuncia n. 58 del 1995 della Corte Costituzionale n. 58 del 1995 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86, nella parte in cui, secondo la sua originaria versione, prevedeva l’automatismo della espulsione senza che fosse necessario il preventivo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, sia sotto il profilo della compatibilità dell’espulsione con i principi sovranazionali. Segnatamente l’espulsione ex art. 86 D.P.R. cit. deve soggiacere ad un giudizio di compatibilità con i principi stabiliti dall’art. 8 Cedu, secondo cui l’espulsione pur essendo espressione del potere di sovranità dello Stato non deve comunque provocare ingiustificate ingerenze nella vita privata e famigliare, e dell’art. 3 Cedu secondo cui nessuno può essere sottoposto a tortura, nè a pene o trattamenti inumani o degradanti. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Busto Arsizio.