Quando è possibile definire “abnorme” il comportamento tenuto dal lavoratore?

La nozione di abnormità va ricondotta al comportamento imprudente del lavoratore posto in essere in modo autonomo e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro. Oppure, in un comportamento che, pur rientrando nelle mansioni che gli sono proprie, sia consistito in qualcosa di radicalmente lontano dalle ipotizzabili ed imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.

Lo ribadisce la Suprema Corte con sentenza n. 16216/19 depositata il 15 aprile. Il caso. L’imputato, deducendo violazione degli art. 125, comma 3, e 578 c.p.p. e vizio di motivazione, ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che ha ribadito la sua responsabilità penale per il reato di cui all’art. 590 c.p., consistita nell’aver provocato lesioni personali gravissime al lavoratore, riesaminando alla luce delle prove raccolte, la sussistenza delle violazioni a lui contestate, rimproverandogli la mancata predisposizione del documento di valutazione de rischi, l’omessa formazione ed informazione dei lavoratori e l’omessa vigilanza sull’utilizzo improprio delle attrezzatture. Comportamento abnorme. Ritenendo corretta la decisione dei Giudici che ha escluso l’eccezionalità del comportamento del lavoratore e chiarito che l’attività da lui svolta rientrava nell’ambito delle mansioni affidategli dal datore di lavoro, la Cassazione conferma che non si può parlare di comportamento abnorme. Infatti, ricorda la Corte, l’invocata nozione di abnormità va ricondotta ad un comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, al di fuori diogni prevedibilità per il datore di lavoro, o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro . Nella fattispecie, il fatto che la scelta di rimuovere la griglia per terminare rapidamente il turno fosse dipesa dalla volontà del lavoratore, non muta la responsabilità del datore di lavoro che ha omesso di vigilare in modo efficacie sul corretto funzionamento del macchinario e sul dovuto utilizzo dei dispositivi di sicurezza da parte dei lavoratori. Pertanto, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 marzo – 15 aprile 2019, n. 16216 Presidente Menichetti – Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 8 novembre 2017 la Corte di Appello di Napoli ha riformato, dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione con conferma delle statuizioni civili, la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con cui M.L. è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p., e condannato alla pena ritenuta di giustizia, per avere causato, nella sua qualità amministratore del caseificio s.r.l., per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione della disciplina sulla prevenzione degli infortuni su lavoro - ed in particolare degli artt. 4 comma 2 lett. a e c , 5 lett. c , 15, comma, 21, comma 1, 22 comma 1 e 44 lett. f - al lavoratore G.A. , lesioni personali gravissime, consistite nello schiacciamento dell’avambraccio sinistro, con fratture multiple con amputazione del 5 dito della mano sinistra e parziale amputazione dell’avambraccio omolaterale e la perdita funzionale della mano. 2. Il fatto, non contestato nella sua materialità, può essere così descritto in data 30 luglio 2007, G.A. , operaio, con mansioni di casaro, addetto alla macchina spezzatrice destinata alla lavorazione della mozzarella, alla fine del turno di lavoro, nel provvedere al recupero dei residui di lavorazione della pasta filata da reimmettere nel macchinario, per completare il confezionamento delle ultime mozzarelle, inseriva la mano nella cavità ad imbuto dell’apparecchiatura, dalla quale era stata tolta la griglia di protezione - previa neutralizzazione del dispositivo di blocco in dotazione, che ne produce il fermo allorquando l’apposito sensore rilevi la rimozione della griglia - rimanendo agganciato dalle coclee presenti sul fondo dell’imbuto, cosicché la mano veniva trascinata nella parte più interna del meccanismo, causando le lesioni descritte. 3. La sentenza di secondo grado, considerata non contestata la materiale modalità di accadimento, ha ribadito la penale responsabilità dell’imputato, riesaminando, alla luce delle prove raccolte, la sussistenza delle violazioni contestate al medesimo, cui ha rimproverato la mancata predisposizione del documento di valutazione dei rischi, l’omessa formazione ed informazione dei lavoratori, l’omessa vigilanza sull’utilizzo improprio delle attrezzature produttive. 4. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione M.L. , a mezzo del proprio difensore, affidandolo ad un unico articolato motivo. 5. Con la doglianza fa valere, ex art. 606, comma 1, lett. b ed e la violazione della legge processuale con riferimento all’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 578 c.p.p., nonché il vizio di motivazione, per avere la decisione ritenuto, senza tenere conto degli orientamenti espressi con le pronunce di legittimità e violando gli oneri motivazionali imposti dal codice di rito, non esorbitante ed abnorme - e quindi interruttivo del nesso di causalità- il comportamento del lavoratore che, al fine di concludere rapidamente il turno di lavoro, nell’operare la pulizia del macchinario, in spregio delle direttive ricevute, aveva rimosso la griglia di protezione del macchinario, destinata a proteggere i lavoratori, infilando deliberatamente la mano nell’imbuto, dal quale veniva trascinato. Osserva che la Corte territoriale ha fondato il giudizio di responsabilità esclusivamente sulle parole della persona offesa, senza cercare altrove conferma delle sue dichiarazioni e senza sottoporle ad un rigoroso vaglio, alla luce della credibilità soggettiva del dichiarante, il cui astio nei confronti del datore di lavoro era del tutto evidente. Considerato in diritto 1. Il ricorso va dichiarato inammissibile. 2. La sentenza impugnata, contrariamente a quanto preteso dal ricorrente, non è affetta da alcuna contraddittorietà od illogicità. 3. Appare, infatti, ineccepibile il ragionamento del primo giudice ripreso dalla Corte territoriale, che, valutate le violazioni rilevate dall’INAIL a seguito dell’ispezione successiva all’infortunio, pur richiamando quanto riferito da G.A. -secondo il quale fu l’imputato a rimuovere la griglia di protezione al fine di rendere più veloce la lavorazione ed evitare i fermi macchina che impedivano la conservazione della pasta filata - ha escluso l’eccezionalità del comportamento del lavoratore, equiparando l’ipotesi della rimozione da parte del lavoratore a quella da parte del datore di lavoro. Benché abbia ritenuto non confermata la circostanza secondo la quale fu G. ad eliminare la griglia di protezione ed a bloccare il meccanismo di salvaguardia, propendendo il diverso accertamento ricavabile dalle parole della persona offesa e dal teste I. , nondimeno, ha chiarito che l’attività svolta dal lavoratore rientrava nell’ambito delle mansioni affidategli, il che impedisce di qualificare il suo comportamento come abnorme. Si tratta di un assunto che deve essere condiviso. Non si dimentichi, infatti, che l’invocata nozione di abnormità va ricondotta ad un comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro. ex multis e da ultimo Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 - dep. 14/02/2018, Bozzi, Rv. 27222201 . In questo caso, invece, come chiarito dai giudici di merito, era l’esigenza di rendere più rapida la lavorazione ad avere reso necessaria la rimozione della griglia. Che ciò sia accaduto per non compromettere la tenuta della pasta filata, come sostengono, secondo la Corte territoriale, la persona offesa ed il teste I. , peraltro socio della XX s.r.l., o che sia dipeso dalla volontà di G. di terminare rapidamente il turno di lavoro, non muta la responsabilità del datore di lavoro che ha omesso di vigilare efficacemente sul corretto funzionamento del macchinario e sul dovuto utilizzo dei dispositivi di sicurezza, da parte dei prestatori di lavoro. Né può valere ad escludere detta responsabilità il fatto che G. fosse un lavoratore esperto, tanto da essere stato ritenuto preposto, in quanto avente una supremazia” sugli altri lavoratori. 4. Il rigoroso ragionamento contenuto nella motivazione della sentenza impugnata non viene, dunque, scalfito dalle censure che gli vengono mosse, che, in qualche modo, denunciando il difetto della contraddittorietà invertono l’inferenza logica, pretendendo di ricavare dall’asserita abnormità del comportamento del lavoratore la sufficienza dei sistemi di sicurezza approntati dal datore di lavoro, che, invece, come ben ha chiarito la Corte territoriale, non erano conformi alle disposizioni antinfortunistiche. 5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.