Può bastare la deposizione della persona offesa per provare la responsabilità dell’imputato? Sì, se…

In tema di prova nel processo penale, la testimonianza della persona offesa, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, purché la relativa valutazione sia sorretta da un’adeguata motivazione, che dia conto dei criteri adottati e dei risultati acquisiti. Le dichiarazioni della vittima saranno ancor più credibili ove siano confortate da elementi di riscontro, tali da escludere circostanze incompatibili con la condotta contestata.

Lo ha ribadito la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16351, depositata il 15 aprile 2019. La testimonianza della persona offesa Come è noto, in generale, nel nostro sistema processuale manca una specifica normativa dettata a tutela della vittima-testimone, la cui posizione viene sostanzialmente equiparata a quella di qualsiasi altro teste che debba essere escusso, e ciò ad eccezione delle sole regole dettate in tema di audizione del minore le quali, pertanto, possono ritenersi uniche eccezioni in materia. Tali regole infatti limitano, in considerazione della necessità di tutelare soggetti in condizioni di maggiore debolezza psichica, il diritto al pieno contraddittorio dell’imputato che, in sede dibattimentale, trova la sua espressione nella cross-examination di ciascuna fonte di prova orale. La decisività della deposizione dibattimentale, se da un lato esalta il principio del pieno contraddittorio nella formazione della prova dinanzi al Giudice, dall’altro espone la vittima del reato al pericolo di maggiori pressioni o sollecitazioni, al fine di ottenere una più o meno completa ritrattazione, aumentando così notevolmente la possibilità che, alle sofferenze patite al momento della consumazione dell’episodio delittuoso, ne seguano altre, ancor più penose, nel periodo antecedente l’audizione dibattimentale od anche in sede di incidente probatorio. deve essere scevra da contraddizioni logiche. Ciò premesso sul piano generale, ci si è chiesti se ed in che termini la testimonianza della persona offesa possa essere ritenuta attendibile e credibile, in particolare nelle ipotesi in cui si tratti dell’unica prova diretta del riferito reato. Ad esempio, in tema di reati sessuali, è stata eliminata la distinzione tra violenza carnale ed atti di libidine a differenza di quanto avviene in altre legislazioni penali europee, fra cui ad esempio quella spagnola, che ancora distingue fra aggressioni, abusi e molestie sessuali , sicché l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 609 bis c.p. sussiste ogni qual volta che un qualunque atto di natura sessuale sia compiuto con violenza. L’unificazione delle fattispecie risponde a giustificazioni di carattere sia astratto che tecnico sotto il primo profilo, infatti, è rispondente all’esigenza di affermare il principio assoluto di inviolabilità del corpo umano e della pari gravità di ogni condotta lesiva del predetto bene, attribuendosi maggiore rilevanza alla dignità della persona, sicché la mutata oggettività giuridica del reato e l’unicità del bene giuridico protetto, la libertà sessuale corollario del più ampio diritto alla libertà personale, impongono di riconoscere la natura illecita a qualunque violazione del diritto alla libera estrinsecazione della propria sessualità a prescindere dalle concrete modalità esecutive della condotta. Vi è, inoltre, una motivazione di carattere più propriamente tecnico e pratico, consistente nelle necessità di una maggiore semplificazione dell’accertamento del reato e di una più intensa tutela della dignità della persona offesa. Sul punto, l’orientamento dominante in giurisprudenza sostanzialmente confermato dalla sentenza in commento afferma che il diritto processuale penale non opera alcuna discriminazione sia in ordine alla capacità a testimoniare della persona offesa dal reato, sia in ordine alla valenza probatoria delle sue deposizioni rispetto a quelle di altre persone. Pertanto in caso di necessità, per essere la persona offesa l'unico testimone che abbia avuto percezione diretta del fatto da provare o, comunque, l'unico in grado di introdurre una tale percezione nel processo, anche la sola deposizione di essa può, nell'ambito del libero convincimento del giudice, essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato. In tal caso il giudice di merito deve valutare con particolare attenzione tutti gli elementi, sia di natura intrinseca che estrinseca, su cui ha basato il suo convincimento di attendibilità e veridicità delle deposizioni della persona offesa, dando conto di tale valutazione con motivazione dettagliata e rigorosa, specificamente riferita alla detta qualità Cass. n. 6930/1990 . Anche nella pronuncia in esame, la Cassazione conferma dunque che il controllo sulla psicologia della persona offesa-testimone va fatto con oculatezza, a maggior ragione nelle ipotesi in cui essa costituisce l’unico soggetto che può riferire circa il commesso reato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 dicembre 2018 – 15 aprile 2019, n. 16351 Presidente Stanislao – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, emesso il 28.2.2018, la Corte d’Appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale di Lanusei datata 14.6.2016, che ha condannato U.M. alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione, oltre alle spese processuali ed al risarcimento del danno nei confronti di M.P. , per i reati di violenza privata e lesioni. La vicenda si inserisce in un contesto di rapporti di vicinato e frequentazione tra le famiglie dell’imputato e della persona offesa divenuti, nel corso degli anni, conflittuali. In particolare, i fatti contestati attengono ad un’aggressione priva di una causa scatenante prossima e verificatasi allorquando la persona offesa aveva appena parcheggiato l’auto di fronte alla propria abitazione, subendo a quel punto ed improvvisamente - secondo le sentenze di merito - l’aggressione. 2. Avverso la decisione della Corte d’Appello di Palermo ha proposto ricorso l’imputato tramite il proprio difensore avv. Pilia, deducendo due motivi di ricorso. 2.1. Il primo motivo lamenta violazione di legge con riguardo all’art. 234 c.p.p., nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione quanto alla necessità, ai fini dell’utilizzabilità della prova costituita da videoriprese delle telecamere di sorveglianza installate all’esterno dell’abitazione della persona offesa, che fosse accertata l’autenticità di esse mediante esame diretto del nastro sul quale era avvenuta la registrazione, non essendo sufficiente la mera riproduzione di esso su dvd effettuata dalla stessa persona offesa, come accaduto nel caso di specie. Inoltre, la cancellazione del supporto originale non sarebbe stata inevitabile, così come sostenuto dalla Corte d’Appello, bensì frutto di una libera scelta della persona offesa che ha prodotto la documentazione, dal momento che il marito della vittima avrebbe consegnato ad un tecnico il videorecorder agganciato all’impianto di sorveglianza, affinché questi estrapolasse il filmato, per poi reinserire lo stesso nell’impianto, consentendo la sovrascrittura successiva. La registrazione su dvd risulta, quindi, a giudizio della difesa, non garantita perché effettuata da un privato senza alcun avviso e senza contraddittorio. Anche la successiva attività d’indagine del pubblico ministero su detta prova documentale sarebbe illegittima, poiché l’analisi disposta presso il RIS dei Carabinieri al fine di estrapolare dal dvd depositato dalla persona offesa i fotogrammi utili ad identificare l’autore della condotta è stata effettuata senza contraddittorio con l’indagato e le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.p Infine, seppure l’accertamento tecnico venisse considerato sottoposto alla disciplina dell’art. 359 c.p.p., tuttavia, esso avrebbe valenza solo nella fase delle indagini preliminari e non nel dibattimento, salva l’utilizzazione previo consenso delle parti e nel rispetto delle altre condizioni previste dal codice di rito, nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità. 2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova con riferimento all’identificazione dell’imputato dalle immagini del dvd estrapolato dal sistema di videosorveglianza della persona offesa e quanto all’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa. Si assume che dai fotogrammi estrapolati, per ammissione delle stesse sentenze di merito, non sia possibile individuare nell’imputato il soggetto che compie le condotte aggressive nei confronti della persona offesa e che la sua individuazione, quindi, resta affidata alle sole dichiarazioni di quest’ultima, ritenute erroneamente attendibili nella pronuncia impugnata, senza procedere ad una rigorosa verifica della sua credibilità, nonostante ella sia portatrice di interesse contrapposto a quello dell’imputato poiché costituita parte civile, e senza verificare la sussistenza di riscontri al contenuto accusatorio del suo narrato. Tanto più che tra la moglie dell’imputato e la persona offesa vi era stata, precedentemente ai fatti, già una lite per la quale la persona offesa ha riportato condanna in relazione ai reati di ingiuria e lesioni personali colpose, non avendo quest’ultima evitato che il cane di sua proprietà mordesse la prima ad una gamba. Inoltre, la persona offesa ha a suo carico numerosi precedenti penali per reati di minaccia e ingiuria, sicché a maggior ragione la sua credibilità ed attendibilità andavano attentamente indagate, alla luce anche delle dichiarazioni contraddittorie rese nel corso del dibattimento e riportate per stralci nel ricorso per cassazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. La motivazione della Corte d’Appello è stata ampia e particolarmente attenta nel rispondere, anzitutto, alle eccezioni di ordine processuale sulla utilizzabilità della prova documentale costituita dalle immagini estrapolate dalle videocamere di sorveglianza installate presso l’abitazione della persona offesa e, successivamente, nell’affrontare sotto diverso profilo la questione, evidenziando - in linea con la giurisprudenza di legittimità - come, anche a voler eliminare la prova documentale della quale si duole l’imputato, rimarrebbe in piedi una ampia piattaforma probatoria, idonea di per sé a giustificare l’affermazione della sua responsabilità. Anzitutto deve darsi atto brevemente del contenuto delle immagini contestate, secondo la ricostruzione che ne ha svolto la sentenza impugnata. Ebbene, i fotogrammi tratti dalla videoregistrazione consegnata dalla persona offesa mostrano un uomo e una donna che si avvicinano all’auto della vittima e, dopo brevissimo tempo, quest’ultima che scende dalla vettura e viene aggredita dall’uomo e costretta a rientrare in auto per uscirne solo quando quest’ultimo si allontana le immagini non hanno consentito di identificare nell’imputato l’aggressore, ma hanno costituito riscontro fattuale alla dinamica dell’accaduto raccontata dalla persona offesa. 2.1. Venendo ad esaminare le doglianze di ordine processuale sulla inutilizzabilità della prova costituita dalle videoregistrazioni delle telecamere installate dalla persona offesa presso la propria abitazione, si evidenzia immediatamente la loro inammissibilità, per la aspecificità e genericità estrinseca rispetto alle ragioni indicate dalla sentenza impugnata, con le quali il ricorso non si confronta se non apparentemente, in verità reiterando, invece, le medesime argomentazioni già proposte con l’impugnazione di merito. La Corte d’Appello ha ben spiegato le ragioni - sostanzialmente ignorate dal ricorrente nelle sue eccezioni - sulla base delle quali ha ritenuto utilizzabile la prova rappresentata dalle immagini estrapolate dalla videoregistrazione consegnata dalla persona offesa alla polizia giudiziaria. Anzitutto, si è condivisibilmente affermata la natura documentale di tale prova. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo pacificamente affermato che le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei documenti di cui all’art. 234 c.p.p. per la cui acquisizione, dunque, non è necessaria l’instaurazione del contraddittorio previsto dall’art. 189 c.p.p. Sez. U, 26795 del 28/3/2006, Prisco, Rv. 234267 Sez. 6, n. 4978 del 17/11/2009, Drovandi, Rv. 246071 ed in relazione alle quali spettano al giudice di merito la verifica ed il giudizio sulla loro autenticità e genuinità Sez. 3, n. 46156 del 13/9/2016, Arcamone, Rv. 268064 Sez. 5, n. 10309 del 18/10/1993, Fumero, Rv. 195556 , mentre è senz’altro legittima la testimonianza resa con riferimento al loro contenuto, anche qualora esse non siano state acquisite al fascicolo del dibattimento Sez. 2, n. 10 del 30/11/2016, dep. 2017, Di Benedetto, Rv. 268787 Sez. 5, n. 38767 del 28/6/2017, Gaglini, Rv. 271210 . La Corte ha, invero, adeguatamente e convincentemente motivato anche e proprio sul requisito della genuinità delle immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza installate presso l’abitazione della persona offesa, basandosi - da un lato - sulla constatazione della credibilità del racconto del marito della persona offesa, C.G. , che aveva provveduto a far immediatamente riversare in dvd da un tecnico privato le immagini, sapendo che i sistemi di videoregistrazione prevedono la loro periodica autocancellazione nonché, soprattutto, desumendone la definitiva certezza di autenticità e non manipolazione dalle testimonianze dettagliatamente ricostruite del C. , del tecnico da lui incaricato di effettuare le operazioni di riversamento delle immagini e dei carabinieri del RIS incaricati dal pubblico ministero ex art. 359 c.p.p. di verificare, con accertamento non certo irripetibile, le immagini e renderle chiaramente leggibili per i giudici, oltre che di esaminare eventuali loro alterazioni. Anche su tale ultimo aspetto, deve, infatti, ribadirsi che i giudici d’appello si sono orientati secondo quelli che costituiscono i condivisi approdi della giurisprudenza di legittimità non ha natura di accertamento tecnico irripetibile e, dunque, non è soggetta alla disciplina prevista dall’art. 360 c.p.p. , bensì a quella di cui all’art. 359 c.p.p., l’attività di estrapolazione di fotogrammi da un supporto video delegata alla polizia giudiziaria dal pubblico ministero nè quella successiva di raffronto degli stessi con le fotografie di determinate persone, al fine di evidenziare eventuali somiglianze Sez. 6, n. 41695 del 14/7/2016, Bembi, Rv. 268326 . L’attività di estrapolazione di fotogrammi da una video-ripresa non può essere considerata attività irripetibile perché da tempo ormai la tecnica consente di effettuare tale operazione, che non necessita di perizia o consulenza tecnica Sez. 2, n. 4523 del 10/11/1992, Arena, Rv. 192570 , senza compromettere l’integrità dell’originale, peraltro neppure messa realmente in discussione dai ricorrenti se non in modo assai generico. Nel caso di specie, il principio suddetto deve essere ribadito, con l’ulteriore specificazione che non sussiste alcun carattere di irripetibilità nell’effettuare l’estrapolazione delle immagini, riproducendole in foto poi acquisite agli atti del fascicolo , previa loro schiaritura per renderle meglio leggibili, nè tantomeno nel verificare le medesime immagini, per evidenziare eventuali manipolazioni. Anche dette operazioni tecniche, infatti, non implicano alcuna perdita dell’originaria immagine, che viene solo migliorata in fase di stampa, evidentemente formandone le copie cartacee senza incidere in alcun modo sulla matrice. Dunque, correttamente la Corte di merito ha valutato l’utilizzabilità delle immagini estrapolate dai RIS e acquisite in atti, senza alcuna necessità che fossero rispettati i criteri di espletazione degli accertamenti irripetibili previsti dall’art. 360 c.p.p. con i collegati obblighi di instaurazione del contraddittorio. Dinanzi a tale ricostruzione delle ragioni di fatto e di diritto che formano la motivazione del provvedimento impugnato si mostrano prive di qualsiasi fondamento le argomentazioni difensive riferite anche al mancato esame diretto del nastro sul quale era avvenuta la registrazione, sul presupposto della insufficienza probatoria della mera riproduzione di esso su dvd effettuata dalla stessa persona offesa. La prova documentale, infatti, non ha mutato la sua natura nè ha perso la sua autenticità per essere stata riprodotta su un supporto di registrazione successivo rispetto a quello originario quest’ultimo, come è stato evidenziato dalla Corte d’Appello ed è emerso dall’istruttoria dibattimentale, è informaticamente caduco, essendo programmato per l’automatica cancellazione della registrazione dopo un determinato - e breve - periodo di tempo, a meno che non si effettui l’operazione di riversamento in dvd già descritta e sulla cui genuinità ed assenza di manipolazioni hanno deposto in maniera credibile numerosi testi anche di sicura affidabilità, quali quelli di polizia giudiziaria intervenuti immediatamente dopo i fatti di reato e incaricati dell’esame tecnico sulla videoregistrazione, come anche il tecnico privato incaricato da C.G. di effettuare il materiale riversamento delle videoriprese su un dvd di memoria dati. 2.2. All’inammissibilità della ragione di ricorso specificamente riferita all’inutilizzabilità di dette immagini fa eco, peraltro, la fondatezza dell’argomentazione ulteriore adottata dalla sentenza d’appello per superare l’eccezione difensiva, basata sulla tenuta logica del giudizio di responsabilità pronunciato in primo grado, anche a prescindere dalla citata prova documentale ed al netto di una sua eventuale eliminazione. Ed infatti, il Collegio ribadisce l’orientamento, confermato nuovamente in tempi recenti, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, M, Rv. 271227 conformi Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna, Rv. 267723 . 3. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve premettersi che - secondo pacifici orientamenti della giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite - non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa i canoni valutativi prescritti dal comma 3 dell’art. 192 c.p.p. ed esse possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto ex multis cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 43278 del 24/9/2015, Manzini, Rv. 265104-01 Sez. 5, n. 1666 del 8/7/2014, Pirajno, Rv. 261730-01 e, anzitutto, Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell’Arte, Rv. 253214-01 . Inoltre, risulta allo stesso modo affermazione condivisa da unanime giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni in tal senso, Sez. 2, n. 7667 del 29/1/2015, Cammarota, Rv. 262575-01 nonché, in generale, sulla valutazione della prova testimoniale, il suo carattere di giudizio di merito e i limiti del sindacato di legittimità Sez. 2, n. 20806 del 5/5/2011, Tosto, Rv. 236201 Sez. 5, n. 51604 del 19/9/2017, D’Ippedico, Rv. 271623-01 . Nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha fornito idonea e logica argomentazione del percorso valutativo delle prove rappresentate dalle dichiarazioni testimoniali di M.P. , che sono state ritenute chiare e lineari, particolareggiate e complete sull’aggressione subita per futili motivi, riferiti a banali contrasti per motivi di vicinato, analizzando anche la credibilità della testimone. Invero, la Corte di merito ha dato atto anche della coerenza del narrato della persona offesa con quelli degli altri testi - le figlie e il marito - alcuni dei quali hanno assistito anche ad una parte rilevante dei fatti, oltre che evidenziare l’insussistenza delle reciproche discrasie tra tali testimonianze lamentate nell’atto di appello e ribadite nel ricorso, nonché dei riscontri significativi rappresentati dal racconto del carabiniere intervenuto al momento dei fatti, testimone diretto delle tumefazioni della donna e del suo stato di agitazione, e dalla documentazione sanitaria in atti. In questo contesto non ha senso dedurre, come pure fa il ricorrente, che dalle immagini non si potrebbe trarre certezza della sua individuazione come autore della condotta e che di tale certezza la Corte d’Appello avrebbe tratto indebitamente prova dalle sole dichiarazioni della persona offesa. Le argomentazioni difensive non solo non si confrontano con le motivazioni dei giudici di secondo grado, ma sembrano completamente disarticolate rispetto ad esse. Ed infatti, il provvedimento impugnato ha ben evidenziato che le immagini offrono un forte riscontro alla dinamica dei fatti di reato descritta come subita dalla persona offesa e confermata dai testi suoi parenti, giammai ha ragionato, invece, di una individuazione personale possibile anche da dette immagini. Quanto alla ragionevolezza della individuazione del ricorrente quale autore delle condotte, desunta dal narrato della persona offesa e degli altri testimoni, si è già messa in risalto la logicità e la completezza delle argomentazioni motivazionali utilizzate nel provvedimento impugnato per affermarne la credibilità e l’attendibilità, confrontandole con gli inequivoci elementi di conforto probatorio provenienti dagli interventi della polizia giudiziaria e dalla documentazione medica. Del resto, il dubbio sulla individuazione del ricorrente quale autore delle condotte di reato sconta un serio vizio di genericità, anche là dove non è confluito nella proposizione di alcuna alternativa ricostruzione della vicenda. In tale quadro ricostruttivo, privo di iati nel ragionamento logico portato avanti dalla Corte d’Appello ed esauriente dal punto di vista dell’analisi dei citati caratteri di credibilità ed attendibilità della persona offesa, non assume alcun pregio la dedotta sussistenza di precedenti penali a carico di quest’ultima, soprattutto là dove il ricorso non ne specifica il rilievo quanto a possibili ricadute negative sulla lettura del narrato di costei, nè si confronta con la motivazione impugnata che, appunto, nel respingere l’analoga eccezione proposta in appello, ne evidenziava la genericità annotando come anche il ricorrente fosse soggetto gravato da precedenti penali . Il motivo, pertanto, si rivela complessivamente infondato e deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.