Riforma in pejus della sentenza assolutoria di primo grado e rinnovazione istruttoria: non in ogni caso

Non occorre quando l’accertamento penale è prevalentemente documentale i giudici possono offrire una diversa valutazione di diritto senza dover allegare ulteriori e prima non dedotti sostegni istruttori.

Così la Cassazione con la sentenza n. 16003/19, depositata l’11 aprile. Una summa divisio il processo documentale e quello fondato su prova dichiarativa. Nel caso in questione si trattava di una contestazione ex art. 570, comma 2, n. 2, c.p. di mancato sostegno economico da parte di un genitore nei confronti di un minore. Nel processo di primo grado la valutazione giudiziale di assoluzione dell’imputato si fondava su contenuti prettamente documentali - quali le certificazioni dei redditi di questi nel periodo di contestazione del reato - di cui le dichiarazioni dibattimentali acquisite avevano fornito un’efficacia solo corollaria e per nulla prevalente nel sillogismo giudiziario poi licenziato dai giudicanti. A seguito di gravame del P.G. e della parte civile, giungeva in appello la condanna dell’imputato in riforma della sentenza di primo grado in violazione – secondo la difesa – dei contenuti precettivi dell’art. 603, comma 3- bis , c.p.p., che avrebbe imposto la riassunzione della prova dichiarativa invece omessa, per poter condannare il già assolto. La Cassazione, rigettando, specifica i perimetri applicativi della disposizione cit La rinnovazione istruttoria ex art. 603 cit. è imposta per condannare solo quando il disposto assolutorio di primo grado sia fondato su prova dichiarativa decisiva. Occorre che il giudice di primo grado debba aver assolto sulla base di una testimonianza il cui peso risulti essere stato decisivo nell’articolato del dispositivo giudiziale. Solo in questo caso, per poter condannare, è necessario che il giudice d’appello riassumi la medesima prova testimoniale ai sensi dell’art. 603 cit., in conformità ai principi di vicinanza” della prova e di oralità” nell’assunzione della medesima. Oppure, più succintamente, l’”oltre ragionevole dubbio” per poter condannare ex art. 533 c.p.p. impone che la medesima prova dichiarativa, quella assunta in primo grado, non possa essere sic et simpliciter formare oggetto di diversa valutazione da parte del giudice d’appello, che deve rinnovare quella assunzione testimoniale. L’art. 603 cit. non impone, invece, alcuna rinnovazione quando la prova dichiarativa risulta essere stata solo marginale nell’articolato giudiziale e, dunque, di processo formato prevalentemente sulla prova documentale. In caso di processo documentale non occorre una motivazione rafforzata” per condannare il già assolto. In tal caso, il giudice d’appello può fornire una nuova valutazione di diritto, senza necessitare di fornire ulteriori allegazioni istruttorie e/o valutative omesse in primo grado. Il che viene pacificamente ammesso quando le valutazioni giudiziali in primo grado siano meramente assertive o insufficienti, sicchè una difforme ma più attenta valutazione in appello non inficia l’”oltre ragionevole dubbio” per condannare, come su specificato. La Cassazione non prende però posizione in caso di assoluzione in primo grado fondata su prova documentale con valutazione giudiziale sufficiente. In tal caso, per esclusione, parrebbe doversi ritenere che il giudice d’appello per poter per la prima volta condannare debba fornire una motivazione rafforzata” che includa elementi prima non adeguatamente considerati.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 febbraio – 11 aprile 2019, n. 16003 Presidente Di Stefano – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. A.G. ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina che, in riforma della decisione del Tribunale di Messina, appellata dal P.G. e dalla parte civile G.C. , lo ha condannato alla pena di mesi tre ed Euro 500 di multa, con la sospensione condizionale della pena in ordine al delitto di cui all’art. 570 c.p., commi 1 e 2, n. 2, per essersi sottratto agli obblighi connessi alla potestà genitoriale, disinteressandosi della figlia minore A. , in cui favore venivano versati solo in minima parte, tramite la madre, i contributi per il mantenimento quantificati in Euro 400 dal giudice civile, così facendo mancare alla minore i mezzi di sussistenza, in Messina dal marzo 2010, con permanenza sino all’attualità citazione a giudizio in data 29 maggio 2015 . 2. A.G. deduce i motivi di seguito indicati. 2.1. Violazione dell’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, vizio di motivazione in ordine alla prova dichiarativa, mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e carenza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato. Il ricorrente censura l’intervenuta condanna, che ha sovvertito l’esito assolutorio di primo grado, fondata sulle dichiarazioni dell’imputato e della parte civile, evenienza che avrebbe comportato una violazione del diritto di difesa laddove i Giudici di merito non hanno inteso rinnovare l’istruttoria dibattimentale. Il Tribunale, poi, aveva assolto l’imputato non avendo ravvisato alcuna coscienza e volontà di non corrispondere l’assegno di mantenimento, circostanza che avrebbe imposto alla Corte territoriale maggiore rigore, specie a cagione del diverso esito del giudizio, in ordine ai motivi posti a base della decisione. 2.2. Omessa motivazione su prove decisive e violazione dell’art. 570 c.p., art. 192 c.p.p., art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, in ordine all’erronea valutazione della prova ed illegittimità delle statuizioni civili. La Corte territoriale, ritenendo non dimostrate le condizioni economiche poste a base della sentenza assolutoria, avrebbe trascurato le allegazioni difensive depositate all’udienza, la cui documentazione dava conto dell’incapacità reddituale del ricorrente. Evenienze, quelle allegate, che avrebbero consentito di giungere alla medesima conclusione del primo giudice, attesa la dimostrata impossibilità di corrispondere integralmente la somma fissata in favore della figlia minore. Anche con riferimento alla ritenuta irrilevanza dello stato di disoccupazione, i Giudici di merito avrebbero omesso di valutare la volontarietà di far mancare alla figlia i mezzi di sussistenza in tal senso deporrebbe il provvedimento in data 7 aprile 2016 con cui il Tribunale civile, a seguito delle mutate condizioni economiche, aveva ridotto l’assegno in favore della figlia. La decisione avrebbe omesso di valorizzare il regolare adempimento seguito a detto provvedimento, circostanza idonea invece a dimostrare la volontà di adempiere. 2.3. Violazione degli artt. 133 e 62 bis c.p., in punto di omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, laddove non sarebbe stato preso in esame che il ricorrente, ingegnere, libero professionista, aveva dovuto affrontare grosse difficoltà economiche in conseguenza della contrazione degli incarichi professionali, con conseguente personale prostrazione dovuta all’azzeramento del proprio reddito. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato perché infondato. 2. Infondato risulta il primo motivo per mezzo del quale si censura, sia l’omessa doverosa rinnovazione dibattimentale, sia la motivazione non rafforzata che ha sovvertito l’esito del giudizio. In ordine all’omessa rinnovazione istruttoria deve essere tenuto fermo il principio di diritto secondo cui è affetta da vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio , di cui all’art. 533 c.p.p., comma 1, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492 . Al fine di circoscrivere l’ambito entro il quale sussiste detto obbligo, determinante risulta un passaggio della motivazione della decisione di questa Corte a Sezioni Unite n. 27620, Dasgupta, ed in particolare quello secondo cui non può ritenersi decisivo un apporto dichiarativo il cui valore probatorio, che in sé considerato non possa formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell’affermazione della responsabilità per analoga motivazione, v. Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone, Rv. 265879 Sez. 2, n. 41736 del 22/09/2015, Di Trapani, Rv. 264682 Sez. 3, n. 45453 del 18/09/2014, P., Rv. 260867 Sez. 6, n. 18456 del 01/07/2014, dep. 2015, Marziali, Rv. 263944 . Ed, infatti, è stato rettamente puntualizzato che la necessità per il giudice dell’appello di effettuare la rinnovazione istruttoria, concerne il solo caso in cui al ribaltamento della decisione si giunga esclusivamente sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva e non anche nell’ipotesi in cui si pervenga al diverso approdo decisionale in forza della rivalutazione di un compendio probatorio di carattere documentale Sez. 3, n. 31949 del 20/09/2016, Felice, Rv. 270632 . Ciò posto, deve rilevarsi che, non appare sufficiente, affinché il giudice d’appello provveda alla rinnovazione che nella sua richiesta il P.M., come dedotto dal ricorrente, abbia fatto genericamente riferimento alle dichiarazioni di soggetti che hanno reso propalazioni nel corso del giudizio, essendo necessario che, innanzitutto, tali dichiarazioni abbiano costituito il fondamento della decisione e, ciò posto, abbiano determinato una diversa valutazione che ha comportato la difforme decisione in appello. Solo in tale specifica ipotesi, quindi, si realizza la lesione della regola di giudizio di cui all’art. 533 c.p.p., dell’ oltre ogni ragionevole dubbio a cui le citate sentenze, che consentono un’adeguata interpretazione dell’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, hanno fatto riferimento così ritenendo necessaria una diretta valutazione della prova dichiarativa da parte del giudice d’appello. La Corte d’appello, avendo rilevato che il Tribunale aveva fondato il giudizio assolutorio su un dato documentale non riscontrato, ha fondato il giudizio di colpevolezza su un suo differente apprezzamento delle allegazioni fornite al riguardo tanto che il ricorrente ne ha contestato la valenza , evenienza che, quindi, esclude un differente apprezzamento di qualsivoglia prova dichiarativa all’interno del processo. Anche il riferito accenno della sentenza nella premessa alle ammissioni del ricorrente, non risulta conferente rispetto all’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, che esplicitamente fa riferimento ai motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa e non certo alla mera prova dichiarativa in quanto tale. Intanto, quindi, si rende necessario attivare i rimedi posti a tutela del principio sopra richiamato ex art. 533, c.p.p., in quanto l’apprezzamento della prova dichiarativa risulti difforme rispetto a quello già operato dal primo giudice e, conseguentemente - seppure tanto la norma non sembri enunciarlo e risulti fuoriuscire dalla ipotesi sottoposto ad esame - quando ha costituito un elemento determinante della diversa decisione di condanna. 4. Il ricorrente, inoltre, deduce l’inosservanza del principio, in più occasioni affermato da parte di questa Corte, secondo cui, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, in mancanza di elementi sopravvenuti occorre che la motivazione, nella diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, esprima una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S, Rv. 262524 . Ciò sarebbe evidente nella parte in cui, avendo il primo giudice fondato la propria assoluzione sull’elemento soggettivo che era stato ritenuto insussistente, in ordine a tale dato nulla risulta evincibile dalla motivazione della decisione che non si caratterizzerebbe per quella maggiore forza di persuasione che il sovvertimento dell’esito del giudizio avrebbe necessitato. La Corte di appello, invero, ha ritenuto la responsabilità del ricorrente sulla base della non dimostrata argomentazione del primo giudice a mente della quale A. era rimasto privo di reddito, così non potendo far fronte alla corresponsione dell’assegno di mantenimento in favore della minore. Sotto questo profilo si deve rilevare che non ogni sovvertimento della decisione in senso peggiorativo avvenuta in appello richieda una motivazione rafforzata. Questa Corte ha, infatti, ritenuto che ciò non sia necessario in ipotesi di correzione di un errore di diritto in cui sia incorso il primo giudice Sez. 4, n. 19036 del 14/03/2017, Russo, Rv. 269610 , così come - circostanza conferente rispetto alla ipotesi in esame -, nel caso in cui il provvedimento assolutorio abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo, posto che, in tale ipotesi, non vi è neppure la concreta possibilità di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo giudice, essendo, invece, il giudizio d’appello l’unico realmente argomentato. Sez. 5, n. 12783 del 24/01/2017, Caterino, Rv. 269595 . In tal senso la decisione della Corte d’appello allorché, da un canto, ha ritenuto che l’affermazione del primo giudice non trovava alcun riscontro nelle allegazioni, ma, dall’altro, ha egualmente osservato come non fosse stata fornita adeguata dimostrazione, non delle difficoltà economiche, quanto dell’impossibilità di adempiere, facendo espresso richiamo ai principi che, in ordine all’obbligo di mantenimento da parte del genitore in favore del figlio minore questa Corte ha reiteratamente affermato. In proposito deve ribadirsi il principio di diritto secondo cui, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, incombe sull’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, essendo del tutto inidonea, a tal fine, la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà Sez. 6, n. 8063 del 08/02/2012, G., Rv. 252427 , così come inidonea risulta la mera documentazione formale dello stato di disoccupazione Sez. 6, n. 7372 del 29/01/2013, S., Rv. 254515 Sez. 6, n. 5751 del 14/12/2010, dep. 2011, P., Rv. 249339 , circostanza corrispondente a quanto dedotto ed allegato in quella sede dal ricorrente. 5. Quanto sopra enunciato in ordine all’inconferenza della documentazione che attesta il mero stato di disoccupazione e la dismissione dell’azienda da parte del ricorrente, ingegnere, libero professionista come è dato rilevare dal ricorso , fa ritenere infondato il secondo motivo per mezzo del quale si deduce l’erronea valutazione ed omessa motivazione su prove decisive rispetto alle allegazioni che, come detto, sono state efficacemente superate dalla decisione della Corte di merito, nella parte in cui ha ritenuto la stessa insufficiente a dimostrare l’impossibilità ad adempiere idonea a scriminare la fattispecie contestata. Secondo quanto costantemente ribadito da questa Corte, infatti, l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti Sez. 6, n. 33997 del 24/06/2015, C, Rv. 264667 , requisito che la Corte distrettuale ha con motivazione, seppur sintetica, escluso. Evenienza quella sopra enunciata che giustifica le statuizioni civili solo genericamente contraddette nel ricorso. 6. Infondato risulta, altresì, il motivo in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche alla luce delle della loro motivata mancata concessione avuto riguardo al lasso di tempo durante il quale si è protratto l’inadempimento. Per giurisprudenza costante di questa Corte non è, invero, necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 . In tale direzione risulta essere andata la Corte d’appello che, avendo motivatamente escluso l’impossibilità di adempiere, ha ritenuto determinante, ai fini della loro mancata concessione, il solo lungo periodo di tempo in cui lo stesso si è protratto. 7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte civile ed al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 616 c.p.p., comma 1. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in Euro 3.500 oltre IVA, CPA e spese generali nella misura del 15%.