Da resistenza a pubblico ufficiale ad oltraggio: nessuna lesione per il diritto di difesa

Il principio della necessaria correlazione tra accusa e sentenza è leso in presenza di un mutamento del fatto consistente nella trasformazione degli elementi essenziali della fattispecie concreta che renda incerto l’oggetto dell’imputazione con un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15313/19, depositata l’8 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Lecce, in riforma della pronuncia di prime cure, ha condannato un imputato per le espressioni offensive rivolte agli agenti della Polizia Provinciale che stavano elevando una contravvenzione per violazione del codice della strada, condotta riqualificata da resistenza a pubblico ufficiale a oltraggio. La difesa propone ricorso per la cassazione della sentenza. Correlazione tra accusa e sentenza. Il ricorso lamenta il mutamento del fatto contestato e la violazione del principio della necessaria corrispondenza tra accusa e sentenza. La doglianza si rivela infondata avendo la Corte territoriale rispettato il principio per cui si è in presenza di un mutamento del fatto in caso di trasformazione degli elementi essenziali della fattispecie concreta che renda incerto l’oggetto dell’imputazione, sussistendo in tale ipotesi un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Solo in questo caso infatti si pregiudica la possibilità di difesa dell’imputato impedendogli di sostenere utilmente la propria estraneità ai fatti criminosi. Nella vicenda in esame non può riscontrarsi una tale modificazione, posto che la riqualificazione giuridica operata era meno grave rispetto a quella prevista nell’imputazione. Sussistenza del reato. Risulta invece fondato il motivo di ricorso attinente alla carenza motivazionale della condanna. Ed infatti, secondo la consolidata giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio ex art. 341- bis c.p. è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto de suo ufficio . Posto che la sentenza impugnata ha omesso la motivazione in fatto sulla concreta ed effettiva possibilità che le frasi ingiuriose potessero essere percepite da terzi, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 febbraio – 8 aprile 2019, n. 15313 Presidente Paoloni – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto -, in totale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Taranto in data 23 maggio 2016 con la quale R.S. , riqualificata l’originaria imputazione di resistenza in quella di oltraggio, era stato assolto per insussistenza del fatto, ne ha affermato la responsabilità e lo ha condannato alla pena di mesi nove di reclusione, con i doppi benefici, e al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili. 1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito, avendo anche la Corte d’appello respinto la prospettazione formulata dalla Pubblica Accusa di qualificare la condotta alla stregua del delitto di cui all’art. 337 c.p., l’episodio, caratterizzato dalla pronuncia di espressioni offensive nei confronti degli agenti della Polizia Provinciale che stavano procedendo a elevare una contravvenzione del codice della strada, è stato ritenuto sussistente, divergendo unicamente la valutazione del secondo giudice sulla circostanza che dette frasi ingiuriose potessero essere percepite dagli utenti di quella strada, certamente più di due, stante l’ora e la durata dei fatti . 2. Ricorre R.S. , a mezzo del difensore avv. Nicola Lonoce, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, denunciando la violazione di legge, in riferimento all’art. 597 c.p.p., e il vizio della motivazione perché il giudice di secondo grado, pur essendo stato investito unicamente dell’appello del Procuratore generale sulla qualificazione giuridica dell’episodio alla stregua del delitto di resistenza, ha violato il principio devolutivo procedendo autonomamente a qualificare il fatto quale oltraggio e ha privato il ricorrente della possibilità di difendersi nel merito primo motivo , nonché, in riferimento all’art. 341 bis c.p., per avere il giudice di secondo grado ritenuto sussistenti tutti gli elementi materiali del reato sulla base della mera possibilità che le espressioni ingiuriose fossero udite da terzi, fornendo però una motivazione ipotetica e congetturale secondo motivo . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni che saranno esposte. 2. Deve essere premesso, ancorché non siano state formulate specifiche deduzioni sul punto, che la Corte d’appello, procedendo alla totale riforma della sentenza del primo giudice, non aveva l’obbligo di procedere alla rinnovazione dell’istruzione probatoria con riguardo alle prove dichiarative poiché, senza mutare in alcun modo la valutazione che di esse aveva dato il primo giudice, ha ritenuto sussistente, non sulla base di una diversa valutazione delle dichiarazioni, un elemento della fattispecie che invece il primo giudice aveva escluso. Deve richiamarsi in proposito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale non sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’assunzione della prova dichiarativa nel caso in cui il giudice di appello, che riformi in peius la sentenza di condanna di primo grado, proceda solo ad una diversa qualificazione giuridica dei fatti, senza rivalutare il contenuto dichiarativo delle deposizioni dei testi escussi o modificare il giudizio sulla loro attendibilità Sez. 5, n. 42577 del 02/07/2018, D., Rv. 274009 . Analogamente si è affermato che il giudice di appello, in caso di riforma in peius della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto che sia fondata sulla identica valutazione delle risultanze probatorie anche dichiarative, non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale né ad una motivazione rafforzata Sez. 6, n. 10584 del 30/01/2018, De Rubeis, Rv. 273742 . 3. Il primo motivo di ricorso che lamenta la violazione del principio devolutivo è inammissibile perché manifestamente infondato. In particolare, l’appello del P.M. contro la sentenza di assoluzione emessa all’esito del dibattimento, salva l’esigenza di contenere la pronuncia nei limiti della originaria contestazione, ha effetto pienamente devolutivo, attribuendo al giudice ad quem gli ampi poteri decisori previsti dall’art. 597 c.p.p., comma 2, lett. b . Ne consegue che, da un lato, l’imputato è rimesso nella fase iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte le istanze che attengono alla ricostruzione probatoria del fatto ed alla sua consistenza giuridica dall’altro, il giudice dell’appello è legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, non essendo vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello e non potendo comunque sottrarsi all’onere di esprimere le proprie determinazioni in ordine ai rilievi dell’imputato vedi Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231675 . 3.1. Anche la censura relativa al mutamento del fatto contestato è manifestamente infondata, ove si consideri che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione degli elementi essenziali della fattispecie concreta che renda incerto l’oggetto dell’imputazione con reale pregiudizio dei diritti della difesa Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 . In particolare si è sostenuto che la violazione del principio di corrispondenza tra l’imputazione e la sentenza ricorre solo se la modifica del fatto e della sua qualificazione giuridica pregiudica le possibilità di difesa dell’imputato impedendogli di utilmente sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi globalmente considerati Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, Caterino, Rv. 257782 nello stesso senso Sez. 6, n. 34879 del 10/01/2007, Sartori, Rv. 237415 . Nella vicenda sottoposta alla cognizione dei giudici di merito, dunque, non occorreva alcuna contestazione, essendo stata attribuita al fatto - peraltro già all’esito del primo grado di giudizio - una qualificazione giuridica meno grave art. 341 bis c.p. di quella enunciata nell’imputazione art. 337 c.p. , mentre il principio affermato dalla Corte EDU con la sentenza Drassich in data 11 dicembre 2007 - che ha ravvisato violazione dell’art. 6 CEDU nella riqualificazione giuridica del fatto effettuata ex officio in sede di legittimità, senza che sia stata data all’imputato la possibilità di essere informato della riqualificazione e di difendersi adeguatamente - riguarda il diverso caso in cui il titolo di reato ravvisato sia più grave, con conseguenze sfavorevoli all’imputato a causa del mutato nomen iuris, sicché il diritto al contraddittorio va assicurato informando l’imputato e il suo difensore dell’eventualità di una qualificazione giuridica del fatto diversa da quella contestata Sez. 6, n. 24631 del 15/05/2012, Cusumano, Rv. 253109 Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754 . Non vi è stata, perciò, nessuna limitazione del diritto di difesa perché, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce della regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia , consentendo all’imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione . Nel caso di specie, peraltro, la qualificazione giuridica alla stregua del delitto di oltraggio era già emersa alla fine del giudizio di primo grado e da essa il ricorrente ha potuto difendersi anche in grado d’appello. 4. È, invece, fondato il secondo motivo di ricorso poiché la motivazione della sentenza impugnata è apodittica e ipotetica con riguardo alla possibilità che gli insulti che il ricorrente stava profferendo alla volta degli agenti intervenuti potessero essere percepiti dagli utenti della strada. 4.1. Il Collegio condivide il principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, che viene richiamato dalla sentenza impugnata, secondo il quale ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all’art. 341 bis c.p., è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018, Ramondo, Rv. 273466 Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828 . È necessario evidenziare che il caso riguardava la condotta dell’imputato che aveva proferito espressioni ingiuriose all’indirizzo dei Carabinieri che stavano procedendo ad una legittima attività di controllo a tutela della regolarità della circolazione stradale, dandosi atto che i giudici di merito avevano puntualmente indicato le ragioni giustificative della ritenuta presenza contestuale di una pluralità di persone l’addetto al trasporto della vettura sequestrata e la persona trasportata sulla vettura dell’imputato al momento della pronunzia delle frasi oltraggiose da parte dell’imputato . 4.2. La sentenza impugnata, pur richiamando il principio di diritto, ha completamente omesso la motivazione in fatto sulla concreta ed effettiva possibilità, in ragione della accertata presenza di altre persone, che le frasi ingiuriose potessero essere percepite da terzi. La Corte d’appello si è limitata ad affermare che, essendosi svolti i fatti su una strada provinciale, le frasi potevano essere udite dagli utenti della medesima. Si tratta però di una asserzione, peraltro congetturale, che mal si concilia con il teatro dei fatti, che viene descritto come una strada extraurbana che attraversa le campagne, mentre la Corte d’appello ipotizza che dei possibili altri utenti della strada, neppure concretamente indicati ma solo vagheggiati, potessero udire, peraltro transitando a bordo dei propri veicoli, le frasi pronunciate dal ricorrente. 4.3. Considerate le esigenze d’economia processuale sottese alla previsione di cui all’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l , il provvedimento impugnato va annullato senza rinvio, poiché dal medesimo testo delle decisioni di merito si desume l’impossibilità di rinvenire e utilizzare ulteriori emergenze processuali e di pervenire altrimenti, neppure sulla base di una rinnovata valutazione dei fatti da parte del giudice di rinvio, a una conclusione diversa dall’insussistenza del fatto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.