Palpeggiamenti dopo la chat erotica con una ragazzina: condannato

Decisivo il fatto che su Facebook l’uomo, di 53 anni, abbia agganciato la vittima presentandosi come uno studente universitario di 19 anni con accattivanti fattezze fisiche. Il bluff è emerso in occasione del primo incontro dal vivo, in cui l’uomo è riuscito comunque a palpeggiare la ragazzina, di appena 15 anni.

Prima la chat erotica su Facebook, poi l’appuntamento nel mondo reale, con la chiara prospettiva di avere un rapporto sessuale. A viziare il consenso di lei – una ragazzina di appena 15 anni – è però il bluff compiuto da lui, presentatosi come un affascinante studente universitario di 19 e rivelatosi poi essere, invece, un uomo di 53 anni. Ecco perché l’approccio di lui, e consistito in alcuni palpeggiamenti, vale una condanna per violenza sessuale Cassazione, sentenza n. 15111/19, sez. III Penale, depositata oggi . Consenso. Culmine della storia virtuale tra la ragazzina e l’uomo è l’incontro programmato in un piccolo paesino lombardo. Lì i due si danno appuntamento per conoscersi di persona, dopo il tempo trascorso in chat. Lui le propone di incontrarsi al buio e, una volta arrivato sul posto, la raggiunge da tergo, le lega le braccia dietro la schiena con del nastro adesivo e le copre gli occhi per poi condurla in un bosco e cominciare a palpeggiarle il seno . A un certo punto, però, la ragazza ci ripensa, e comincia a gridare. Lui la slega e lei corre via, spaventata anche dal fatto di avere di fronte a sé un uomo di diversi anni più grande di lei. In chat su Facebook, difatti, lui si era presentato come uno studente universitario di 19 anni, dalle accattivanti fattezze fisiche . E proprio questo dato inchioda l’uomo alle proprie responsabilità. Anche in Cassazione, come già in Appello, viene escluso che la giovane fosse consenziente ad un contatto sessuale solo perché aveva previamente intrattenuto una chat erotica con l’uomo . A questo proposito, viene evidenziato che il presunto consenso di lei alle effusioni sessuali al primo appuntamento era chiaramente viziato dall’inganno sulla persona del partner, non essendo indifferente il soggetto con cui si è disponibili alle suddette effusioni . Logico, quindi, parlare di violenza sessuale, non solo per i palpeggiamenti compiuti dall’uomo ma anche per il trucco da lui utilizzato per agganciare la ragazza.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 ottobre 2018 – 8 aprile 2019, n. 15111 Presidente Cervadoro – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 6.4.2018 la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza in data 15.11.2017 del Giudice per le indagini preliminari di Como, ha ridotto la pena inflitta all'imputato, riconoscendogli le circostanze attenuanti generiche nella massima estensione per il comportamento post factum, per il reato di cui all'art. 609-bis, secondo comma, n. 2, cod. pen. traendo in inganno la persona offesa di anni 15 conosciuta tramite facebook, al primo appuntamento era sopraggiunto da tergo per non farsi vedere, le aveva legato le braccia dietro la schiena con del nastro adesivo con cui le aveva coperto anche gli occhi, l'aveva condotta in un bosco ed aveva cominciato a palpeggiarle il seno, condotta interrotta perché la persona offesa aveva iniziato a correre e gridare aiuto. In Albavilla, il 29.3.2016 2. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen. Dubita della sussistenza del reato, perché la momentanea immobilizzazione della persona offesa era stata concordata tra le parti prima dell'incontro inoltre, la ragazza non era stata spogliata, non era stata costretta a consumare rapporti sessuali, aveva riacquistato la libertà di movimento e determinazione in un tempo brevissimo l'imputato, percepito il dissenso, aveva desistito dall'azione. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., perché ritiene configurabile al limite il tentativo di violenza sessuale, non essendo attendibile il racconto della ragazza che aveva riferito di palpeggiamenti dell'uomo durante e dopo la caduta al suolo, ed in ogni caso non essendosi verificata una concreta intrusione nella sfera sessuale della donna. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., perché le modalità esecutive della condotta facevano propendere per un fatto di minore gravità, ed il giudizio prognostico circa le future conseguenze della condotta contestata era svincolato da ogni dato concreto. Inoltre, la minore non aveva avuto bisogno di supporto psicologico. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato e privo dei requisiti di specificità. La Corte territoriale con motivazione immune da censure ha accertato il reato contestato osservando che non corrispondeva al vero che la giovane fosse consenziente ad un contatto sessuale con l'imputato sol perché aveva previamente intrattenuto con lui un chat erotica. Ed invero, l'uomo, di anni 53, si era presentato su facebook come uno studente universitario di 19 anni dalle accattivanti fattezze fisiche, donde la curiosità della persona offesa. Correttamente i Giudici di merito hanno precisato che, ammesso pure il consenso alle effusioni sessuali al primo appuntamento, quest'ipotetico consenso era insanabilmente viziato dall'inganno sulla persona, non essendo indifferente il soggetto con cui si era disponibili alle suddette effusioni. Del resto l'uomo per mettere in atto il suo proposito aveva presentato l'incontro con modalità al buio. Di qui non solo la violenza sessuale per costrizione, con riferimento all'atto specifico, ma anche per induzione, con riferimento alla fase preparatoria. La condotta delittuosa era stata poi integralmente consumata/ perché l'uomo le aveva palpeggiato il seno sia prima che dopo la caduta e grazie alle urla della ragazza era stata interrotta. Peraltro, la circostanza che l'uomo l'avesse slegata gli ha meritato il riconoscimento delle attenuanti nella massima estensione. Pienamente motivato è anche il diniego del fatto di minore gravità con riferimento alla gravità delle modalità della condotta, al rischio connesso al suo protrarsi, al disagio psicologico derivato alla ragazza da tale accadimento. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. La parte civile è liquidata, alla stregua delle risultanze del processo, come da dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 5.000,00 oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA.