Il bisogno fisiologico costituisce motivo per la sosta in corsia di emergenza

Il concetto di malessere” comprende ogni forma di disagio e necessità fisica, anche transitoria, che non consente di proseguire la guida con il dovuto livello di attenzione.

Lo ha stabilito la quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13124/19, depositata in cancelleria il 26 marzo. Il caso. L’imputato, di professione tassista, percorrendo il grande raccordo anulare, a causa di un impellente bisogno fisiologico, arrestava la marcia del veicolo in corsia d’emergenza. Mentre stava risalendo sull’autovettura, veniva tamponato da un motociclo a seguito dell’urto, il centauro decedeva. All’esito del giudizio abbreviato, il Giudice per l’udienza preliminare assolveva l’imputato dal delitto di cui all’art. 589 c.p., con violazione dell’art. 176, comma 5, c.d.s. e per imprudenza, negligenza e imperizia, perché il fatto non costituisce reato”. Sul gravame di merito proposto dalle sole parti civili, la Corte di Appello, ravvisata nel caso di specie la condizione di malessere” che legittimava l’imputato a fermarsi in corsia d’emergenza, e ritenuta irrilevante la circostanza che, prima di espletare il bisogno fisiologico, l’imputato avesse fatto una telefonata, confermava l’assoluzione. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione le parti civili, ai soli fini dell’affermazione della responsabilità civile dell’imputato, deducendo violazione di legge, atteso che il bisogno urinario non poteva qualificarsi come malessere e vizio di motivazione in riferimento alla questione della telefonata, che costituirebbe la prova del fatto che la sosta si prolungò oltre il necessario, alla circostanza che, essendo l’imputato un autista professionista, avrebbe dovuto mantenere una diligenza superiore a quella del comune conducente e al fatto che l’imputato non aveva azionato le quattro frecce, né indossato il giubbotto catarifrangente. Il concetto di malessere. Per giurisprudenza di legittimità, il bisogno fisiologico deve essere inquadrato in quel concetto di malessere” fisico che, sulla base del combinato disposto della lett. d del comma 1 dell’art. 157 c.d.s., con il comma 5 dell’art. 176 c.d.s., giustifica la sosta sulla corsia di emergenza durante la circolazione sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali. Infatti, il malessere non si esaurisce solo nella nozione d’infermità incidente sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto, ex art. 88 c.p., o nell’ipotesi di caso fortuito, ex art. 45 c.p., bensì nel più generale concetto di disagio e finanche di incoercibile necessità fisica, anche transitoria, che non consente di proseguire la guida con il dovuto livello di attenzione. La sentenza della Cassazione. La Suprema Corte, ritenuti infondati i motivi proposti, ha rigettato i ricorsi. La sezione, nel richiamare altro proprio precedente Cass. Pen., sez. IV, 14/1/2010, n. 7679 , ribadisce che la necessità di soddisfare il bisogno di minzione, che notoriamente esclude quella condizione di benessere fisico indispensabile per una guida corretta, va inscritta all’interno del concetto di malessere. Irrilevante risulta, allora, la circostanza che l’imputato avrebbe effettuato una telefonata nel momento in cui avvenne l’impatto, la sosta d’emergenza era comunque giustificata. Peraltro, non risulta alcuna violazione alle disposizioni cautelari dettate dal codice della strada infatti, non sussistono quelle condizioni, prescritte dagli artt. 152, 162 e 176, comma 7, c.d.s., che avrebbero richiesto l’uso delle segnalazioni luminose, né quelle che prescrivono l’uso dei dispositivi retroriflettenti di protezione individuale, ai sensi del comma 4- bis dell’art. 162 c.d.s Non risulta configurabile nemmeno quella colpa generica impostata come riferibile a un’ipotetica colpa professionale dell’imputato - il concetto, di matrice squisitamente civilistica, attiene ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c. all’adempimento delle obbligazioni - dal momento che non risulta che il sinistro si fosse verificato nell’esercizio dell’attività di tassista e che non esiste un criterio di diligenza differenziato rispetto a quello richiesto a qualsiasi altro conducente.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 febbraio – 26 marzo 2019, n. 13124 Presidente Izzo - Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Roma, in data 16 ottobre 2017, ha confermato la sentenza con la quale il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, il 19 marzo 2015, aveva assolto D.T.A. con la formula perché il fatto non costituisce reato , all’esito di giudizio abbreviato, dal delitto a lui ascritto ex art. 589 c.p., omicidio colposo in danno di C.M. , contestato come commesso in il omissis , con violazione dell’art. 176 C.d.S., comma 5, e per imprudenza, negligenza e imperizia. L’episodio per cui si procede si può così riassumere, sulla base della ricostruzione dei fatti accolta dai giudici di merito il D.T. , di professione tassista, percorrendo il omissis in orario mattutino, decideva di fermarsi all’altezza del km. , arrestando la marcia del suo taxi in corsia d’emergenza. Motivo della fermata era, per quanto emerso in istruttoria, un impellente bisogno fisiologico mentre il D.T. stava risalendo sulla sua autovettura, veniva violentemente tamponato dal motociclo condotto dal C. , che era sopraggiunto verosimilmente senza avere neppure visto il taxi del D.T. fermo sulla corsia d’emergenza, tant’è che la moto non aveva lasciato segni di frenata. In esito all’urto, il C. decedeva. Nel rigettare i motivi d’appello delle parti civili costituite C.G. ed E. rispettivamente fratello e figlio della vittima , la Corte capitolina ha osservato che, in relazione all’età del D.T. nato nel e al fatto che egli era affetto da problemi prostatici, doveva ravvisarsi nella specie la condizione di malessere che legittimava l’imputato a fermarsi in corsia d’emergenza il veicolo era stato parcheggiato in posizione corretta, ben accostato sulla destra non rilevava il fatto che durante la sosta, poco prima di espletare il bisogno fisiologico, il D.T. avesse fatto una telefonata, atteso che l’urto era avvenuto in un momento successivo alla telefonata stessa. 2. Avverso la prefata sentenza d’appello ricorrono le parti civili C.G. ed E. , con due separati atti d’impugnazione. 3. Il ricorso di C.G. consta di due motivi. 3.1. Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla questione della telefonata che il D.T. fece appena fermatosi, poco prima dell’impatto. Tale evenienza, secondo il ricorrente, costituisce la prova che la sosta del taxi si prolungò oltre il necessario, atteso che prima di urinare il D.T. aveva avuto anche il tempo di telefonare. 3.2. Con il secondo, articolato motivo il deducente lamenta violazione di legge atteso che non poteva qualificarsi un bisogno urinario come malessere , non essendo tale l’incontinenza cronica, che non costituisce alcunché di imprevedibile o di improvviso, tanto più che il bisogno fu preceduto da una telefonata e che ben avrebbe potuto il D.T. proseguire fino al vicino autogrill, distante appena tre chilometri e quand’anche non si ravvisasse la violazione dell’art. 176 C.d.S., comma 5, il D.T. , autista professionista, dovrebbe rispondere per colpa qualificata, essendogli richiesto un obbligo di diligenza superiore a quello del comune conducente di un veicolo. È inoltre comprovato, in base alle testimonianze, che il D.T. non aveva azionato le quattro frecce in fase di sosta e che non indossava il giubbotto catarifrangente. 4. Il ricorso di C.E. consta di un unico motivo, teso a lamentare violazione di legge e vizio di motivazione per motivi affini a quelli del ricorso precedentemente esaminato, e che possono riassumersi nella doglianza circa l’inapplicabilità dell’art. 176 C.d.S., comma 5, atteso che - secondo il deducente - l’aver telefonato prima di soddisfare il bisogno fisiologico è la riprova che non vi era alcuna emergenza che giustificasse la sosta che non può parlarsi di stato di malessere e che per di più la vettura era ferma senza le quattro frecce accese. Considerato in diritto 1. I ricorsi, che possono essere congiuntamente trattati per l’evidente sovrapponibilità dei motivi in essi articolati, sono ambedue infondati. 1.1. A proposito della contestata qualificazione del bisogno urinario come malessere , ai fini di quanto stabilito dall’art. 176 C.d.S., comma 5, è sufficiente richiamare l’indirizzo, qui condiviso, adottato dalla giurisprudenza di legittimità in un caso per molti versi analogo Sez. 4, Sentenza n. 7679 del 14.01.2010, Del Vesco e altri, n. m. la Corte regolatrice ha affermato che dev’essere inquadrato il bisogno fisiologico nel concetto di malessere che giustifica la sosta sulla corsia di emergenza ai sensi dell’art. 157 C.d.S., comma 1, lett. d . Invero, il termine malessere non può esaurirsi nella nozione di infermità incidente sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto come prevista dall’art. 88 c.p. o nell’ipotesi di caso fortuito di cui all’art. 45 c.p., bensì nel lato concetto di disagio e finanche di incoercibile necessità fisica anche transitoria che non consente di proseguire la guida con il dovuto livello di attenzione e quindi in esso deve necessariamente ricomprendersi l’improvviso bisogno fisiologico dipendente o meno da malfunzionamento organico che notoriamente esclude quella condizione di benessere fisico indispensabile per una guida corretta che non ponga in pericolo sia lo stesso conducente ed i terzi trasportati sia gli altri utenti della strada . Non hanno pertanto pregio le contrarie affermazioni dei ricorrenti sul punto né esse appaiono cogliere nel segno con riguardo alla circostanza, pure ammessa dallo stesso imputato, secondo la quale egli, poco prima di soddisfare il suo bisogno di minzione, ebbe a fare una breve telefonata come opportunamente chiarito dalla Corte di merito, l’impatto avvenne dopo che, terminata la suddetta comunicazione telefonica, il D.T. aveva espletato il bisogno fisiologico durante il quale era stato visto di spalle dalla teste S. e si accingeva a risalire in macchina dunque, nel momento in cui l’impatto avvenne, la sosta d’emergenza era comunque giustificata essendo essa consentita, a norma dell’art. 176 C.d.S., comma 6, per il tempo strettamente necessario per superare l’emergenza stessa , a nulla rilevando che essa fosse stata protratta di qualche istante per la precedente, breve telefonata. 1.2. Non sussistevano neppure, diversamente da quanto asserito dai ricorrenti, le condizioni nelle quali è prescritto come obbligatorio l’uso delle segnalazioni luminose c.d. quattro frecce in base agli artt. 153 e 162 C.d.S., e art. 176 C.d.S., comma 7, né quelle nelle quali è prescritto l’uso dei dispositivi retroriflettenti di protezione individuale c.d. giubbotti catarifrangenti, di cui all’art. 162 C.d.S., comma 4 bis dalla lettura della sentenza impugnata risulta infatti che il sinistro si verificò in una mattinata di pieno sole, poco dopo le ore 09.00, in un tratto del pressoché rettilineo e quindi con visibilità più che buona nonostante ciò, il C. , probabilmente per distrazione in base a quanto si ricava dalla ricostruzione della sequenza operata dalla Corte di merito anche attraverso i contributi dichiarativi raccolti , non si avvide della traiettoria seguita e del fatto che, con essa, si sarebbe immesso nella corsia d’emergenza andando a impattare contro l’auto in sosta del D.T. . 1.3. Avuto riguardo a quanto precede, non può neppure condividersi l’assunto delle parti civili ricorrenti laddove esse denunciano la configurabilità, quanto meno, della colpa generica, qualificata dall’attività professionale del D.T. . Ed invero, è erroneo il riferimento a un’ipotetica forma di colpa professionale forse un improprio richiamo civilistico all’art. 1176 c.c., comma 2 , a nulla rilevando il fatto che l’imputato svolgeva la professione di tassista infatti non risulta che il sinistro si fosse verificato nell’esercizio dell’attività lavorativa del D.T. ossia che esso fosse causalmente dipendente dal suo comportamento come tassista , ma - al più - si sarebbe verificato in occasione di essa avuto riguardo alle circostanze in cui avvenne il sinistro mentre l’auto del D.T. era ferma e all’assenza di questioni inerenti a un peculiare dovere di attenzione cui egli doveva nell’occorso ritenersi soggetto a cagione della propria attività, non si vede a quale titolo dovesse trovare applicazione nel caso di specie un criterio di diligenza differenziato rispetto a quello riferibile a qualsiasi conducente. Ciò chiarito, comunque, non vi sono elementi per affermare che la condotta del D.T. avesse violato alcuna disposizione cautelare del Codice della Strada di contro, la sua condotta era consentita e non poteva dirsi caratterizzata né da negligenza, né da imprudenza, né da imperizia. 2. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.