Nulla la dichiarazione di abitualità nel reato in difetto di specifica contestazione

Deve essere dichiarata nulla per difetto di contestazione, limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato, la sentenza di condanna pronunciata in relazione ad imputazione priva di un espresso riferimento alla fattispecie dell’abitualità presunta per legge ovvero a quella ritenuta dal giudice.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12944/19, depositata il 25 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza di prime cure che aveva condannato un imputato per truffa, dichiarandole delinquente abituale. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione dolendosi, per quanto d’interesse, dell’erronea dichiarazione di abitualità nel reato per difetto di contestazione. Contestazione dell’abitualità. Dando atto della presenza di orientamenti contrastanti in giurisprudenza, la Suprema Corte afferma di condividere l’interpretazione secondo cui è nulla ex art. 180 c.p.p. per difetto di contestazione, limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato, la sentenza di condanna pronunciata in relazione ad imputazione che si limita genericamente ad indicare la recidiva reiterata specifica ed infraquinquiennale e l’esistenza delle condizioni per la dichiarazione di delinquenza abituale, in assenza di un espresso riferimento alla fattispecie dell’abitualità presunta per legge ovvero a quella ritenuta dal giudice . La sentenza di condanna con cui viene ritenuta l’abitualità a delinquere in difetto di contestazione si pone infatti in violazione degli artt. 429, comma 1, lett. c , e 522 c.p.p. per violazione del principio del contraddittorio. Come sottolineano gli Ermellini infatti l’abitualità è la condizione personale di colui che, con la sua ripetuta attività criminosa, può avere conseguito una spiccata attitudine alla perpetrazione di illeciti penali il suo accertamento implica la valutazione, da parte del giudice, non soltanto dei precedenti penali ma anche di tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. ed in particolare della condotta di vita . È dunque insufficiente la contestazione della recidiva specifica reiterata infraquinquiennale, perché priva degli elementi richiesti per la verifica degli estremi di cui all’art. 133 c.p. sui quali l’accusa intende fondare la sua richiesta. Inoltre la recidiva determina solo un inasprimento della pena, e non l’applicazione di una misura di sicurezza. In conclusione, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato e dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 dicembre 2018 – 25 marzo 2019, n. 12944 Presidente Cammino – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto 1.1 Con ordinanza in data 3 ottobre 2018 la corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, dichiarava inammissibile l’istanza di ricusazione avanzata avverso il giudice monocratico del tribunale di Taranto, nell’ambito del procedimento che vedeva gli imputati C.M. e M.S. rispondere del delitto di tentata estorsione. 1.2 Avverso detto provvedimento proponevano ricorso per cassazione il M. e la C. RITENUTO IN FATTO Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Lecce ha confermato integralmente la sentenza con la quale, in data 22.6.2015, il Tribunale di Lecce aveva dichiarato l’imputato C.A. , in atti generalizzato, colpevole di plurime truffe, e delinquente abituale, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia. Contro tale provvedimento, l’imputato con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione , ha proposto ricorso, denunziando i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1 I - erronea applicazione dell’art. 103 c.p., ed erronea dichiarazione di abitualità nel reato, in difetto di contestazione H - violazione dell’art. 640 c.p., e manifesta illogicità della motivazione per mancata disponibilità dei beni de quibus e carenza di dolo . All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. Considerato in diritto Il ricorso è fondato limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato, che va eliminata, ed è inammissibile nel resto. 1. Il secondo motivo, riguardante l’affermazione di responsabilità, reitera, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte, risultando, pertanto, privo della specificità necessaria ai sensi dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C , Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693 Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133 , e, comunque, meramente assertivo nonché manifestamente infondato, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato la contestata statuizione, valorizzando le dichiarazioni della p.o. corroborate dagli esiti delle ulteriori attività investigative svolte, elementi in virtù dei quali ha incensurabilmente ritenuto dimostrato che l’imputato ha sistematicamente omesso di spedire agli acquirenti, che avevano in anticipo pagato il prezzo assai conveniente reclamizzato nel sito, tutti i prodotti messi in vendita , rassicurandole sul buon esito della compravendita prima del pagamento del prezzo, e rendendosi irreperibile dopo, senza mai documentare l’acquisto o quanto meno il tentativo di acquisto dei beni promessi in vendita, né il sopravvenire di imprevedibili difficoltà finanziarie cfr. dettagliatamente f. 2 s. della sentenza impugnata . 1.1. D’altro canto, questa Corte, con orientamento Sez. IV, n. 19710 del 3.2.2009, rv. 243636 che il collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. doppia conforme , ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità , il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti con specifica deduzione che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice . 1.2. Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati. 2. Il primo motivo è fondato. 2.1. Il collegio è consapevole dell’esistenza, in proposito, di orientamenti contrastanti. 2.1.1. Un orientamento ritiene che è nulla ex art. 180 c.p.p., per difetto di contestazione, limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato, la sentenza di condanna pronunciata in relazione ad imputazione che si limiti genericamente ad indicare la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale e l’esistenza delle condizioni per la dichiarazione di delinquenza abituale, in assenza di un espresso riferimento alla fattispecie d’abitualità presunta per legge ovvero a quella ritenuta dal giudice Sez. 2, sentenza n. 1839 del 31/01/2000, Rv. 215396, F. Sez. 6, sentenza n. 17884 del 02/04/2009, Rv. 243526, F. Sez. 2, sentenza n. 46581 del 05/10/2017, Rv. 271488, P. . 2.1.2. Altro orientamento ritiene, peraltro, che la dichiarazione di abitualità può essere assunta anche d’ufficio e che la partecipazione del P.M. all’esercizio dell’azione penale, con riferimento alla predetta statuizione, sarebbe soddisfatta mediante la formulazione del capo d’imputazione Sez. 1, sentenza n. 36949 del 24/09/2014, dep. 2015, P., n. m., che richiama Sez. 1, sentenza n. 6926 del 07/11/2008, dep. 2009, Rv. 243222, F. . 2.1.3. A parere del collegio, va condiviso il primo orientamento, senz’altro maggioritario. Invero, come sin dall’inizio rilevato Sez. 2, sentenza n. 1839 del 31/01/2000, Rv. 215396, F. , deve ritenersi che la sentenza di condanna con la quale venga ritenuta l’abitualità a delinquere in difetto di contestazione si ponga in violazione dell’art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c , e art. 522 c.p.p. la prima disposizione impone, infatti, l’obbligo di indicare, in forma chiara e precisa, il fatto e le circostanze dalle quali possa derivare l’applicazione delle misure di sicurezza, che conseguono appunto alla menzionata declaratoria dell’abitualità d’altro canto, soltanto a seguito di una completa contestazione può ritenersi correttamente instaurato il contraddittorio e l’interessato è messo in grado di svolgere interamente le sue difese sul punto. Ciò in quanto l’abitualità è la condizione personale di colui che, con la sua ripetuta attività criminosa, può avere conseguito una spiccata attitudine alla perpetrazione di illeciti penali il suo accertamento implica la valutazione, da parte del giudice, non soltanto dei precedenti penali ma anche di tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., ed in particolare della condotta di vita. È già stata all’uopo ritenuta insufficiente la contestazione, nell’imputazione, della recidiva specifica reiterata infraquinquennale, poiché da un lato manca la specificazione degli altri elementi richiesti per la verifica degli altri estremi di cui all’art. 133 c.p., sui quali l’accusa intende fondare la sua richiesta, e dall’altro la recidiva determina soltanto un aggravamento della pena e non anche l’applicazione della misura di sicurezza. Nel caso in esame, peraltro, all’imputato non era stata contestata neppure la recidiva. Né può attribuirsi rilevanza al fatto che l’art. 517 c.p.p., concernente la contestazione suppletiva, richiami esclusivamente le circostanze aggravanti e non anche quelle che comportano l’applicabilità delle misure di sicurezza, perché l’art. 429 citato espressamente commina la nullità del decreto che dispone il giudizio per tale carenza, che si riverbera, poi sulla sentenza, la quale è a sua volta nulla, quando è pronunciata per un fatto nuovo ex art. 522 , nella cui nozione possono essere altresì annoverati i dati sui quali si fonda l’apprezzamento dell’abitualità. 2.1.4. È pur vero che alla declaratoria d’abitualità ed all’applicazione della misura di sicurezza può provvedere in sede esecutiva il magistrato di sorveglianza, ma in questo caso, attraverso la fissazione della data d’udienza ed il relativo avviso, notificato almeno dieci giorni prima, risulta comunque assicurata l’instaurazione del rapporto processuale sul punto e l’attuazione del diritto al contraddittorio ad hoc. Proprio la precisazione che precede chiarisce l’erroneità dell’orientamento non accolto, che mutua una affermazione senz’altro valida - per la ragione appena evidenziata - nell’ambito del procedimento di sorveglianza, ma non anche nell’ambito del procedimento di cognizione. 2.2. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato, che va eliminata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla nel reato, che elimina, e dichiara inammissibile nel resto il ricorso. , tramite il proprio difensore avv.to Lovelli, il quale deduceva che con decreto 21 settembre 2018 il giudice titolare del procedimento di merito aveva emesso decreto di sequestro preventivo di un assegno, anticipando il giudizio di responsabilità degli imputati sicché sussisteva violazione dell’art. 37 c.p.p., comma 1, poiché la verifica del fumus necessario per motivare il provvedimento di sequestro non può estendersi sino alla formulazione di un giudizio di colpevolezza, come invece risultante dalla motivazione del provvedimento di sequestro. Sussisteva, pertanto, una ipotesi di indebita manifestazione di convincimento circa i fatti contestati ed una anticipazione della valutazione delle attività istruttorie già espletate, di cui al citato art. 37, lett. b , ed aveva errato la corte di appello nel dichiarare inammissibile l’istanza posto che la valutazione non si era arrestata al solo fumus ma si era spinta ad affermare la fondatezza dell’impianto accusatorio. CONSIDERATO IN DIRITTO 2.1 Il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto. In tema di ricusazione del giudice ex art. 37 c.p.p., lett. b , le sezioni unite di questa corte di cassazione hanno affermato che l’indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale, anche nell’ambito di un diverso procedimento, rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della res iudicanda , ovvero sulla colpevolezza dell’imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, Rv. 232067 . Il suddetto principio risulta ribadito in numerose altre successive pronunce a sezioni semplici ed anche recentemente si è riaffermato che, in tema di ricusazione, il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell’imputazione, di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b , richiede che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale e va escluso nel caso di esternazione incidentale ed occasionale fatta in diverso procedimento, su particolari aspetti della vicenda sottoposta al giudizio Sez. 5, n. 3033 del 30/11/2017, Rv. 272274 . Ne deriva pertanto affermare che la valutazione anticipata del convincimento del giudice idonea a fondare la ricusazione ex art. 37 c.p.p., lett. b , è solo quella che sia avvenuta indebitamente e cioè al di fuori del legittimo esercizio delle attività giurisdizionali e non anche quella che sia stata espressa nel corso di fasi incidentali del giudizio principale in cui il giudice che delibera ai fini dell’emissione del provvedimento richiestogli è obbligato a fornire giustificazione del proprio convincimento, senza che tali valutazioni costituiscano una indebita anticipazione dell’affermazione di colpevolezza perché precipue rispetto al provvedimento adottato. Con particolare riferimento alle valutazione espresse in caso di richiesta di sequestro formulata nel corso del giudizio, questa corte ha anche affermato che il giudice che, nel corso delle indagini preliminari, ha emesso la misura cautelare reale del sequestro preventivo, può partecipare all’udienza preliminare, poiché in tale provvedimento, fondato su un summatim conoscere e costituente atto dovuto in relazione alla situazione di fatto sottoposta al suo esame, non è profilabile né un pregiudizio rispetto ad ulteriori atti della fase, né una indebita manifestazione del convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione Sez. 6, n. 6859 del 03/12/2007, Rv. 239418 ancora si è ribadito che non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che egli, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato Sez. 1, n. 58024 del 18/10/2017, Rv. 271779 . Ne deriva pertanto affermare che le valutazioni espresse in tema di adozione di misura cautelare reale in quanto limitate alla sussistenza del fumus commissi delicti non costituiscono anticipazione indebita di giudizio sicché deve essere escluso che l’emissione di tali provvedimenti determini una causa di ricusazione. Peraltro va poi rimarcato come tale conclusione non può essere fondata sul contenuto di una motivazione che il giudice è obbligato ad assumere difatti posto che il vincolo reale ex art. 321 c.p.p., deve essere giustificato con la valutazione di pertinenzialità del bene rispetto al reato, la valutazione operata in tale fase dal giudice chiamato a delibare ove sia lo stesso competente per la -decisione di merito non può ritenersi mai indebita ma appunto effettuata in preciso adempimento del dovere di motivazione anche di tali provvedimenti. Deve quindi essere escluso che in tale caso sussista anticipazione di giudizio espressa senza alcun nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato, requisito questo pure richiesto dalla già citata giurisprudenza delle sezioni unite, trattandosi proprio di manifestazione dell’obbligo di motivazione incombente anche sul giudice della misura cautelare reale. Alla infondatezza del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.