Il difensore non si fa attestare l’intervenuto deposito dell’appello che va perduto

L’imputato non può essere rimesso in termini. Che ne è dei suoi diritti?

Il caso. L’imputato veniva condannato per il reato di rapina in primo grado. Avverso la sentenza non risultava essere stato proposto appello e pertanto la sentenza diveniva irrevocabile. L’imputato richiedeva immediate spiegazioni al proprio difensore in relazione alla mancata proposizione dell’appello. Il difensore rassicurava l’imputato circa la presentazione dell’appello anche se dichiarava di non aver richiesto l’apposizione dell’attestazione del deposito dalla cancelleria e, quindi, la propria impossibilità di documentare quanto affermato. L’imputato presentava dunque tempestiva istanza di restituzione in termine al fine di depositare nuovamente i motivi d’appello probabilmente già depositati. La Corte d’Appello riteneva che il mancato adempimento del difensore e la negligenza dello stesso, pur potendo comportare un pregiudizio ai diritti di difesa dell’imputato non costituisse forza maggiore o causa fortuito e respingeva la richiesta. Avverso detto provvedimento formulava ricorso l’imputato eccependo la violazione dell’art. 125 c.p.p., 175 c.p.p Il ruolo e la funzione dei soggetti agenti. Il Sindaco e gli altri consiglieri del Comune, ai sensi della ricostruzione formata dalla accusa, avrebbero, tramite artifici e raggiri, indotto in errore la Regione Lombardia e, in forza di detta condotta, ottenuto indebiti finanziamenti che, però, sarebbero rimasti integralmente nella disponibilità dell’ente cui erano destinati. Alla luce della ricostruzione fattuale effettuata appare del tutto palese che i soggetti agenti agirono nella funzione e nell’interesse dell’ente Comune. La circostanza appare rivestire, nel ragionamento della Corte, efficacia risolutiva. L’inconfigurabilità del sequestro. Gli Ermellini ricostruiscono giuridicamente la fattispecie facendo riferimento alla nota e consolidata giurisprudenza di legittimità elaborata in tema di concussione laddove detto delitto viene considerato come non configurabile tutte le volte che le somme vanno a profitto dell’ente di cui il pubblico ufficiale fa parte, perché elemento costitutivo del reato è la consegna o la promessa di essere considerato lo stesso ente per il quale la persona o le persone fisiche, suoi organi, agiscono ed operano e neppure enti o istituzioni che da quello possono, per previsione di legge, essere beneficiati . I principi descritti e richiamati possono, dice la Cassazione, essere applicati anche in riferimento alla fattispecie di truffa aggravata. La forza maggiore. Per forza maggiore si intende il fatto umano o naturale al quale il soggetto non può opporre una diversa determinazione e che, per tale motivo, è irresistibile. Il caso fortuito. Consiste in ogni evento inevitabile con la normale diligenza non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo. Partendo da queste due definizioni, per vero condivisibili e costituenti presupposti indiscussi dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, la seconda sezione penale della Corte identifica le peculiarità distintive della due situazioni giuridiche. Rinvenute rispettivamente nella imprevedibilità” per il caso fortuito e nell’irresistibilità” per la forza maggiore. Comune ad entrambe le ipotesi giuridiche è la inevitabilità” del fatto. I poteri dell’avvocato. Il percorso che la Corte segue ai fini di dar risposta ai quesiti sottoposti prende le mosse dai poteri connessi alla funzione pubblica dell’avvocato. Poteri che non consentono di attribuire funzione autocertificativa alla dichiarazione resa dall’avvocato di aver depositato l’atto. A tal fine ricorda la Corte come l’avvocato abbia potere di certificazione dell’autentica della sottoscrizione del proprio assistito in calce all’elezione di domicilio e della procura speciale ai sensi degli artt. 100 e 122 c.p.p., nonché quella inerente all’attività compiuta nella redazione dei verbali afferenti le indagini difensive. Non vi sono norme, e ciò appare davvero fuori di ogni dubbio, che consentano al difensore di certificare l’intervenuto deposito di atti presso del cancelliere. L’articolo 582 c.p.p La Corte ricorda, non senza una punta di sarcasmo, come l’attività di deposito degli atti presso le cancelliere, e in special modo quella delle impugnazioni, sia certamente certificabile attraverso il meccanismo previsto dall’art. 582 c.p.p. laddove è espressamente previsto che il pubblico ufficiale addetto se richiesto, attesti la ricezione dell’atto. Ovviamente previa pagamento dei diritti ex lege determinati. Dunque né caso fortuito né forza maggiore ma semplice negligenza dell’avvocato. I diritti dell’imputato. Decisamente più interessante è il profilo, dedotto in ricorso, inerente i diritti di difesa dell’imputato che, a causa della negligenza del professionista. Sul punto specifico la Corte non prende posizione se non limitandosi a richiamare la sentenza De Pascalis SS.UU. 14991/2006 con la quale gli ermellini affermavano esistente l’onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito ovviamente allorché detta vigilanza non sia impedita al comune cittadino da un complesso quadro normativo. Alcune considerazioni. Polemicamente si potrebbe osservare come il quadro normativo italiano non possa definirsi non complesso” ma mi pare che l’obiezione, pur fondata, non valga a risolvere la questione. Ora per definire tutelato il diritto di difesa dell’assistito a fronte di inadempimenti del difensore occorrerebbe che l’assistito fosse perfettamente a conoscenza dei meccanismi processuali e che egli controllasse quotidianamente l’operato del difensore. Operato del difensore che, ove non adempiuto, proprio alla stregua della pronuncia in commento, non darebbe spazio ad alcun rimedio processuale per l’assistito posto che essa non integrerebbe mai i requisiti del caso fortuito o della forza maggiore, lasciando dunque una forma di assoluta non tutela dei diritti dell’assistito incappato in professionista poco diligente. Il che mi pare contrastare con i principi dettati dalla Costituzione e dalla normativa sovranazionale. Più corretto mi pare inserire una valutazione che mantenga comunque il diritto dell’imputato incappato in difensore poco diligente di vedere comunque assoggettato il proprio caso a quel doppio grado di giudizio di merito voluto dal Legislatore sovra nazionale. Magari anche attraverso un giudizio reso dalla Suprema Corte in tema di merito. In punto credo dovrà intervenire, così come già fatto in relazione alle sentenze rese dalla Corte EDU, il Giudice delle leggi, affinché il diritto alla difesa sia effettivamente garantito a tutti gli imputati, anche a quelli difesi da avvocati non diligenti.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 – 14 marzo 2019, n. 11440 Presidente Gallo – Relatore Besso Monaco Ritenuto in fatto La CORTE d’APPELLO di FIRENZE con ordinanza del 12/11/2018 respingeva l’istanza di restituzione nel termine a norma dell’art. 175 c.p.p. per poter proporre impugnazione avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Pistoia il 31/10/2017, divenuta irrevocabile il 16/3/2017, con la quale D.H. veniva condannato per il reato di cui all’art. 628 c.p 1. D.H. veniva condannato per il reato di rapina con sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia. Avverso la sentenza non risultava essere stato proposto appello e la pronuncia, pertanto, diveniva irrevocabile e la pena posta in esecuzione. Il ricorrente chiedeva immediatamente spiegazioni al proprio difensore di fiducia che lo rassicurava circa l’avvenuta presentazione dell’appello, anche se dichiarava di non essersi fatto rilasciare l’attestazione di deposito dalla cancelleria e di non poter quindi documentare quanto affermato. Il D. presentava tempestivamente istanza di restituzione in termini al fine di depositare nuovamente i motivi d’appello, probabilmente già depositati. La Corte territoriale, ritenuto che il mancato adempimento del difensore e la negligenza dello stesso, pur potendo comportare un pregiudizio ai diritti dell’imputato, non costituiscano forza maggiore o causo fortuito, respingeva la richiesta. 1. Avverso l’ordinanza propone ricorso il D. che, a mezzo del difensore, deduce il seguente motivo. 1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 125 c.p.p. quanto al mancato riconoscimento di caso fortuito e/o della forza maggiore con riferimento alla richiesta di restituzione ai sensi dell’art. 175 c.p.p La difesa rileva che il mancato rinvenimento dell’atto di appello nel fascicolo processuale potrebbe essere stata determinata sia dallo smarrimento da parte della cancelleria, sia dalla negligenza del difensore, che, comunque, ne aveva rinvenuto una copia uso studio nel proprio fascicolo ed aveva pertanto assicurato al D. di averlo depositato, pur non potendo documentare tale affermazione poiché non aveva fatto apporre sulla copia dell’atto la prevista attestazione. Sotto tali profili il ricorrente, evidenziato che il corretto esercizio del diritto di difesa deve essere garantito in modo effettivo e concreto, così come riconosciuto anche dalla Corte Edu, rileva la necessità di affrontare due diversi profili. Per un aspetto, infatti, considerato che il difensore esercita una funzione pubblica, all’autocertificazione dello stesso rilasciata dovrebbe essere attribuita una rilevanza pari a quella riconosciuta all’attestazione della cancelleria. Per un diverso aspetto, invece, dovrebbe affrontarsi il profilo relativo al dovere dello stato di garantire il diritto di difesa e la libertà dei cittadini, anche qualora la lesione a tali diritti fondamentali sia determinata dall’errore del difensore. 2. In data 15 febbraio 2019 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Olga Mignolo, che conclude per l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Le doglianze sono manifestamente infondate. Per causa di forza maggiore, come correttamente evidenziato dal Procuratore Generale, si intende il fatto umano o naturale al quale il soggetto non può opporre una diversa determinazione e che, per tale motivo, è irresistibile. Il caso fortuito, invece, consiste in ogni evento inevitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo. Ciò che caratterizza dunque il caso fortuito è la sua imprevedibilità , mentre nota distintiva della forza maggiore è l’elemento della irresisstibilità e connotazione comune ad entrambi è la inevitabilità del fatto. Nel caso di specie non vi è una ipotesi di evento inevitabile con la normale diligenza, nè di causa di forza maggiore, cioè di evento irresistibile, giacché, con un comportamento improntato a normale diligenza, il difensore di fiducia avrebbe dovuto depositare l’atto di appello e, sempre che in effetti sia stato depositato, certezza che non può manifestare neanche lo stesso ricorrente, far certificare il tempestivo deposito. In specifico. 1.1. La rilevata funzione pubblica dell’avvocato non consente di attribuire all’autocertificazione del difensore di avere provveduto a depositare un atto un valore analogo all’attestazione di deposito rilasciata dalla cancelleria. Le modalità di presentazione dell’impugnazione, infatti, sono tassative ed espressamente previste dall’art. 582 c.p.p. per il quale il pubblico ufficiale addetto vi appone l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione . Agli atti, alle dichiarazioni ed alle attestazioni dei soggetti che esercitano una funzione pubblica, d’altro canto, non è attribuito necessariamente il medesimo valore. Le singole attività, anche svolte dal medesimo soggetto, sono espressione della specifica funzione che di volta in volta le caratterizza ed il rilievo probatorio riconosciuto agli atti in queste compiuti è, nel caso, oggetto di specifica previsione normativa. Nella peculiare situazione dell’avvocato difensore, ad esempio, l’ordinamento attribuisce un potere certificatorio all’autentica della sottoscrizione del proprio assistito in calce all’elezione di domicilio e della procura speciale ai sensi degli artt. 100 e 122 c.p.p., ovvero riconosce uno specifico valore all’attività compiuta dall’avvocato nella redazione dei verbali delle indagini difensive. Nessuna previsione normativa, di contro, vi è in merito alle diverse attività attraverso le quali il difensore adempie al proprio mandato difensivo come, appunto, la predisposizione, redazione e deposito degli atti difensivi ed anche delle impugnazioni. Qualora lo stesso ritenga necessario, ovvero anche solo prudente, documentare il corretto adempimento di una specifica attività, quale in particolare il deposito di un atto, è espressamente previsto per le impugnazioni dall’art. 582 c.p.p. che lo stesso possa richiedere al funzionario l’attestazione di avvenuto deposito. Attestazione che, peraltro, può essere rilasciata esclusivamente dal pubblico ufficiale a ciò espressamente abilitato, al quale devono essere anche corrisposti i diritti di cancelleria. 1.2. Le ulteriori critiche secondo le quali, alla luce della giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo, lo stato, e per questo il giudice, avrebbe il dovere di garantire l’effettività del diritto di difesa anche nei casi di negligenza del difensore ovvero dei funzionari della cancelleria, sono manifestamente infondate. In assenza di attestazione dell’avvenuto deposito dell’impugnazione, l’asserita evenienza che l’atto di appello sia stato smarrito dagli impiegati della cancelleria è ipotetica e non può essere tenuta in alcuna considerazione. Per quanto attiene al secondo profilo, cioè al dovere del giudice di garantire l’effettività del diritto di difesa in caso di negligenza del difensore, deve evidenziarsi che può ritenersi che tale dovere sorga solo ed esclusivamente nei limitati casi in cui l’omesso adempimento dell’incarico sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale tale, nel caso concreto, da configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore Sez. 2, Sentenza n. 31680 del 14/07/2011, Lan, Rv. 250747 Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A., Rv. 244871 . In tutti gli altri casi, come quello di specie, l’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione nel termine, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione nè può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, De Pascalis, Rv. 233419 Sez. 2, n. 48737 del 21/07/2016, Startari, Rv. 268438 . Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.