Stipendio erogato per sbaglio, appropriazione indebita o indebito arricchimento?

Qualora il datore di lavoro continui ad erogare erroneamente lo stipendio al lavoratore in relazione ad un rapporto lavorativo ormai cessato, il bonifico bancario con cui viene disposta l’erogazione della somma di denaro determina il trasferimento dello stesso nella sfera patrimoniale dell’accipiens, i cui atti dispositivi non possono considerarsi idonei a dimostrare l’interversio possessionis.

Pertanto, trattandosi di un bene fungibile senza una specifica destinazione di scopo, non può configurarsi alcuna ipotesi di appropriazione indebita, ma solo l’obbligo di restituire l’indebito. Lo ribadisce la Cassazione con sentenza n. 8459/19 depositata il 26 febbraio. Il caso. L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte d’Appello che, riformando parzialmente la decisione del Tribunale in relazione alle circostanze aggravanti, riduceva la pena inflittagli per il delitto di appropriazione indebita. In particolare, l’imputato censura la sentenza impugnata per violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione riguardo alla ritenuta rilevanza penale della condotta appropriativa posta in essere con la percezione dello stipendio relativo al rapporto di lavoro preesistente. Denaro, bene fungibile con una specifica destinazione di scopo. La Suprema Corte, ritenendo il ricorso meritevole di accoglimento, afferma che la condotta dell’imputato non presenta caratteri di illiceità penale, in quanto non ricorre l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 646 c.p E ciò non tanto in ragione della natura fungibile del bene oggetto della condotta, ma perché ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora l’oggetto della stessa sia proprio il denaro, come nel caso di specie, occorre che l’agente violi la specifica destinazione di scopo indicata dal proprietario al momento della consegna. Non basta, quindi, il semplice inadempimento dell’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute . Nella fattispecie, il bonifico bancario disposto dall’Ente per l’erogazione dello stipendio, ha determinato il trasferimento del denaro sul conto corrente dell’imputato, i cui atti dispositivi non dimostrano alcuna interversio possessionis , in quanto si tratta di un bene entrato nel sua sfera patrimoniale, senza destinazione di scopo. Pertanto, ciò che si configura è soltanto l’obbligo di restituire l’indebito. Sulla base di tali argomentazioni, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 29 gennaio – 26 febbraio 2019, n. 8459 Presidente Gallo – Relatore Aielli Ritenuto in fatto L.S. ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste del 4/7/2017 con la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone del 18/11/2014, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 9, è stata ridotta la pena a lui inflitta per il delitto di appropriazione indebita art. 646 c.p. , aggravata ex art. 61 c.p., n. 11 deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 15, 646 e 647 c.p., atteso che la Corte d’appello pur ritenendo che la condotta appropriativa del denaro - posta in essere dal L. il quale, nonostante il collocamento in acquiescenza, continuò a percepire lo stipendio - fosse riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 647 c.p., per la quale non era stata proposta querela, concludeva per la rilevanza penale del fatto ex art. 646 c.p., in violazione del principio di specialità, dovendosi invece ritenere, a parere del ricorrente, che in ogni caso la condotta in parola dovesse rientrare nella previsione di cui al D.Lgs. n. 7 del 2016, art. 4, comma 1, lett. f che prevede una sanzione assimilabile a quella penale ovvero una sanzione amministrativa che, in virtù dell’art. 15 c.p. ovvero della L. n. 689 del 1981, art. 9, dovrebbe essere applicata in luogo dell’art. 646 c.p., dovendosi escludere in ogni caso, ex art. 2 c.p., la rilevanza penale del fatto. Con il secondo motivo il ricorrente deduce i vizi di violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione avuto riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, dovendosi escludere che la erogazione dello stipendio fosse ricollegabile al preesistente rapporto lavorativo quanto piuttosto ad un errore di comunicazione tra la Direzione generale del Lavoro e la Ragioneria territoriale dello Stato, deficit di comunicazione cui non avrebbe contribuito il L. con la conseguenza che data l’ipotizzabilità dell’appropriazione indebita semplice, il reato sarebbe improcedibile per mancanza di querela. Con il successivo motivo il L. censura la sentenza impugnata per della violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione avuto riguardo alla condotta appropriativa. Secondo il ricorrente, data la confusione del denaro, bene fungibile, con il patrimonio dell’accipiens, si potrebbe ipotizzare solo un’azione civile di indebito arricchimento ex art. 2033 c.c., come ritenuto in fase di indagini dal Gip che negò il sequestro delle somme indebitamente percepite in ogni caso anche a voler considerare, come ritenuto dalla Corte di merito, che la condotta penalmente rilevante del L. fosse quella successiva al ricevimento del denaro e si sostanziasse nella omessa segnalazione dell’errore, tale condotta non darebbe luogo ad alcuna fattispecie penalmente rilevante, né lo sarebbero le condotte distrattive segnalate dalla Corte di merito, costituenti un post factum non punibile a fronte, invece, della disponibilità alla restituzione manifestata dal ricorrente, il quale si sarebbe fondatamente opposto alla diffida amministrativa di restituzione, solo con riguardo quantum computato chiedendo, data la propria situazione economica, solo una rateizzazione del debito. Aggiunge il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato senza tener conto dell’autodenuncia del L. circa l’indebito percepimento censura, infine, con riguardo al trattamento sanzionatorio, l’eccessività della pena, il diniego delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuate comune di cui all’art. 62 c.p., n. 6. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va accolto. Nel caso di specie si verte in tema di appropriazione indebita di somme di denaro erroneamente erogate dall’Ente dal 20 gennaio 2010 al 14/11/2012, nonostante l’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro. Orbene a prescindere dalla contraddittorietà della argomentazione riportata nella premessa della impugnata sentenza, laddove si ritiene la condotta appropriativa del L. , caratterizzata dall’errore sulla persona diversa dal disponente, integrativa certamente della fattispecie di cui all’art. 647 c.p., comma 3, ora depenalizzata D.Lgs. n. 7 del 2016, ex art. 4, salvo poi considerare la condotta medesima penalmente rilevante ai sensi dell’art. 646 c.p., si deve concludere, in linea con quanto sostenuto dalla difesa al punto C del ricorso, che il fatto non presenta caratteri di illiceità penale non ricorrendo l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 646 c.p. e ciò non in ragione della natura fungibile del bene denaro oggetto della condotta appropriativa, che va considerato di altri quando sia affidato per un uso determinato o per una specifica indicazione nell’interesse del proprietario, ma perché ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia appunto il denaro, è necessario che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna, non essendo sufficiente il semplice inadempimento all’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute Sez. 2, n. 15815/2017, Rv. 269462 Sez. 2 n. 50672/2017, Rv. 271385 Sez. 2, n. 24857/2017, Rv. 270092 . Nel caso di specie la disposizione di bonifico bancario da parte dell’Ente erogatore dello stipendio, sia pure erroneamente eseguita, ha determinato il trasferimento del denaro sul conto corrente del L. i cui atti dispositivi non possono considerarsi dimostrativi dell’interversio possessionis trattandosi di bene entrato nel patrimonio dell’accipiens, senza destinazione di scopo e configurandosi, in tal caso, solo un obbligo di restituzione dell’indebito. Infatti a seguito della dazione, la somma di denaro è entrata definitivamente a far parte del patrimonio dell’ accipiens senza alcun vincolo di impiego, con la conseguenza che venuto meno il rapporto, tra le parti matura solo un obbligo di restituzione che, ove non adempiuto, integra esclusivamente un inadempimento di natura civilistica. Tali considerazioni impongono l’annullamento senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.