Gratta e vinci fortunato… ma rubato

Nessuna via d’uscita per moglie e marito, beccati a tentare di incassare un biglietto sottratto a una tabaccheria. Significativa anche la circostanza che l’uomo abbia chiesto di non inserire le proprie generalità nel sistema telematico per il controllo del tagliando.

Effimera e breve la gioia di una coppia di coniugi per il Gratta e vinci fortunato. Con un rapidissimo controllo, difatti, emerge che il biglietto fa parte di un blocco rubato a una tabaccheria. Niente incasso, quindi, per moglie e marito, che però subiscono anche la beffa di una condanna per ricettazione Cassazione, sentenza n. 7302/19, sez. II Penale, depositata il 18 febbraio . Provenienza. Scenario della vicenda è la provincia di Lecce. Lì moglie e marito passano in pochissimo tempo dalla gioia per un ‘Gratta e vinci’ fortunato alla preoccupazione per l’accusa di ricettazione . Per i Giudici – prima in Tribunale e poi in Appello –, però, la condotta tenuta dalla coppia è sufficiente per arrivare a una condanna. Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che l’uomo e la donna abbiano consapevolmente provato a far fruttare due ‘Gratta e vinci’, uno a testa, provento di un furto consumato ai danni di una tabaccheria Inutile si rivela l’obiezione proposta dai coniugi in Cassazione, obiezione centrata sul fatto che è illogico , a loro parere, che un soggetto, consapevole della provenienza illecita del biglietto, lo acquisti da una terza persona invece che in tabaccheria e poi vada ad incassarlo personalmente, così esponendosi alle conseguenze penali . A questa osservazione i magistrati ribattono con un dato di fatto l’uomo si è sì presentato presso una tabaccheria con il biglietto vincente ma ha chiesto di non inserire nel sistema telematico le proprie generalità . Impossibile, in sostanza, mettere in discussione la ricettazione compiuta dai due coniugi.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 gennaio – 18 febbraio 2019, n. 7302 Presidente Prestipino – Relatore Alma Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 19 marzo 2018 la Corte di Appello di Lecce ha confermato la sentenza in data 6 giugno 2012 del Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Casarano, con la quale i coniugi Al. D’Am. e La. Pe. erano stati dichiarati colpevoli del reato di ricettazione di due biglietti della serie Gratta e Vinci uno per ciascuno degli imputati provento di furto consumato ad opera di ignoti nella notte tra il 5 ed il 6 giugno 2007 nella tabaccheria sita in Taviano e di proprietà di Pio Quintino e condannati a pene ritenute di giustizia. 2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore degli imputati, deducendo 2.1. Nullità della sentenza per violazione di legge ex art. 606, lett. c , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 121 e 178, comma 1, cod. proc. pen. Lamenta, innanzitutto, la difesa degli imputati il fatto che il Giudice di prima cura non avrebbe preso in considerazione i rilievi contenuti in memorie ex art. 121 cod. proc. pen. che furono depositate all'esito delle discussione orale e che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato sul punto limitandosi a respingere mediante mero richiamo alla giurisprudenza di legittimità la relativa doglianza così violando il diritto degli imputati ad intervenire nel processo ricostruttivo della vicenda. 2.2. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, lett. c ed e , cod. proc. pen. nonché per violazione dei canoni di valutazione della prova ex art. 192 cod. proc. pen. e per inversione del principio di non colpevolezza. Evidenzia, al riguardo, la difesa degli imputati che i Giudici di merito avrebbero fatto un cattivo uso delle regole per la valutazione degli indizi emergenti dagli atti, sposando apoditticamente gli argomenti della parte civile, limitandosi a rinvenire la prova dei reati in contestazione dalla sola circostanza del possesso da parte degli imputati dei biglietti facenti parte di una serie in dotazione alla tabaccheria gestita dalla persona offesa, il tutto a fronte della asserzione degli imputati di aver regolarmente acquistato i predetti biglietti e della assenza di prova che detti biglietti facessero realmente parte della partita provento di furto azione delittuosa oltretutto mai provata . 2.3. Nullità della sentenza per violazione di legge sostanziale e vizi di motivazione ex art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen. in relazione all'art. 648 cod. pen. Evidenzia la difesa dei ricorrenti che entrambe le sentenze di merito sarebbero silenti in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di ricettazione. Quanto all'elemento oggettivo, ribadisce parte ricorrente che non sarebbe stata raggiunta la prova che i biglietti rinvenuti in possesso degli imputati facevano parte della partita provento di furto atteso che la persona offesa si sarebbe limitata a denunciare lo smarrimento di 32 generiche confezioni di Gratta e Vinci senza indicarne tipologia e numero di serie ed appare ragionevole ritenere, sulla base delle dichiarazioni della stessa persona offesa, che i biglietti rinvenuti in possesso degli imputati fossero stati regolarmente venduti dal Pio avendo egli registrato telematicamente il pacchetto nel quale erano contenuti. Quanto all'elemento soggettivo la sentenza impugnata non ha compiutamente spiegato perché non poteva essere accolta l'alternativa ricostruzione dei fatti così come prospettata dagli imputati, limitandosi a ritenere sussistente un dolo in re ipsa trascurando il fatto che è illogico che un soggetto consapevole della provenienza illecita del biglietto lo acquisti da un terzo invece che in tabaccheria e poi vada ad incassarlo personalmente così esponendosi alle conseguenze penali. 2.4. Nullità della sentenza per violazione dell'art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 648, comma 2, e 62 n. 4, cod. pen. Rileva la difesa dei ricorrenti che attesa la rilevanza criminosa assolutamente marginale delle azioni imputate al D’Am. ed alla Pe. sia sotto il profilo del valore della cosa ricettata che sotto quello delle modalità delle condotte erroneamente non sono state riconosciuti agli stessi le predette circostanze attenuanti. Considerato in diritto 1. Deve, in premessa, essere evidenziato che il ricorso presentato nell'interesse di entrambi gli imputati consiste sostanzialmente in una riproduzione dei motivi di appello fatta eccezione per l'invocato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. non menzionata in tale atto e che i giudici di merito con motivazioni congrue, logicamente corrette e rispondenti ai principi giurisprudenziali che regolano la materia in esame hanno debitamente risposto a tutte le doglianze difensive nel pieno rispetto dei canoni e dei principi di salvaguardia dei diritti di difesa riconosciuti agli imputati. 2. Il primo motivo di ricorso oltre che ad essere inammissibile in quanto del tutto generico è manifestamente infondato. Sotto il primo profilo basta rilevare che nello stesso non è indicato quale sarebbe stato il contenuto delle memorie difensive in esso menzionate e sotto quali punti specifici i Giudici di merito non vi avrebbero dato risposta. In punto di diritto è, poi, assolutamente corretto il richiamo giurisprudenziale operato dalla Corte di merito secondo il quale L'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive in quanto devono essere attentamente considerate dal giudice cui vengono rivolte Sez. 3, n. 5075 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272009 in senso conforme anche Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, Rv. 272739 . Non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge come nullità e risultando, come detto, i Giudici di merito aver preso in considerazione gli aspetti salienti della vicenda, la doglianza difensiva non può che ritenersi manifestamente infondata. 3. Quanto al secondo ed al terzo motivo di ricorso, che appaiono meritevoli di trattazione congiunta, deve essere evidenziato che la sentenza impugnata, unitamente ed a complemento di quella del Tribunale, risulta congruamente e logicamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. I Giudici di merito hanno ampiamente illustrato, con motivazioni non certo apparenti né manifestamente illogiche le ragioni per le quali è da ritenersi che i biglietti Gratta e Vinci in possesso degli imputati e di provenienza furtiva facevano effettivamente parte di quelli sottratti alla persona offesa Pio Quintino, così come hanno adeguatamente evidenziato le inverosimili dichiarazioni degli imputati circa le modalità di acquisto dei biglietti stessi. A ciò si aggiunge l'elemento sottolineato dal Tribunale che, allorquando, il D’Am. si presentò presso l'esercizio di tabaccheria di tale Al. No. con il biglietto vincente chiese di inserire nel sistema telematico non le proprie generalità ma quelle del Ne., elemento questo che si inserisce nel quadro probatorio ben delineato dai Giudici di merito circa l'esistenza sia dell'elemento soggettivo che di quello oggettivo della fattispecie delittuosa in esame. Del resto i Giudici di merito si sono, in tal modo, correttamente conformati al consolidato orientamento di questa Corte Suprema secondo il quale cfr. ex multis, Sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Rv. 248265 , ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede in tal modo, non si richiede all'imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento in tal senso, Sez. U, n. 35535 del 12/7/2007, Rv. 236914 . Per il resto deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. Al Giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è - e resta - giudice della motivazione. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante , su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo per cui sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965 . Manifestamente infondati sono, pertanto, anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso. 4. Manifestamente infondato è, infine, anche il quarto motivo di ricorso. Si è già detto dell'inammissibilità delle questioni legate al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. in quanto la difesa dei ricorrenti non ha documentato di averle dedotte nei precedenti gradi di giudizio. Quanto al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui al comma 2 dell'art. 648 cod. pen. il Tribunale nel negarne il riconoscimento ha sottolineato l'importo delle vincite portate dai biglietti così come in concreto ottenute, di valore economicamente apprezzabile anche agli effetti del danno patrimoniale causato dalla commissione del reato. La Corte di appello nel confermare anche sul punto la decisione del Tribunale ha ribadito, a sua volta, che non si può avere riguardo ai fini della valutazione dell'entità dei fatti di ricettazione al mero costo dei biglietti vincenti oggetto degli illeciti. Deve rilevarsi come trattasi di valutazioni di merito come tali insindacabili in questa sede, caratterizzate da logicità ed adeguatezza motivazionale nonché rispondenti ai principi già enunciati da questa Corte secondo la quale L'espressione fatto di particolare tenuità , di cui al secondo comma dell'art. 648 cod. pen., va riferita non esclusivamente al valore della cosa ricettata, ma a tutti quegli elementi, di natura sia soggettiva che oggettiva, che possono caratterizzare il caso concreto e possono quindi assumere un significato determinante ai fini del riconoscimento o dell'esclusione della circostanza attenuante Sez. 1, n. 33510 del 07/07/2010, Rv. 248119 . 5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Segue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 2.000,00 duemila a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.