Confermato il reato di maltrattamenti in famiglia anche se la persona offesa non è più convivente

È configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in danno della persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando questi e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione.

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 6506/19, depositata l’11 febbraio. La vicenda. La Corte d’Appello escludeva l’aggravante contestata all’imputato e rideterminava la pena inflitta riconoscendolo responsabile di maltrattamenti in famiglia. Avverso la sentenza di secondo grado l’imputato propone ricorso per cassazione sostenendo che la Corte territoriale aveva escluso l’incidenza sulla sussistenza della fattispecie dell’abbandono della casa coniugale da parte della persona offesa con l’interruzione della convivenza. Il reato di maltrattamenti in famiglia. I giudici di merito hanno escluso l’incidenza della cessazione della convivenza tra i due coniugi sulla sussistenza del reato di maltrattamenti poiché fondamentale è l’abitualità della condotta anche dopo la cessazione della convivenza. A tal proposito, la Suprema Corte sottolinea che è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in danno della persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando questi e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione questo perché la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie di reato. Sulla base di questo, gli Ermellini dichiarano l’inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 dicembre 2018 – 11 febbraio 2019, n. 6506 Presidente Petruzzellis – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Ancona, a seguito di gravame interposto dall’imputato Z.D. avverso la sentenza emessa in data 23.5.2016 dal Tribunale di Fermo, in parziale riforma della decisione, esclusa l’aggravante contestata ai capi b e c , ha rideterminato la pena inflitta al predetto riconosciuto responsabile dei reati di cui all’art. 572 cod. pen. capo a , art. 582 capi b e c e art. 570 cod. pen. capo d . 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con atto del difensore, deduce con unico motivo erronea applicazione dell’art. 572 cod. pen La Corte di merito, secondo il ricorrente, ha escluso l’incidenza sulla sussistenza della fattispecie dell’abbandono della casa coniugale da parte della persona offesa a partire dal gennaio 2010 con l’interruzione della convivenza. L’abitualità della condotta di maltrattamento non può essere surrogata dai vincoli nascenti dal coniugio laddove nell’arco di 18 mesi - a decorrere dal 6.1.2010 - detta asserita condotta si sarebbe concretizzata in due episodi quelli sub b e c , peraltro distanti nove mesi l’uno dall’altro. D’altra parte, si invoca l’autonomia dei fatti successivi alla cessazione della convivenza more uxorio con riferimento all’orientamento giurisprudenziale che li colloca nell’ambito del diverso reato di cui all’art. 612 bis cod. pen 3. Con memoria difensiva nell’interesse della persona offesa si evidenzia l’erronea prospettazione giuridica e fattuale del ricorrente in ordine alla pretesa cessazione dell’abitualità della condotta criminosa, proseguita anche dopo la fine della convivenza senza soluzione di continuità. Segnala, inoltre, che secondo l’orientamento di legittimità la fattispecie di maltrattamenti sopravvive alla separazione legale e sussiste fino alla pronunzia del divorzio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 2. I Giudici del merito hanno escluso l’incidenza della cessazione della convivenza tra i coniugi sulla sussistenza del reato di maltrattamenti dando contezza della abitualità della condotta anche successivamente alla cessazione della convivenza v. pg. 9 della sentenza , considerando che la prima querela risulta essere stata sporta nel dicembre del 2010 e, quindi, ben dopo l’allontanamento dalla casa coniugale che non aveva visto cessare le condotte maltrattanti del ricorrente. 3. Il giudizio così espresso è del tutto privo di vizi logici e giuridici in conformità al costante orientamento di legittimità, puntualmente richiamato dalla sentenza impugnata, secondo il quale è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014,C., Rv. 262078 - 01 Sez. 2, n. 39331 del 05/07/2016, Spazzoli ed altro, Rv. 267915 - 01 essendo stato spiegato in tale ultima decisione che la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie e, pertanto, quanto al rapporto tra i coniugi, la separazione legale non esclude il reato quando le condotte persecutorie incidano sui vincoli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, nonché di collaborazione, che permangono integri anche seguito della cessazione della convivenza. E le considerazioni che precedono assorbono ogni questione in ordine alla dedotta qualificazione della condotta ai sensi dell’art. 612 bis cod. pen., in ogni caso correttamente escluso dagli stessi Giudici anche in applicazione della clausola di sussidiarietà espressamente prevista dalla predetta fattispecie. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile T.S. , ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dal giudice di merito, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile T.S. , ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato.