Patteggiamento e prescrizione del reato

La prescrizione del reato nel patteggiamento, dato che non può essere dedotta come valido motivo di impugnazione diversamente da quanto previsto per la sentenza di condanna, quando la sentenza è stata emessa dopo che sia maturato il termine di prescrizione non può essere rilevata d’ufficio in difetto dell’instaurazione di un valido rapporto impugnatorio .

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 5210/19, depositata il 1° febbraio. Il caso. Il GUP applicava la pena concordata dalle parti all’imputato dei reati di cui agli artt. 73 e 81 d.P.R. n. 309/1990, pronunciandosi ai sensi dell’art. 444 c.p.p Avverso tale pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione denunciando la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. in relazione al reato ascrittogli e relativamente al quale era stato maturato il termine di prescrizione in data anteriore alla pronuncia della sentenza. Prescrizione e patteggiamento. È orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il paradigma procedimentale che regola la cognizione del giudice investito dalla richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti, dà priorità alla verifica dell’insussistenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p. da compiersi indipendentemente dalla piattaforma negoziale. in tema di prescrizione, eccepita o meno in sede di accordo delle parti, il Supremo Collegio, con riferimento al caso in esame afferma che il mancato rilievo della prescrizione già maturata non investe la legalità della pena, in quanto essa, determinata sulla base di un accordo che includa il computo anche della frazione di pena disposta per un reato prescritto tra quelli considerati unitariamente ai fini dell’aumento per la continuazione, è comunque conforme alla volontà delle parti ed alla pena prevista dalla legge penale, poiché il vizio di legge non investe la pena ma un diverso presupposto dell’accordo negoziale ratificato dalla sentenza . A ciò segue che la prescrizione del reato nel patteggiamento, quando la sentenza è stata emessa dopo che sia maturato il termine di prescrizione non potendo essere dedotta come valido motivo di impugnazione diversamente da quanto previsto per la sentenza di condanna , non può essere rilevata d’ufficio in difetto dell’instaurazione di un valido rapporto impugnatorio . Da ciò segue l’inammissibilità del ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 dicembre 2018 – 1 febbraio 2019, numero 5210 Presidente Fidelbo – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Benevento, pronunciando ai sensi dell’art. 444 cod. proc. penumero , applicava la pena concordata dalle parti a C.U. , imputato dei reati di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, artt. 81 e 73, ascrittigli ai capi B, C, D, E, F, G, H, nella misura di mesi ventidue di reclusione ed Euro 3.800,00 di multa. 2. Avverso l’anzidetta pronuncia, l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando - con unico motivo - la mancata applicazione dell’art. 129 cod. proc. penumero , in relazione al delitto di cui al capo D, relativamente al quale era maturato il termine di prescrizione in data anteriore alla pronuncia della sentenza. In particolare, ha dedotto a che l’accordo prevedeva la riqualificazione dei delitti ascritti nella fattispecie di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, art. 73, comma 5, che come novellato dal D.L. numero 36 del 2014, art. 1, comma 24-ter, lett. a , convertito dalla L. numero 790 del 2014, è punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da Euro 1.032,00 ad Euro 10.329,00. b che, per effetto di tale riqualificazione, il giudice avrebbe dovuto dichiarare ex art. 129 c.p.p., comma 1 l’estinzione per intervenuta prescrizione del reato di cui al capo D, tenuto conto dell’epoca di consumazione riferita al mese di dicembre del 2009 c che il ricorso deve essere ritenuto ammissibile, vertendo in tema di illegalità della pena, essendosi tenuto conto del delitto prescritto nella determinazione dell’aumento di pena disposto per effetto della continuazione con gli altri delitti d che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata per la necessaria rideterminazione della pena che tenga conto dell’intervenuta prescrizione del delitto di cui al capo D, essendone stata omessa la relativa declaratoria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Si deve premettere che avverso le sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il ricorso per cassazione in base al disposto di cui all’art. 448, comma 2-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, numero 103, art. 1, comma 50, in vigore dal 3 agosto 2017, può essere proposto solo per i motivi ivi elencati, tra cui rientra quello attinente all’illegalità della pena. Pertanto, la riforma della disciplina dei mezzi di impugnazione, introdotta dalla citata L. numero 103 del 2017, impone di valutare se il mancato rilievo della prescrizione già maturata in sede di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen si risolva in un vizio di legittimità che investe la legalità della pena, perché determinata sulla base di un accordo che include il computo della pena per un reato già prescritto. Prima della riforma, l’omesso controllo della insussistenza di cause di proscioglimento a norma dell’art. 129 cod. proc. penumero ed il conseguente erroneo esercizio del relativo potere, integrava, per pacifica acquisizione giurisprudenziale, vizio di legittimità deducibile in cassazione. Era consolidato l’orientamento affermato anche dalle Sezioni Unite Sez. U, numero 5 del 28/05/1997, Lisuzzo, Rv. 207877 e Sez. U, numero 3 del 25/11/1998, dep. 1999, Messina, Rv. 212438 secondo cui il paradigma procedimentale che regola la cognizione del giudice investito da una richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti, assegna priorità alla verifica dell’insussistenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. penumero , da compiersi aliunde, ossia indipendentemente dalla piattaforma negoziale, e precisamente sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero. Soltanto in caso di negativa delibazione il giudice può procedere alla valutazione degli altri profili di accoglibilità dell’accordo relativi alla correttezza della qualificazione giuridica, dell’applicazione e comparazione delle circostanze, ed alla congruità della pena concordata . Non essendo stata modificata la disciplina del patteggiamento si deve ritenere che persiste tuttora l’obbligo di legge che impone al giudice adito di rilevare in via preliminare la sussistenza di eventuali cause di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. penumero , tra cui rientra sicuramente anche la intervenuta prescrizione del reato, ove non rinunciata espressamente dall’imputato ai sensi dell’art. 157 c.p., comma 7. La questione, poi, se la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, o il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possano, di per sé, valere come rinuncia espressa alla prescrizione, è stata già affrontata e decisa dalle Sezioni Unite sentenza numero 18953 del 2016 , che ha affermato il principio della necessità della forma espressa per la validità della rinuncia alla prescrizione, escludendo la possibilità di ravvisare nella richiesta o nel consenso espresso dall’imputato all’applicazione della pena una forma legale di rinuncia espressa alla prescrizione maturata. 1.2. Nonostante l’immutato quadro normativo di riferimento, la limitazione del ricorso per cassazione ai soli casi indicati nell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis ha profondamente inciso sulla materia del controllo dell’osservanza delle condizioni di legalità della sentenza di patteggiamento, attribuendo una valenza preponderante alla natura negoziale dell’istituto, basato sulla manifestazione di volontà dell’imputato. Infatti, la sentenza di patteggiamento secondo la disposizione normativa citata, che si pone come norma speciale rispetto alla disciplina dei casi di ricorso prevista dall’art. 606 cod. proc. penumero , può essere ora impugnata con il ricorso per cassazione solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza . Secondo il consolidato orientamento di legittimità, l’illegalità della pena ricorre solo quando la pena non è conforme a quella stabilita in astratto dalla norma penale ad es. superiore al massimo o inferiore al minimo edittale pena relativa ad un reato depenalizzato, per abolitio criminis o per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della norma penale, anche se relativa al solo trattamento sanzionatorio , mentre nel caso di specie la pena è pur sempre conforme alla legge perché il vizio di legge investe non direttamente la pena ma un accertamento preliminare, quello del proscioglimento ex art. 129 c.p.p. che andava disposto per uno dei reati patteggiati, perché estinto per prescrizione. La pena applicata per il reato prescritto è in sé legale, mentre illegale è l’effetto dell’errato preliminare accertamento del presupposto sostanziale che attiene all’insussistenza di cause di proscioglimento, la cui errata o omessa valutazione si ripercuote sulla determinazione della pena, ma prima ancora sulla ratifica dell’accordo negoziale sotteso al patteggiamento. Si è, pertanto, in presenza di un vizio di violazione di legge che non investe direttamente la legalità della pena e che, conseguentemente, non può integrare un motivo ammissibile di ricorso per cassazione perché non riconducibile ai motivi tassativamente previsti dall’art. 448 c.p.p., comma 2 bis. 1.3. Se il legislatore ha recentemente ridotto e delimitato i casi di ammissibilità del ricorso avverso la sentenza di patteggiamento, sia pure per prevalenti intenti deflattivi, la nozione di illegalità della pena non può risolversi nel riflesso del vizio di violazione di legge tout court, ma deve essere intesa come limitata ai soli casi di violazione delle norme che disciplinano la pena e più in generale il trattamento sanzionatorio, oltre che ai casi di radicale assenza della norma incriminatrice, rimanendo fuori da tale vizio tutte le altre violazioni di legge che afferiscono differenti presupposti di legalità della sentenza impugnata. Nella giurisprudenza formatasi in tema di rilevabilità di ufficio in sede di impugnazione di detto peculiare vizio di legge, la illegalità della pena è stata rilevata nei casi in cui la pena era stata determinata contra legem, ad esempio per avere applicato una pena in misura inferiore al minimo assoluto previsto dall’art. 23 cod. penumero Sez. 5, numero 46790 del 25//10/2005, Grifantini Sez. 5, numero 40840 del 20/09/2004, Terzetti o indicato come pena-base una pena inferiore a quella prevista come minimo edittale per il reato unito con il vincolo della continuazione Sez. 5, numero 1411 del 22/09/2006, Braidich Sez. 3, numero 34302 del 14/06/2007, Catuogno ovvero individuato la pena applicata, in esito al cumulo ex art. 81 cpv. cod. penumero , con un valore inferiore al minimo fissato per il reato più grave tra quelli in continuazione Sez. 6, numero 44336 del 05/10/2004, Mastrolorenzi . Anche recentemente da questa stessa Sezione della Corte, con riguardo ad un ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza di patteggiamento in tema di recidiva, è stato ribadito il principio secondo cui per pena illegale deve intendersi solo quella che costituisca il risultato finale delle operazioni intermedie con cui viene determinata e, in sé e rispetto ai passaggi intermedi ritenuti dalla decisione contingente, fuoriesca dall’ ambito dello schema legale Sez.6, numero 25273 del 23/05/2018, Zidane, Rv. 273392 . Una diversa e più estensiva interpretazione della nozione di illegalità della pena non può essere accolta perché in contrasto con il carattere tassativo della indicazione normativa dei motivi ammissibili del ricorso per cassazione introdotta dalla riforma con specifico riguardo alla sentenza di patteggiamento, atteso che, diversamente opinando, ogni vizio di legge sostanziale e processuale si tradurrebbe sempre in una illegalità della comminatoria finale della pena, quale effetto conclusivo del procedimento penale in senso lato viziato, con la conseguente assimilazione della illegalità della pena al vizio di legge come disciplinato dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e c . 1.4. Nessun contrasto si ritiene poi di ravvisare tra la nuova disciplina ed il principio costituzionale secondo cui avverso le sentenze è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge ex art. 111 Cost., trattandosi di sentenze di patteggiamento in cui prevale come elemento preponderante l’accordo delle parti e la conseguente adesione ai limiti legali entro cui detto provvedimento giudiziale può essere sottoposto ad impugnazione. Inoltre, la nuova normativa non esclude il ricorso per cassazione ma ne limita l’esercizio solo ai casi di violazione di legge specificandone l’ambito di operatività, introducendo dei limiti che appaiono compatibili con il controllo di legalità delle sentenze adeguato alla peculiarità di un provvedimento decisorio a base negoziale che implica una rinuncia alle ordinarie forme di impugnazione previste dalla legge, essendo la sentenza di patteggiamento inappellabile e ricorribile per cassazione solo nei casi tassativamente indicati in cui il vizio di legge incida sui presupposti formali e sostanziali del rito prescelto con riguardo alla manifestazione della volontà dell’imputato, alla conformità della sentenza alla richiesta, alla qualificazione giuridica del fatto e - per l’appunto - all’illegalità della pena o della misura di sicurezza. Si deve poi osservare che, attesa l’inammissibilità ex art. 448 c.p.p., 2-bis del motivo di ricorso volto a dichiarare la prescrizione del reato erroneamente non rilevata nel giudizio, la prescrizione maturata prima della sentenza impugnata non può essere evidentemente neppure rilevata di ufficio ex art. 129 c.p.p. in sede di legittimità. Infatti, possono essere rilevati di ufficio solo i casi di pena illegale, come accade per la pena per reato depenalizzato, o per la pena dichiarata incostituzionale, ma non anche l’omessa declaratoria della prescrizione del reato che non impedisce l’irrevocabilità della sentenza, e neppure può determinare una revocabilità del giudicato in sede esecutiva, come invece accade nel caso di abolitio criminis o di pena dichiarata incostituzionale. È stato già rilevato in riferimento al tema dell’inammissibilità come l’abrogazione di una norma incriminatrice sia fenomeno diverso rispetto alla prescrizione del reato, tanto che diversamente da quanto affermato per la prescrizione, l’inammissibilità del ricorso per cassazione non impedisce la rilevabilità d’ufficio dell’intervenuta abolitio criminis tranne che nel caso di tardività del ricorso vedi Sez. 5, numero 39764 del 29/05/2017, Rhafor, Rv. 271850 . Analogamente è stato affermato, sempre con riguardo alla illegalità della pena che nella sentenza di patteggiamento l’illegalità sopraggiunta della pena concordata sulla base dei parametri edittali dettati per le cosiddette droghe leggere dal D.P.R. numero 309 del 1990, art. 73 come modificato dalla L. numero 49 del 2006, in vigore al momento del fatto ma dichiarato successivamente incostituzionale con la sentenza numero 32 del 2014 - determina la nullità dell’accordo e la Corte di Cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza basata su tale accordo Sez. U, numero 33040 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264206 . Si tratta quindi di ipotesi radicalmente diverse da quelle della pena irrogata per un reato prescritto, in cui l’estinzione del reato dipende dal solo decorso del tempo senza alcuna incidenza sulla permanenza legale dei suoi presupposti formali e sostanziali che vengono, invece, meno nei casi di abolitio criminis o di modifica legislativa della pena, o per effetto di pronunce di incostituzionalità. 2. In conclusione, questo collegio ritiene che ove la prescrizione non sia stata eccepita in sede di accordo delle parti e neppure sia stata rilevata di ufficio, la pena concordata non può essere considerata pena illegale perché conforme all’accordo delle parti, rispondente alla volontà dell’imputato ed alla pena prevista dalla legge in relazione alla corretta qualificazione giuridica del fatto. In presenza di tali condizioni è la legge stessa che non consente più per effetto della normativa entrata in vigore dal 3 agosto 2017 la rilevabilità della prescrizione in sede di impugnazione della sentenza di patteggiamento. Si ritiene, pertanto, di affermare il principio secondo cui il mancato rilievo della prescrizione già maturata non investe la legalità della pena, perché la pena, determinata sulla base di un accordo che includa il computo anche della frazione di pena disposta per un reato prescritto tra quelli considerati unitariamente ai fini dell’aumento per la continuazione, è comunque conforme alla volontà delle parti ed alla pena prevista dalla legge penale, poiché il vizio di legge non investe la pena ma un diverso presupposto dell’accordo negoziale ratificato dalla sentenza. A tale affermazione di principio consegue che la prescrizione del reato nel patteggiamento, non potendo essere dedotta come motivo valido di impugnazione diversamente da quanto previsto per la sentenza di condanna, quandanche la sentenza fosse stata emessa dopo che sia maturato il termine di prescrizione, neppure può essere rilevata di ufficio in difetto dell’instaurazione di un valido rapporto impugnatorio. 3. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro. P.Q.M. Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.