Quando acquistare farmaci dopanti per migliorare le prestazioni sportive integra la ricettazione

Uno sportivo intenzionato a migliorare la propria attività fisica, acquista farmaci dopanti illegali. Gli Ermellini confermano la condanna dell'acquirente medesimo per ricettazione poiché il profitto, ossia l’arricchimento patrimoniale, è configurabile anche attraverso il conseguimento di un’utilità indiretta, moralmente negativa o priva di significato .

Sul tema gli Ermellini con la sentenza n. 3661/19, depositata il 25 gennaio. La vicenda. Un atleta, per migliorare le proprie prestazioni sportive, assumeva dei farmaci dopanti che, seppur ottenuti all’interno di una farmacia, provenivano da un commercio illegale. Ad incastrare l’acquirente sono state le mail che quest’ultimo scambiava con il rivenditore dal contenuto delle dichiarazioni online emergeva, infatti, la consapevolezza dell’imputato circa l’illegittimità della provenienza dei farmaci dopanti. Di conseguenza, l’atleta veniva condannato, sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello, per il reato di cui all’art. 648 c.p. Ricettazione . L’imputato ricorre in Cassazione deducendo l’errata applicazione delle norme in materia di ricettazione poiché, nel caso di specie, non vi era la presenza di un concreto profitto di natura patrimoniale. Il profitto patrimoniale indiretto. La S.C. ricorda che, nonostante i vari orientamenti giurisprudenziali, è oramai consolidato che il profitto del reato di ricettazione è configurabile ogniqualvolta il soggetto agente consegua una qualunque utilità, anche moralmente per la generalità dei consociati negativa o priva di significato . Ciò che rileva è dunque la presenza di un arricchimento patrimoniale che, seppur indiretto, sia idoneo a configurare il profitto illecito della ricettazione. Nella specie, la condotta dell’imputato è stata correttamente ricondotta all’art. 648 c.p, poiché, secondo gli Ermellini, è qualificabile come profitto - ossia arricchimento patrimoniale - anche il perseguimento di un’utilità sportiva, seppur non professionistica. Per tali ragioni la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 ottobre 2018 – 25 gennaio 2019, n. 3661 Presidente Crescienzo – Relatore Monaco Ritenuto in fatto La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 30/11/2017, in parziale riforma riduceva la pena e confermava nel resto la sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino il 9/9/2016, nei confronti di Z.I. per il reato di cui all’art. 648 cod. pen. 1. Z.I. veniva rinviato a giudizio per i reati di cui agli artt. 481 e 648 cod. pen. per avere ricevuto farmaci anabolizzanti provento del delitto di cui alla L. 376 del 2000, art. 9, comma 7. All’esito del giudizio di primo grado l’imputato veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 100 di multa. Avverso la sentenza proponeva appello la difesa e la Corte territoriale, ridotta la pena a mesi sei di reclusione ed Euro 100 di multa, confermava nel resto. 2. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce i seguenti motivi. 2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche nella parte in cui viene ravvisato il reato di ricettazione, pur in assenza di un profitto di natura patrimoniale . La difesa, segnalato che sul punto specifico esisterebbe un contrasto di giurisprudenza tra le sentenze della Corte di cassazione, Sez. 2, n. 843 e n. 28410 del 2013 e Sez. 2 n. 15680 del 2016, evidenzia come nel caso di specie non possa ritenersi che sussista il profitto richiesto nella fattispecie di cui all’art. 648 cod. pen In specifico il ricorrente rileva che l’imputato si era limitata ad acquistare i farmaci dopanti al solo fine di aumentare per motivi edonistici la propria massa muscolare. Circostanza questa che, esclusa la sussistenza di un fine di profitto, escluderebbe la responsabilità penale. 2.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche nella parte in cui il giudice del gravame ha condannato l’imputato per il reato di ricettazione in assenza del reato presupposto . La difesa rileva che all’autore del reato presupposto, il dott. S. , è stata applicata la pena a sua richiesta per il reato di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, cioè per avere commercializzato i farmaci dopanti attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, delle farmacie ospedaliere, dai dispensari etc. Tale circostanza, considerato che l’imputato aveva sempre acquistato i farmaci presso la farmacia del dotto S. , determinerebbe il venir meno del reato presupposto e, quindi, la ricettazione. 2.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche nella parte in cui il giudice del gravame non ha derubricato il fatto reato nell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 712 c.p Acquisto di cose di sospetta provenienza e conseguente dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione . La difesa evidenzia che la Corte territoriale, considerato che l’imputato aveva sempre acquistato i farmaci presso la farmacia, avrebbe dovuto concludere che non avesse la consapevolezza che gli stessi fossero di provenienza illecita. 2.4. Carenza/illogicità/contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche . La motivazione della Corte territoriale sarebbe priva di motivazione quanto alle circostanze attenuanti generiche. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La dedotta segnalazione circa la sussistenza di un conflitto di giurisprudenza appare, con riferimento al caso di specie, suggestiva. I due orientamenti, che pure condividono che il profitto possa essere costituito anche da una utilità morale e/o spirituale, in effetti si discostano solo nella parte in cui ritengono, l’uno, che il confine della utilità non possa essere esteso a dismisura e comprendere anche utilità in qualche modo negative, l’altro, che invece individua anche nell’utilità c.d. negativa, un arricchimento patrimoniale qualificabile come profitto. Entrambe gli orientamenti, d’altro canto, si riferiscono allo specifico caso, analogo a quello in analisi, dei farmaci dopanti ovvero anabolizzanti. La questione, invero, proprio con la seconda sentenza, può ritenersi risolta ed il contrasto definitivamente superato. Come indicato nella pronuncia 15689/2016, infatti, il profitto del reato di ricettazione è configurabile ogniqualvolta il soggetto agente consegua una qualche utilità, anche moralmente per la generalità dei consociati negativa o priva di significato. In questi casi, comunque vi è un arricchimento patrimoniale, anche indiretto, idoneo a configurare il profitto illecito della ricettazione. Quello che in questa sede rileva, però, è che la condotta sarebbe comunque qualificabile come ricettazione secondo entrambi gli orientamenti e, quindi, anche per il primo, ormai superato, per il quale doveva essere comunque qualificato come profitto il perseguimento di una utilità sportiva, pure se non professionistica. Nel caso di specie, pertanto, il contrasto di giurisprudenza indicato non ha alcun rilievo ed il riferimento allo stesso risulta addirittura inconferente. Al di là dell’articolata analisi contenuta nella sentenza impugnata, che riportando ampi stralci della sentenza 15680/2016 ha ribadito di condividerne le conclusioni, infatti, in motivazione è valorizzata la decisiva circostanza che lo Z. atleta agonista se pur verosimilmente non a livello professionale riceveva, come risulta dalle mail riportate in motivazione, le sostanze dopanti quando si stava preparando per delle gare domenica ho una gara . . Circostanza questa, cioè che il ricorrente assumeva i farmaci per migliorare le proprie prestazioni sportive, che pacificamente configura per entrambi gli orientamenti citati dalla difesa, come visto, il profitto richiesto dalla norma. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La circostanza che il dott. S. fornisse farmaci vietati anche attraverso la farmacia appare sostanzialmente irrilevante. Quanto lo Z. acquistava era comunque di provenienza illecita poiché anche la commercializzazione attraverso farmacie configura una specifica ipotesi delittuosa, prevista dalla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1. Il problema del concorso tra il reato di ricettazione e le ipotesi di reato previste dalla L. n. 376 del 2000, art. 9, d’altro canto, è stato in parte risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno statuito che il reato di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9, comma 7 può concorrere con il reato di ricettazione art. 648 c.p. , in considerazione della diversità strutturale delle due fattispecie - essendo il reato previsto dalla legge speciale integrabile anche con condotte acquisitive non ricollegabili ad un delitto - e della non omogeneità del bene giuridico protetto, poiché la ricettazione è posta a tutela di un interesse di natura patrimoniale, mentre il reato di commercio abusivo di sostanze dopanti è finalizzato alla tutela della salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive Sez. U, Sentenza n. 3087 del 29/11/2005, dep. 2006, Rv. 232558 Sez. 2, n. 12744 del 11/03/2010, Rv. 246672 . La diversa questione relativa al concorso fra la ricettazione ed il reato di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1, non è stata tenuta in quella sentenza in considerazione. Qualora tale problema si dovesse porre, però -cosa che nel caso di specie non rileva perché il dott. S. è stato comunque condannato per il reato di cui al comma 7- al contrario di quanto ritiene il ricorrente, la questione avrebbe un qualche rilievo solo qualora all’imputato fossero contestate entrambe le ipotesi di reato. In tale caso, infatti, in virtù della espressa formulazione della norma sarebbe il reato di uso di sostanze dopanti ad essere assorbito dal reato di ricettazione e non viceversa poiché la norma in parola prevede che Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste all’art. 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze . L’inciso salvo che il fatto costituisca più grave reato comporta l’assorbimento del reato speciale in quello di ricettazione, nel caso di concorso apparente di norme incriminatrici Sez. 2, n. 843 del 19/12/2012, dep. 2013, Bicchietti e altri, Rv. 254188 . 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Le sentenze di merito evidenziano, valorizzando il prezzo pagato dal ricorrente per ottenere le ricette ed il contenuto delle mai, la piena consapevolezza del ricorrente circa l’illegittimità della provenienza dei farmaci dopanti che acquistava. In ogni caso, infatti, i farmaci avevano provenienza illecita ed il ricorrente li riceveva nella piena consapevolezza di tale provenienza. Come evidenziato nella motivazione Z. otteneva le ricette a fronte di un pagamento di 80 Euro l’una e queste, a volte, erano addirittura intestate al nonno, a conferma della piena consapevolezza del ricorrente della illegittimità di tale compravendita e, quindi, della sussistenza dell’elemento psicologico richiesto dalla norma, incompatibile con la diversa ipotesi di cui all’art. 712 cod. pen. 4. Il quarto motivo non è consentito ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3 in quanto la questione circa il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non era stata ritualmente dedotta con i motivi di appello. Il motivo di impugnazione relativo al trattamento sanzionatorio, formulato in termini del tutto generici, infatti, non conteneva alcuna indicazione alle circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen. La doglianza, pertanto, dedotta per la prima volta in questa sede in violazione di quanto stabilito dall’art. 606 c.p.p., comma 3, non è consentita. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.