Fuga e omesso soccorso stradale: per la condanna è sufficiente il dolo eventuale

Risponde dei reati di fuga e omissione di soccorso stradale, anche per dolo eventuale, chi - nel cagionare un sinistro - ometta di arrestare la marcia e prestare assistenza agli altri conducenti rimasti infortunati, a prescindere dell’effettivo stato di bisogno e/o dell’intervento di terzi.

Lo ha stabilito la quarta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3452, depositata in cancelleria il 24 gennaio 2019. Alla fuga dopo il sinistro. Nel caso di specie, un uomo è stato sottoposto a procedimento penale, inter alia, in relazione ai reati di cui all’art. 189, commi 6 e 7, del Codice della Strada d.lgs. n. 285/1992 . Secondo l’accusa, a seguito di un sinistro stradale, l’imputato avrebbe omesso di fermarsi e - di più - avrebbe innestato la marcia per darsi alla fuga, finendo per investire il conducente di altro veicolo. In esito al giudizio di primo grado, il Tribunale ha accertato la responsabilità dell’imputato per i reati richiamati. E tanto ha confermato la Corte territoriale, adita in sede d’appello. Alla difesa non è rimasto che rivolgersi, in un’ultima istanza, alla Corte di legittimità, alla quale è stato chiesto l’annullamento integrale della sentenza del gravame, siccome frutto di una erronea valutazione – di fatto, nel merito” – della vicenda e, comunque, della piattaforma probatoria emersa in corso di giudizio. Segnatamente, nell’opinione del ricorrente, i giudici male avrebbero fatto a ritenere sussistente, nella vicenda in esame, l’elemento soggettivo i.e. il dolo di ambedue i reati contestati. Secondo l’imputato da un lato, l’omesso arresto art. 189, comma 6, cit. andava ricondotto alle minacce/intimidazioni che la persona offesa, in occasione del sinistro, avrebbe rivolto all’imputato, provocandone uno stato incontrollato di paura e, quindi, la fuga dall’altro, il medesimo stato di paura avrebbe del tutto oscurato” la mente dell’imputato allorché, mentre si dava alla fuga, investiva la controparte stradale art. 189. comma 7, cit. . Ebbene, nessuna delle censure di merito paventate dalla difesa hanno trovato accoglimento. La sentenza in epigrafe merita attenzione per le considerazioni svolte dagli Ermellini sul perimetro applicativo dei due reati, in particolare sotto il profilo dell’elemento subiettivo che deve necessariamente sorreggere le due condotte criminose ai fini dell’integrazione. Il reato di fuga. Ai sensi dell’art. 189, comma 1, cit. è previsto che l’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare l'assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona. Il comma 6, all’uopo sanziona - in via penale reclusione e amministrativa sospensione della patente di guida - chiunque - in caso di incidente con danno alle persone - non ottemperi all'obbligo di fermarsi cd. reato di fuga” . Come ricorda la Corte, si tratta di un reato omissivo di pericolo. L’elemento materiale consiste nell’allontanarsi dell’agente dal luogo dell’investimento così da impedire o comunque, ostacolare l’accertamento della propria identità personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell’incidente”. A tal proposito, la giurisprudenza ha, in più occasioni, osservato che il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto. Invero, se si ritenesse che anche la fermata molto breve – del tutto inidonea a consentire l’identificazione del conducente / del veicolo ovvero comunque la ricostruzione della dinamica del sinistro – debba assumersi utile ad andare indenne da sanzione, si assisterebbe ad un patente svuotamento” di ratio e utilità della norma incriminatrice. Sotto il versante dell’elemento soggettivo - si sottolinea in sentenza - il dolo richiesto dalla norma deve investire l’obbligo di arrestarsi in relazione all’evento incidente”, laddove concretamente idoneo a produrre effetti lesivi, anche alla luce delle circostanze fattuali. Non è richiesto il dolo intenzionale, ed anzi si riconosce l’integrazione del reato anche al ricorrere del dolo eventuale, beninteso laddove le circostanze fattuali del caso, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone. Omesso soccorso stradale. Il richiamato art. 189, al comma 7, prevede poi la sanzione – sempre in via penale reclusione e amministrativa sospensione della patente di guida – di chiunque, in occasione del sinistro, non ottemperi all'obbligo di prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite. Anche in questo caso – spiega la Corte di Cassazione – è ammesso il dolo eventuale. Segnatamente, si osserva che siffatta declinazione del dolo è ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperino all’obbligo di prestare assistenza ai feriti”. Tanto accade anche quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio. In ultimo, va sottolineata l’irrilevanza, ai fini dell’integrazione del reato, i della sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto della persona infortunata e ii dell’intervento, sul luogo del sinistro, di terzi. Insomma per la punibilità è sufficiente la semplice omessa assistenza, dovere che grava su chi si trova coinvolto nel sinistro. La conferma della condanna di merito. Sul crinale delle considerazioni che precedono i giudici di legittimità - peraltro a fronte di una doppia condanna conforme - col dichiarare il ricorso manifestamente infondato”, hanno pienamente manlevato da critiche l’accertamento svolto dai giudici del merito, condannando il ricorrente, oltre che al pagamento delle spese di lite, a versare la somma di duemila euro alla cassa delle ammende.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 – 24 gennaio 2019, n. 3452 Presidente Montagni – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente P.L. , con sentenza del 14/5/2018, ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, emessa in data 15/5/2015, appellata dall’imputato che lo aveva ritenuto responsabile dei reati di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7 commesso il omissis in omissis e ritenuta la continuazione, non concessegli le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per anni uno e mesi sei. Già il giudice di primo grado, invece, stante l’intervenuta rimessione della querela, aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di lesioni colpose originariamente contestato al P. per avere cagionato, alla guida del furgone di proprietà Daily tg. , lesioni personali gravi a I.M. , avendo, a seguito di sinistro stradale, innestato la marcia, incastrando, in tal modo, il corpo di I.M. tra il furgone stesso e il furgone dal medesimo condotto. Commesso il tutto in omissis , il omissis . 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, P.L. , deducendo, l’unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Il ricorrente deduce vizio motivazionale relativamente alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del dolo necessario per la sussistenza dei reati contestati. Ci si duole che la corte di appello abbia confermato integralmente la sentenza di primo grado, fondando la ricostruzione dei fatti principalmente sulla deposizione resa dal teste W. , del quale sarebbe stata evidente la posizione di non terzietà, sia perché dipendente della persona offesa che perché direttamente coinvolto nella violenta lite avvenuta in occasione dell’incidente. Nessun rilievo sarebbe stato attribuito alla circostanza che il P. , a seguito dell’incidente, che causava unicamente la rottura dello specchietto retrovisore, si sia fermato immediatamente, constatando che nessuno si era ferito, e che era stato costretto ad allontanarsi per sfuggire alla violenza della persona offesa e del figlio e del dipendente dello stesso. Pertanto, il P. non si avvedeva di avere causato lesioni da schiacciamento a I.M. ed apprendeva, solo successivamente al sinistro, al momento della notizia di reato, di avere causato involontariamente delle lesioni nel tentativo di fuggire via. La decisione impugnata si sarebbe appiattita sulla sentenza del primo giudice senza chiarire alcun dubbio, omettendo la valutazione di elementi fondamentali quali 1. la situazione di pericolo che si era creata per l’incolumità dell’imputato a causa dell’incidente 2. la mancata conferma da parte dei testi che il P. si fosse accorto di aver causato lesioni ad I. 3. la mancata affermazione da parte della p.o. della consapevolezza del P. di avergli causato lesioni 4. l’ammissione da parte dell’imputato del verificarsi dell’incidente senza avere contezza che nell’allontanarsi causava lesioni alla persona offesa. L’affermazione della Corte distrettuale della consapevolezza delle lesioni patite dall’I. sarebbe illogica e contraddittoria, e si scontrerebbe con dati reali. Ritiene il ricorrente che anche se effettivamente l’I. fosse rimasto schiacciato tra i mezzi, sarebbe impossibile che l’imputato se ne potesse rendere conto sia perché era alla guida di un mezzo pesante sia perché l’I. continuava a urlargli contro proferendo minacce. E in ogni caso la consapevolezza dell’imputato non sarebbe emersa in alcun modo dall’istruttoria. La sentenza impugnata avrebbe operato un mero travisamento dei fatti ritenendo implicitamente la necessaria percezione dei fatti da parte del P. . Pertanto l’imputato avrebbe dovuto essere assolto per non aver commesso il fatto. Non sarebbe credibile la versione della persona offesa, confermata dal figlio e dal dipendente, sul tentativo di fermare il P. per ottenere la firma della constatazione amichevole quando gli stessi ben avrebbero avuto modo di annotare la targa nel momento in cui il P. si era fermato. Mentre logica e intuibile sarebbe la versione resa dall’imputato sulla circostanza della mancata denuncia dei fatti avendo egli dei precedenti penali e soprattutto non disponendo di testimoni dell’accaduto. Chiede, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il proposto ricorso appare manifestamente infondato, per i motivi che appresso meglio saranno specificati, e pertanto va dichiarato inammissibile. 2. Come più volte ricordato da questa Corte di legittimità vedasi tra le altre Sez. 4, n. 9128/2012 , il codice della strada all’art. 189 descrive in maniera dettagliata il comportamento che l’utente della strada deve tenere in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, stabilendo un crescendo di obblighi in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare. Così è previsto, per quanto qui interessa, l’obbligo di fermarsi in ogni caso, cui si aggiunge, allorché vi siano persone ferite, quello di prestare loro assistenza. L’inottemperanza all’obbligo di fermarsi è punita con la sanzione amministrativa in caso di incidente con danno alle sole cose comma 5 e con quella penale della reclusione fino a quattro mesi in caso di incidente con danno alle persone comma 5 . In tale seconda ipotesi, se il conducente si è dato alla fuga, la norma contempla la possibilità dell’arresto in flagranza nonché la sanzione accessoria della sospensione della patente la sanzione penale è più grave reclusione fino ad un anno e multa per chi non ottempera all’obbligo di prestare assistenza. Si tratta di comportamenti diversi, lesivi di beni giuridici diversi ed attinenti, nel caso dell’inosservanza dell’obbligo di fermarsi, alla necessità di accertare le modalità dell’incidente e di identificare coloro che rimangono coinvolti in incidenti stradali e nel caso di omissione di soccorso, a principi di comune solidarietà. Quanto al reato di cui all’art. 189, comma 6, trattasi di un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste, come si è già osservato, nell’allontanarsi dell’agente dal luogo dell’investimento così da impedire o comunque, ostacolare l’accertamento della propria identità personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell’incidente. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che integra il reato di cui all’art. 189 C.d.S., comma 1 e 6 cosiddetto reato di fuga , la condotta di colui che - in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea, senza consentire la propria identificazione, né quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire né l’identificazione del conducente, né quella del veicolo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica così Sez. 4 n. 20235 del 25/1/2001 Rv. 234581 . Ai fini della configurabilità del reato il dolo richiesto deve investire, innanzitutto ed essenzialmente, l’omesso obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, e va apprezzato come eventualmente sussistente avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone così questa Sez. 4, n. 863 del 21/11/2007 dep. il 2008 . Ed il dolo richiesto per la punibilità può essere integrato anche dal solo dolo eventuale, non essendo necessario il dolo intenzionale Sez. 4, n. 3568 del 10/12/2009 dep. il 2010 , da apprezzarsi per verificarne la sussistenza - avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso, laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone. Quanto poi all’obbligo di prestare assistenza art. 189 C.d.S., comma 7 , anche per tale reato è pacifico che l’elemento soggettivo del detto reato ben può essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioè dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone. Ancora di recente, questa Corte di legittimità, ribadito che l’elemento soggettivo del reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente art. 189 C.d.S., comma 7 , può essere integrato anche dal dolo eventuale, ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti Sez. 4, n. 33772 del 15/6/2017, Dentice, Rv. 271046 nella cui motivazione, la Corte ha osservato che il dolo eventuale, pur configurandosi normalmente in relazione all’elemento volitivo, può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio . La sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato che è integrato dal semplice fatto che in caso d’incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all’obbligo di prestare assistenza. E costituisce ius receptum che tale condotta, va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008, Rv. 238973 . 3. Orbene, nel caso che ci occupa il ricorrente, in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità. I giudici del merito, con una doppia conforme affermazione di responsabilità, con motivazioni prive di aporie logiche e conformi ai principi di diritto sopra ricordati, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine ai reati di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7 ed alla loro ascrivibilità al P. . Già il GM di Busto Arsizio aveva rilevato come pacificamente l’imputato non avesse ottemperato all’obbligo di fermarsi, venendo rintracciato solo grazie al fatto che la targa fosse stata rilevata da terzi, e che il P. si era perfettamente reso conto di avere concorso a provocare un sinistro stradale, come emerge a suo stesso racconto. E che già tale consapevolezza, pacificamente esistente, fece scattare in capo all’imputato l’obbligo, non adempiuto, di fermarsi e di fornire le proprie generalità, nonché di attendere le forze dell’ordine per contribuire alla ricostruzione dei fatti. Sempre il giudice di primo grado aveva poi posto in evidenza che il fatto di essersi allontanato prima di tale verifica ha comportato l’assunzione del rischio da parte di P. che qualcuno avesse riportato lesioni e che quindi fosse scattato l’obbligo di prestare soccorso ai feriti. E concluso che la circostanza, peraltro riferita dal solo P. , dell’atteggiamento minaccioso dei passeggeri di I. non è comunque circostanza tale da scriminare il suo comportamento, in quanto, se effettivamente P. si fosse sentito in pericolo ben sarebbe potuto andare a segnalare il sinistro alle forze dell’ordine, ovvero chiamarle sul luogo del sinistro anche a sua tutela. Ed invece P. non aveva tenuto nessuno di tali comportamenti, ma si era limitato a fuggire. Con tali argomentazioni, in concreto, i motivi di gravame nel merito non si erano confrontati. E la Corte milanese ha evidenziato l’inverosimiglianza della ricostruzione operata dall’imputato e della circostanza che lo stesso non si fosse avveduto di avere investito l’I. . Secondo la coerente ricostruzione dei fatti del provvedimento impugnato, non appare verosimile, tenuto conto delle modalità di svolgimento dell’incidente, avvenuto mentre la persona offesa cercava di fermare l’odierno imputato, che lo stesso non si sia avveduto di averla investita, allorquando questi si trovava tra i due furgoni, come sostenuto dalla difesa. 4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.