È soggetta a confisca anche la casa assegnata all’ex coniuge

In tema di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di beni immobili per omessa dichiarazione IRES e IVA, anche nell’ipotesi di assegnazione della casa coniugale all’ex coniuge in sede di accordi per la separazione, non viene meno il profilo della disponibilità del bene in capo al conferente.

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 2862/19, depositata il 22 gennaio. La vicenda. Il Tribunale di Milano, in funzione del giudice di riesame, confermava il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, emesso dal GIP e avente ad oggetto alcuni beni mobili e immobili nella disponibilità dell’indagato per aver omesso di presentare le dichiarazioni annuali dei redditi per alcuni anni. L’indagato propone ricorso per cassazione avverso tale decreto, denunciando, tra i vari motivi del gravame, il fatto che la misura cautelare era stata eseguita su un immobile che, in sede di accordi per la separazione coniugale, era stato assegnato alla moglie separata per essere destinato all’abitazione di questa e dei figli. Su quali beni è ammessa la confisca? In particolare per l’indagato concorrente l’immobile assegnato alla moglie in fase di separazione coniugale per essere destinato all’abitazione principale di ella e dei suoi figli non poteva essere soggetto alla confisca in quanto non era più nella propria disponibilità. Al riguardo la Suprema Corte ricorda che, anche nell’ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge in sede di accordi per la separazione tra coniugi , non viene meno il profilo della disponibilità del bene in capo al conferente, anzi tale fattore costituisce il necessario antecedente logico della possibilità di fare rientrare la assegnazione del bene nell’ambito del regolamento patrimoniale dei rapporti intervenuti fra i due coniugi . Gli accordi i sede di separazione, pertanto, non fanno venir meno la disponibilità dell’immobile in capo al conferente. Sulla base di quanto ribadito, gli Ermellini rigettano il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 ottobre 2018 – 22 gennaio 2019, n. 2862 Presidente Sarno – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, in tal senso rigettando la richiesta di riesame formulata dall’indagato, ha, con ordinanza del 1 giugno 2018, confermato il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente emesso in data 5 maggio 2018 dal Giudice per le indagini preliminari di Milano avente ad oggetto alcuni beni mobili ed immobili nella disponibilità di tale P.G. , appunto persona indagata, unitamente ad altri due individui, in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 5 e 10-quater, per avere - in qualità di amministratore di fatto di talune società, di cui i concorrenti nel reato sarebbero gli apparenti amministratori di diritto - omesso di presentare le dichiarazioni annuali dei redditi negli anni di imposta 2013, 2014, 2015 e 2016, in tal modo evadendo sia l’IRES che l’IVA per gli importi indicati nei capi di imputazione provvisori ed omettendo, altresì, di versare le somme dovute dalla medesime società all’Erario in relazione agli stessi anni di imposta utilizzando in compensazione crediti di imposta inesistenti. Avverso il predetto provvedimento ha interposto ricorso per cassazione il P. , articolando 5 motivi di impugnazione. Il primo motivo concerne la erronea applicazione della legge per avere il Tribunale rigettato la eccezione di incompetenza territoriale del giudice procedente osserva il ricorrente che, considerata la verosimile unicità del disegno criminoso, il più grave fra i reati contestati è la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 di cui al capo 2 della rubrica trattandosi di delitto previsto dal Capo primo del Titolo secondo del citato decreto legislativo, per esso, e di seguito per tutti gli altri reati avvinti dal vincolo della continuazione, dovrebbe valere il criterio della competenza del luogo ove il reato è stato consumato, luogo da identificarsi in quello ove il contribuente che abbia omesso la dichiarazione ha il suo domicilio fiscale posto che nel caso di specie le società amministrate di fatto, secondo la accusa, dal P. avrebbero avuto la sede reale a differenza di quella meramente formale in circondario di Brescia, la competenza a conoscere dei reati attribuiti provvisoriamente al ricorrente spetterebbe alla autorità giudiziaria di Brescia e non a quella di Milano, sebbene sia lì che il reato sarebbe stato accertato. Il secondo motivo ha ad oggetto la violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale di Milano nel ritenere sussistenti a carico del P. gli elementi idonei a concentrare su di lui il fumus commissi delicti, sebbene non sia emersa la sua qualità di amministratore di fatto delle società di cui ai capi di imputazione, posto che i fattori dimostrativi di tale sua qualità appaiono essere equivoci e non indicativi di alcun coinvolgimento del ricorrente nelle ipotesi criminose contestate. Il terzo motivo di impugnazione riguarda il fatto che il sequestro preventivo sia stato disposto sui beni del P. , senza che sia stata in qualche modo dimostrata la esistenza di un collegamento fra tali beni ed il profitto che sarebbe stato conseguito attraverso la commissione dei reati contestati. Il quarto motivo attiene alla avvenuta esecuzione della misura cautelare su di un immobile che, in sede di accordi per la separazione fra coniugi, è stata assegnata alla moglie separata del P. per essere destinato ad abitazione di questa e delle figlie minorenni della coppia ad avviso del ricorrente detto bene, non essendo nella disponibilità dell’indagato a seguito della assegnazione alla moglie separata, non poteva essere attinto dalla misura cautelare. Infine, col quinto motivo di impugnazione, il ricorrente ha lamentato il fatto che il sequestro fosse stato disposto sui suoi beni, sul presupposto che egli fosse l’amministratore occulto delle società in questione, sebbene non fosse stata preventivamente verificata la possibilità di eseguire il sequestro sul profitto direttamente conseguito dalle società in discorso attraverso la omissione del versamento dei tributi e la indebita compensazione di essi con crediti inesistenti. Considerato in diritto Il ricorso, risultato infondato, non è, pertanto, meritevole di accoglimento. Con riferimento al primo motivo di impugnazione, si rileva che con esso il ricorrente ha contestato la decisione del Tribunale di Milano in relazione alla conferma della competenza territoriale dell’autorità giudiziaria di Milano, in luogo di quella di Brescia, rivendicata dall’indagato. Il ragionamento a tal riguardo svolto dal ricorrente è ampiamente articolato e suggestivamente sviluppato nei termini che saranno qui di seguito brevemente riassunti. La ricorrente difesa, rilevato che a carico del P. si indaga in ordine ai reati provvisoriamente contestati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 5 e 10-quater, ritiene che, attesa la sicura connessione fra le due imputazioni elevate nei confronti del proprio assistito, la competenza territoriale in relazione ad essi debba essere determinata in applicazione del criterio dettato dall’art. 16 c.p.p., in forza del quale essa si radica di fronte al giudice che sarebbe competente per il più grave fra i reati contestati provvisoriamente. Ritenuto che questo debba essere individuato, in ciò esprimendo un contrario avviso rispetto a quello manifestato dal Tribunale del riesame, nella violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, il ricorrente prosegue osservando che, onde accertare quale sia l’autorità giudiziaria competente a conoscere di tale reato, e conseguentemente di quello ad esso connesso, sia necessario applicare il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1, in base al quale la competenza per territorio nei reati tributari è stabilita secondo i criteri di cui all’art. 8 c.p.p., salve le eccezioni di cui ai successivi commi 2 e 3 del medesimo art. 18 rilevata la inconferenza rispetto alla presente fattispecie della eccezione di cui al comma 3, osserva ancora il ricorrente che il ricordato comma 2 del citato art. 18 prevede, a sua volta, che per i delitti di cui al Capo I del Titolo 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, cioè per i delitti commessi tramite dichiarazione, fra i quali vi è quello di cui all’art. 5, la competenza territoriale si radica con riferimento al luogo ove il contribuente ha il domicilio fiscale. Considerato che questo, nel caso che interessa, deve intendersi ubicato nel luogo ove le società delle quali, in ipotesi, il P. era l’amministratore di fatto avevano la loro sede effettiva e cioè in località omissis in quanto là era svolta l’attività economica, di direzione e di gestione delle medesime ed è là che veniva reperita l’intera documentazione contabile e la strumentazione anche informatica utilizzata per la amministrazione delle imprese, da tale rilievo il ricorrente fa discendere, stante la ricaduta della predetta località nell’ambito territoriale del circondario di Brescia, la competenza ad indagare sui fatti per cui è processo della autorità giudiziaria benacense. L’articolato ragionamento svolto dal ricorrente si basa, tuttavia, su di un preliminare assunto fallace, sicché lo stesso è a sua volta erroneo l’assunto di cui si parla è che il più grave fra i reati provvisoriamente contestati sia riferito alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 e non a quella dell’art. 10-quater del medesimo provvedimento normativo, come invece ritenuto, con la derivante competenza della autorità giudiziaria milanese, dal Tribunale del riesame di Milano. Sul punto va ricordato che, ai fini della determinazione della competenza territoriale in caso di pluralità di delitti fra loro connessi, si considera più grave, secondo i termini di cui all’art. 16 c.p.c., comma 3, il delitto per il quale sia prevista la pena edittale massima più severa o, in caso di parità di quest’ultima, la più elevata pena minima. Nella presente fattispecie si rileva che, mentre la pena detentiva massima prevista per la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 è pari a anni 4 di reclusione, la pena prevista per l’ipotesi, chiaramente contestata in fatto al P. , relativa all’omesso versamento dell’IVA dovuto alla utilizzazione in compensazione di crediti inesistenti per un importo superiore a 50.000,00 Euro, è, a seguito delle sostanziali modifiche introdotte nella norma in questione a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, pari nel massimo a 6 anni di reclusione. Considerato che, tenuto conto del tempus commissi delicti indicato nelle varie ipotesi di reato provvisoriamente attribuite al P. , talune di esse sono riferite ad un’epoca successiva alla intervenuta modifica legislativa, per effetto della quale il massimi edittali per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater sono stati elevati nei termini sopraindicati e che, pertanto, ad esse è applicabile la disciplina sanzionatoria riformata, indubbio è che il più grave fra i reati contestati al P. è quello di cui al citato art. 10-quater. Ciò posto, osserva il Collegio che, avendo correttamente preso quale riferimento per la determinazione della competenza territoriale la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, il Tribunale di Milano ha fatto da ciò coerentemente discendere - tenuto conto della circostanza che, non essendo il reato in questione fra quelli per i quali opera la deroga al criterio di cui all’art. 8 c.p.p. contenuta nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1 - la applicazione dell’ordinario regime codici stico di radicamento della competenza nel luogo di consumazione del reato. Deve, tuttavia, rilevarsi che, in relazione al caso in esame, tale luogo, trattandosi di un reato il cui momento perfezionativo è dato dalla inutile scadenza del termine per il versamento della imposta omessa, non è precisamente identificabile, atteso che il contribuente avrebbe potuto effettuare l’operazione omessa presso un qualsiasi concessionario abilitato alla riscossione delle imposte o, comunque, utilizzando forme di pagamento delocalizzate eseguite tramite soggetti intermediari per lo più si tratta degli istituti di credito a ciò espressamente preposti. Deve, pertanto, convenirsi con il Tribunale del riesame nel ritenere applicabile al caso di specie il criterio sussidiario di cui all’art. 9 c.p.p., comma 3, in forza del quale, ove non sia stato possibile diversamente determinare la competenza territoriale sul reato per cui si indaga, questa è spettante all’ufficio che per primo abbia provveduto alla iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. della notizia di reato per cui si procede. Fattore questo che, senza incertezze né contestazioni in ordine alla sua ricorrenza materiale, radica la competenza, come ritenuto nella ordinanza impugnata, di fronte al Tribunale di Milano. Il primo motivo di impugnazione è, pertanto, infondato. Passando, a questo punto, all’esame del secondo motivo di ricorso, con il quale è dedotta, sotto il profilo della violazione di legge, la illegittimità della ordinanza impugnata in quanto non sarebbe stata evidenziata la sussistenza di alcun elemento univoco ed individualizzante che dimostri il coinvolgimento del P. nella commissione dei reati in questione, ne osserva la Corte di cassazione la inammissibilità. Come questa Corte ha, infatti, più volte ripetuto - peraltro pianamente applicando il dettato normativo fissato dall’art. 325 c.p.p. - in tema di provvedimenti cautelari reali il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge tale vizio ricomprende, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli errores in iudicando che quelli in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice cfr. per tutte, Corte di cassazione, Sezione 2 penale, 20 aprile 2017, n. 18951 che, a sua volta, richiama Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 26 febbraio 2008, n. 25932 , ciò in quanto il provvedimento in tal modo reso violerebbe il disposto dell’art. 125 c.p.p., comma 3, il quale prevede che, a pena di nullità, i provvedimenti giurisdizionali aventi un contenuto decisoria siano corredati da una motivazione che tale può definirsi solo in quanto espone comprensibilmente le ragioni del decidere seguite dal giudicante. E nello specificare tale presupposto si è appunto chiarito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, è tuttavia ammissibile solo quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato ovvero siano del tutto generiche e non riconducibili alle peculiarità del caso concreto Corte di cassazione, Sezione 4 penale, 17 ottobre 2014, n. 43480 . Con la censura di cui sopra il ricorrente ha, in sostanza, lamentato che la ordinanza impugnata fosse del tutto priva di motivazione in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti a suo carico. L’assunto è destituito di fondamento. Il Tribunale di Milano, infatti, ha plausibilmente desunto il diretto coinvolgimento del P. nella amministrazione delle società che o non avevano presentato le dichiarazioni di imposta ovvero, avendole presentate, avevano inserito in esse elementi tali da portare alla omissione del versamento delle imposte dovute, dal fatto che quello avesse compiuto degli atti, quali il subentro nel contratto di locazione dell’immobile ove avevano sede le società in questione nonché l’adempimento di obbligazioni riferibili alle predette società, che integravano comportamenti i quali - tanto più nella presente fase cautelare caratterizzata da una cognizione non piena - appaiono indubitabilmente deporre per una diretta cointeressenza del P. nelle vicende imprenditoriali riferibile alle società predette. Non potendosi, pertanto, ritenere che al riguardo la motivazione della ordinanza sia difettiva né tantomeno inesistente, essendo perfettamente ricostruibile il ragionamento svolto dal Tribunale onde affermare la sussistenza degli elementi di riconducibilità all’indagato dell’attività di gestione delle ricordate società, ragionamento, si ribadisce, non sindacabile in questa quanto alla sua tenuta dimostrativa, anche questo motivo di impugnazione è inammissibile. Con riferimento al terzo motivo di ricorso, riguardante il fatto che il Tribunale del riesame abbia considerato suscettibili di sequestro i beni del P. sebbene gli stessi, secondo parte ricorrente, non fossero direttamente derivanti dalla commissione dei reati ipotizzati, rileva la Corte la assoluta irrilevanza della censura invero, essendo stato espressamente finalizzato il sequestro a garantire la successiva eventuale confisca per equivalente misura di sicurezza a carattere sanzionatorio con la quale non si intende colpire direttamente i beni che abbiano costituito il prezzo od il profitto del reato commesso quanto rendere improduttiva la sua commissione sottraendo all’autore il controvalore del vantaggio realizzato attraverso quello - il fatto che i beni staggiti non siano in diretto rapporto con i reati ipoteticamente realizzati è fattore si direbbe del tutto fisiologico e privo di qualsivoglia significato in relazione ad un’eventuale vizio del provvedimento cautelare in questione. In relazione al quarto motivo - con il quale è censurata la esecuzione della misura disposta anche attraverso l’avvenuto sequestro preventivo di un immobile che, in sede di determinazione delle condizioni di separazione personale dal coniuge, il P. aveva destinato ad abitazione di quest’ultima e delle figlie minori avute con costei - è sufficiente ribadire il principio già affermato da questa Corte, e qui convintamente condiviso, secondo il quale, che, anche in caso di assegnazione della casa coniugale al coniuge in sede di accordi ìn tema di separazione personale, non viene meno il profilo della disponibilità del bene in capo al conferente, presupposto della eventuale successiva confisca per equivalente tale fattore, id est la disponibilità del bene, costituisce anzi il necessario antecedente logico della possibilità di fare rientrare la assegnazione del bene nell’ambito del regolamento patrimoniale dei rapporti intervenuto fra i due coniugi Corte di cassazione, Sezione 2 penale, 21 marzo 1997, n. 12541 , senza, peraltro, che per effetto di tale assegnazione in coniuge beneficiario consegua a titolo definitivo una posizione rispetto al bene caratterizzata da assolutezza, autonomia ed indipendenza rispetto alla posizione del suo coniuge dante causa. Venendo, a questo punto, all’ultimo motivo di doglianza presentato dal ricorrente, riguardante la mancata verifica, anteriormente alla esecuzione del sequestro per equivalente sui beni a lui pertinenti, in ordine alla possibilità o meno di procedere al sequestro dei beni delle società dirette beneficiarie degli ipotizzati illeciti tributari, va ulteriormente confermato il principio espresso di recente da questa stessa Sezione della suprema Corte, secondo il quale in materia di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca, nei confronti della società, è possibile solo sui beni su cui disporre la confisca diretta, previa individuazione del profitto del reato in mancanza di tali beni sarà possibile procedere al sequestro per equivalente dei beni dell’imputato Corte di cassazione Sezione 3 penale, 22 settembre 2017, n. 43916 , con la ulteriore precisazione, sempre riveniente dall’analisi dell’attività di nomofilassi interpretativa svolta in argomento dalla Corte di cassazione, che la verifica della possibilità di procedere all’aggressione diretta del profitto del reato va svolta sulla base di un’indagine condotta allo stato degli atti già acquisti all’indagine Corte di cassazione, Sezione 4 penale, 7 marzo 2018, n. 10418 , in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo necessario l’esperimento di ulteriori e specifici accertamenti preliminari volti a reperire l’eventuale esistenza di beni costituenti tale profitto fino a quel momento rimasti celati Corte di cassazione Sezione 3 penale, 13 ottobre 2015, n. 41073 , salva essendo, evidentemente, la possibilità per il soggetto inciso dalla mìsura di segnalare agli organi competenti, ivi compreso il giudice del riesame, la esistenza di beni che, costituendo il diretto profitto del reato, debbono essere assoggettati in via poziore alla misura cautelare. Ne caso in esame non solo il ricorrente non ha svolto alcuna attività in sede di merito cautelare volta a dimostrare la possibilità di procedere ad un sequestro funzionale ad una successiva confisca diretta, ma, dall’esame della ordinanza impugnata, emerge che il Tribunale di Milano, fatto buon governo dei principi applicabili alla materia, sì è dato carico di valutare la astratta capienza patrimoniale delle società delle quali il P. era amministratore, rilevando l’assoluta assenza di significativi compendi di beni immediatamente riconducibili al profitto in ipotesi conseguito, avendo anzi il Tribunale dato atto che sì trattava di società tutte sostanzialmente prive di qualsivoglia apprezzabile attivo patrimoniale. Il ricorso proposto dalla difesa del P. deve, conclusivamente essere rigettato ed il ricorrente va condannato, visto l’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.