Maltratta compagna e figlia e le perseguita online: necessaria la custodia in carcere

Legittima la misura cautelare applicata nei confronti dell’imputato per avere maltrattato l’ex compagna e la figlia. Decisiva la valutazione della gravità del comportamento da lui tenuto online e consistito in offese e minacce alla donna.

Sotto accusa per avere maltrattato l’ex compagna e la figlia, l’uomo sceglie assurdamente di minacciarla e offenderla non solo tramite telefono ma anche attraverso i social network. Legittimo, di conseguenza, secondo i Giudici, il provvedimento con cui gli viene imposta la misura cautelare della custodia in carcere Corte di Cassazione, sentenza n. 57870/18, sez. VI Penale, depositata oggi . Mezzo. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall’imputato. Anche i Giudici del Palazzaccio, difatti, ritengono vada confermata la custodia in carcere . Decisiva la constatazione che egli ha ignorato completamente il divieto di comunicazione con l’ex compagna e la figlia, rivolgendo loro messaggi vocali minacciosi e messaggi dai contenuti infamanti pubblicati sui social network . Tale comportamento, osservano i Magistrati, va catalogato come inquietante perché ancor più presente nella sfera di libertà e di autonomia della donna e della figlia. E, peraltro, anche l’utilizzo dei mezzi telematici è, in questa vicenda, espressione della condotta maltrattante tenuta dall’imputato. A questo proposito, difatti, non può essere ignorata la potenziale diffusività del mezzo utilizzato e il suo carattere invasivo , a cui il destinatario non può sottrarsi se non disattivando la connessione però con conseguente lesione della libertà di comunicazione e corrispondente alterazione della quiete e della tranquillità psichica, comprensibilmente turbate da esasperazione e spavento .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 maggio– 20 dicembre 2018, n. 57870 Presidente Rotundo – Relatore Agliastro Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale per il riesame di Messina in data 05/03/2018, in accoglimento dell'appello del Pubblico Ministero, applicava ad Ar. An. la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all'art. 572 cod. pen. in pregiudizio di Ti. Ma. La. con la quale aveva intrattenuto un rapporto di convivenza ed a cui aveva rivolto reiterate e gravi offese, minacce di morte anche a mezzo di telefono, con messaggi vocali indirizzati anche al legale della donna, quale ritorsione per avere preso le difese della stessa, inoltre aveva pubblicato sui social network messaggi dal contenuto infamante nei confronti della vittima. Con ordinanza dell'11/12/2017, il giudice per le indagini preliminari applicava ad Ar., in relazione al reato di maltrattamenti aggravati, la misura cautelare del divieto di dimora nei Comuni di Messina e Gaggi con divieto, altresì, di comunicazione a carattere telefonico e telematico nei confronti della persona offesa e della figlia di entrambi Ar. Ai Con provvedimento del 18/12/2017, all'esito dell'interrogatorio di garanzia, il giudice per le indagini preliminari rigettava la richiesta di revoca e sostituzione della misura del divieto di dimora autorizzando - in deroga a tale misura -l'Ar. a recarsi a Messina per l'espletamento di attività lavorativa, estendendo il divieto di comunicazione anche all'uso dei social network. Il Pubblico Ministero impugnava con appello il provvedimento del giudice per le indagini preliminari, censurandone la contraddittorietà in quanto, dapprima descriveva un allarmante quadro cautelare, dall'altro riteneva adeguata una misura non custodiale. Il Tribunale del riesame, quale giudice dell'appello cautelare, valutava i gravi elementi del reato di maltrattamenti nei confronti della convivente e della figlia che avevano avuto inizio già dal 2005 spesso alla presenza della minore Ai. nata nel 2006, tanto che la persona offesa e la piccola erano entrati in regime di protezione presso il centro CEDAV. Il Tribunale rilevava l'assoluta inosservanza dell'Ar. delle prescrizioni impostegli e pertanto riteneva attuale e concreto il periculum criminis atteso che le minacce si erano anche estese al legale della persona offesa. Riteneva che l'unica misura idonea fosse quella custodiale, non ipotizzando che l'istante potesse accedere al beneficio della pena sospesa di cui aveva usufruito, né che la pena da irrogare potesse essere contenuta nel limite dei tre anni. 2. Ricorre per cassazione Ar. An. per il tramite del difensore di fiducia deducendo, come unico motivo, la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. e cod. proc. pen. in relazione agli artt. 274, 275 cod. proc. pen. e 572 cod. pen. La difesa ritiene che la motivazione del provvedimento impugnato risulti priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente, oltre che mancante della considerazione del criterio di adeguatezza e della proporzionalità. Impugna in particolare il punto della motivazione secondo cui il semplice divieto di comunicare con la parte offesa pur non bastevole ad eludere completamente il pericolo di un blitz fisico contro la vittima dovrebbe essere sufficiente a garantire la non reiterazione del reato reiterazione che ad oggi, non è mai avvenuta . La presunta violazione del divieto di dimora avvenuta attraverso messaggi su facebook di immagini fotografiche del 22/2/2018, a giudizio del Tribunale, denota disprezzo totale per le prescrizioni cui è sottoposto il ricorrente e assoluta incapacità di rispettare le stesse imponendosi la più grave misura cautelare. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché aspecifico. 2. La trasgressione al divieto di comunicazione con le pp.oo., inglobato nel provvedimento di divieto di dimora, che concreta la fattispecie addebitata, in una delle sue modalità attuative, autorizza la configurazione di una delle manifestazioni dei maltrattamenti aggravati, potendo la prova di esse desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente, che ha rivolto alle vittime messaggi vocali minacciosi, e messaggi dai contenuti infamanti pubblicati su facebook. Questi ultimi costituiscono documenti e mezzo invasivo di comunicazione, che oltrepassa la vicinanza fisica con la vittima e permane come atteggiamento inquietante ancor più presente nella sfera di libertà ed autonomia del destinatario. Si caratterizza sul piano della interazione tra il mittente e il destinatario - in relazione al profilo saliente dell'oggetto giuridico della norma incriminatrice - per la incontrollata possibilità di intrusione, immediata e diretta, del primo nella sfera delle attività del secondo Sez. 5, n. 47195 del 06/10/2015, Rv. 265530 Sez. 3, n. 38681 del 26/04/2017 Rv. 270950 . 3. Priva di fondamento appare la considerazione difensiva secondo cui l'Ar. non avrebbe mai violato nel merito le prescrizioni imposte, per non avere intrattenuto contatti fisici con i propri familiari, in quanto proprio l'utilizzo dei mezzi telematici con i quali il predetto ha postato su facebook immagini fotografiche non consentite concretanti gravi minacce, costituiscono - in uno alla trasgressione degli obblighi imposti con la misura cautelare - espressione della condotta maltrattante, con ciò dimostrando il ricorrente di non essersi confrontato con il provvedimento impugnato, dal quale risalta la potenziale diffusività del mezzo utilizzato dal ricorrente ed il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi se non disattivando la connessione con conseguente lesione, in tale evenienza, della libertà di comunicazione e corrispondente alterazione della quiete e tranquillità psichica, comprensibilmente turbate da esasperazione e spavento . 4. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 2.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 disp. reg. cod. proc. pen.