L’alibi falso non è sufficiente per negare l’indennizzo per l’ingiusta detenzione patita dall’indagato

Ai fini del riconoscimento dell’indennità per ingiusta detenzione cautelare, è necessario che il richiedente non abbia dato causa, con il suo comportamento doloso o gravemente colposo, all’adozione della misura cautelare. Il giudice deve in tal senso valutare tutti gli aspetti della condotta del ricorrente e considerare il complessivo compendio probatorio a suo carico.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 53340/18, depositata il 28 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze, pronunciandosi in sede rescissoria, accoglieva solo in parte la richiesta di indennizzo presentata da un uomo per ingiusta detenzione cautelare subita nel periodo durante il quale fu indagato per diversi reati, nonché per riparazione dell’errore giudiziario di cui era stato vittima in quanto la condanna all’ergastolo era stata successivamente annullata in sede di revisione penale. In particolare, la Corte rigettava la richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione in quanto l’istante aveva dato causa all’adozione della misura cautelare con il proprio comportamento colposo avendo allegato un alibi rivelatosi poi falso. La pronuncia viene impugnata in Cassazione. Indennizzo per ingiusta detenzione. La Corte precisa in primo luogo i margini della precedente pronuncia rescindente che ha portato poi alla decisione impugnata. In quell’occasione, gli Ermellini avevano affermato che il riconoscimento dell’indennità per ingiusta detenzione cautelare è subordinato al fatto che il richiedente non abbia dato causa, con il suo comportamento doloso o gravemente colposo, all’adozione della misura cautelare. Il giudice del rinvio avrebbe dunque dovuto valutare tutti gli aspetti della condotta del ricorrente in sede di indagini preliminare considerando il complessivo compendio dichiarativo anche sopravvenuto da parte di testimoni. La sentenza impugnata ha però disatteso i principi richiamati dalla Corte di legittimità argomentando il rigetto dell’indennizzo sulla base della mera allegazione del falso alibi, circostanza che avrebbe creato una situazione di falsa apparenza idonea a condizionare gli elementi a carico dell’indagato. Rilevanza del comportamento dell’istante. Gli Ermellini, pur riconoscendo che il falso alibi può costituire esercizio del diritto di difesa, non negano che tale condotta possa assumere rilevanza ai fini dell’accertamento della condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta detenzione. Per altro verso però occorre considerare che tale principio vale fintanto che sussista un quadro indiziario a carico del prevenuto autonomamente indicativo del fumus commissi delicti di cui il falso alibi abbia solo rafforzato la portata. Nel caso di specie, oltre ad essere stato valorizzato questo unico elemento probatorio, peraltro smentito avendo il ricorrente fornito solo qualche giorno dopo una diversa versione dei fatti, la Corte d’Appello risulta aver violato il principio che impone al giudice del rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di Cassazione. Per questi motivi, la sentenza impugnata viene annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 settembre – 28 novembre 2018, n. 53340 Presidente Rosi – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con ordinanza del 12 gennaio 2018, emessa a seguito dell’annullamento con rinvio - disposto dalla IV Sezione penale di questa Corte con sentenza n. 27551 del 7 febbraio 2017, depositata il successivo 12 giugno 2017 - della precedente ordinanza della medesima Corte territoriale del 21 gennaio 2016, la Corte di appello di Firenze ha, solo in parte, accolto la richiesta di indennizzo presentata da O.A. ed avente ad oggetto sia la riparazione per la ingiusta detenzione da lui patita in sede cautelare, nel periodo in cui egli fu indagato per il reato di omicidio volontario, tentato omicidio ed altro, sia la riparazione per l’errore giudiziario di cui egli era stato vittima, essendo stata condannato per i predetti reati alla pena dell’ergastolo con sentenza che, successivamente è stata annullata in sede di revisione penale. In particolare, con la citata ordinanza del 12 gennaio 2018, la Corte toscana ha accolto la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 643 cod. proc. pen., liquidando, altresì, la relativa somma di danaro a titolo di riparazione, mentre la ha rigettata per quanto attiene alla richiesta formulata ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen Siffatto rigetto è stato determinato sulla base della considerazione che, con il proprio comportamento, consistente nella allegazione di un alibi relativo al periodo di tempo in cui sono stati commessi i reati per i quali l’O. fu sottoposto alla misura cautelare personale, rivelatosi falso, il predetto imputato aveva, con comportamento gravemente colposo, dato causa alla adozione ed alla conservazione della misura cautelare in questione. Avverso la citata ordinanza ha interposto ricorso per cassazione l’O. lamentandone la nullità dopo avere svolto una puntuale ricostruzione delle precedenti fasi della complessa vicenda, il ricorrente ha denunziato la illegittimità del provvedimento impugnato in quanto lo stesso sarebbe viziato per violazione di legge e per manifesta mancanza di motivazione. In particolare il ricorrente ha segnalato come questa Corte, nell’annullare con rinvio la precedente ordinanza della Corte di Firenze, reiettiva su tutta la linea delle richieste formulate dall’attuale ricorrente, avesse segnalato, quanto alla istanza presentata ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., che la Corte territoriale avesse trascurato di considerare che, a distanza di pochi giorni dalla allegazione dell’alibi rivelatosi falso, l’indagato avesse modificato la propria versione, fornendone un’altra che era stata suffragata da testimoni, ed avesse anche chiesto, onde verificare la fondatezza delle dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti propalate dalla persona che era stata vittima del reato di tentato omicidio a lui ascritto, lo svolgimento immediato di un incidente probatorio. La mancata considerazione del comportamento successivo alla allegazione dell’alibi falso, oltre che la mancata ottemperanza al principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione con la citata sentenza n. 27551 del 2017, comporterebbero, secondo il ricorrente, la illegittimità anche della ordinanza ora impugnata. Con un secondo motivo di ricorso l’O. ha lamentato, affermando anche in questo caso il vizio di violazione di legge o di manifesta mancanza di motivazione che minerebbe la legittimità della ordinanza impugnata, il fatto che, nella determinazione dell’indennizzo per l’errore giudiziario, la Corte fiorentina avesse trascurato di valutare il danno derivante dal fatto che egli, a seguito della condanna, era stato costretto ad interrompere la sua attività commerciale, ed avesse, altresì, omesso di calcolare l’importo delle spese legali che lo stesso aveva dovuto affrontare nel corso dei giudizi a suo carico. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e la ordinanza impugnata deve essere annullata. Deve, ai fini della migliore comprensione della presente decisione, tenersi ben presente che l’attuale giudizio è stato preceduto da una altra sentenza di questa Corte con la quale è stata già annullata con rinvio una ordinanza della Corte di appello di Firenze con la quale detto giudice aveva in toto rigettato la istanza indennitaria presentata dall’O. . In tale occasione la suprema Corte, nel riscontrare, appunto, la illegittimità della prima ordinanza della Corte toscana, aveva osservato, premesso che il diritto alla corresponsione della indennità per la ingiusta detenzione cautelare è subordinato, ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. al fatto che il richiedente non abbia, con il proprio comportamento doloso o gravemente colposo, dato causa - ovvero concorso a darvi causa alla adozione della misura cautelare custodiale, che nella specie il giudice territoriale avrebbe dovuto valutare, ai fini della condizione impeditiva di cui alla ricordata disposizione del codice di rito, tutti gli aspetti della condotta tenuta dall’O. in sede di indagini preliminari, non trascurando gli elementi di contraddittorietà provenienti dall’indagato al fine di sottrarsi alle contestazioni mosse a suo carico, ma, tuttavia, anche considerando il complessivo compendio dichiarativo sopravvenuto rispetto alle propalazioni dell’attuale ricorrente, compresa la parte di esso proveniente dai soggetti informati sui fatti poi assunti quali testimoni, tendendo, altresì, presente il complessivo comportamento processuale dell’O. , il quale, a fronte dello sfavorevole riconoscimento personale operato dal soggetto passivo del tentato omicidio, aveva immediatamente sollecitato lo svolgimento di un incidente probatorio onde esaminare quest’ultimo nel contraddittorio fra le parti. Ha aggiunto la suprema Corte nella sentenza n. 27551 del 2017 - dopo avere rilevato, quanto alla richiesta di riparazione dell’errore giudiziario, anch’essa disattesa in prima battuta dalla Corte fiorentina, che, diversamente da ciò che attiene all’indennizzo per la ingiusta detenzione, relativamente alla fattispecie regolata dall’art. 643 cod. proc. pen., la condotta dolosa o gravemente colposa del condannato deve avere dato causa, e non anche soltanto concorso a darvi causa, alla adozione della sentenza frutto di errore giudiziario cfr., infatti, nel senso descritto Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 novembre 2016, n. 48321 - che il giudice del merito, aveva tenuto conto, onde rigettare la richiesta indennitaria, del solo falso alibi presentato dall’O. , senza considerare che tale primigenia versione era stata modificata dopo solo tre giorni in sede di interrogatorio di garanzia e senza tenere nel debito conto l’esistenza di ulteriori apporti processuali e difensivi quali le ulteriori emergenze processuali, le dichiarazioni successivamente rese dal prevenuto ed ancora il suo comportamento processuale sostanzialmente collaborativo elementi questi del tutto obliterati dal giudice dell’indennizzo. Ritenendo che le circostanze segnalate avrebbero meritato un approfondimento nel senso indicato da parte della Corte toscana, la originaria ordinanza da questa emessa era stata perciò annullata con rinvio. Osserva il Collegio che, adita quale giudice del rinvio, la Corte di appello di Firenze, mentre ha accolto la richiesta di indennizzo quanto alla riparazione dell’errore giudiziario sulla base della considerazione che la condanna dell’O. non era tanto da ascriversi, sotto il profilo causale, alla presentazione da parte di questo di un alibi falso, quanto al fatto che erano state ritenute utilizzabili ai fini del decidere delle prove non legittimamente acquisite agli atti del giudizio , ha, viceversa, confermato il rigetto di essa quanto all’indennizzo per la ingiusta detenzione. Ma nel fare ciò la Corte territoriale ha, in sostanza, del tutto disatteso le indicazione che le erano pervenute dalla Corte di legittimità essa, infatti, ha argomentato il rigetto della istanza indennitaria sulla base della sola allegazione da parte dell’O. di un falso alibi, tale da creare quella situazione di falsa apparenza idonea a condizionare la valutazione degli elementi a suo carico ai fini della emissione e del successivo mantenimento della misura cautelare a suo carico. Ora, per quanto sia ben vero che, secondo il costante e risalente orientamento di questa Corte, la condotta dell’indagato che abbia fornito un alibi rivelatosi falso, pur costituendo l’esercizio del diritto di difesa, può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo per la ingiusta detenzione Corte di cassazione Sezione IV penale, 21 settembre 1994, n. 920 , deve, per altro verso, considerarsi che un siffatto argomentare intanto vale in quanto ci si trovi in presenza di un quadro indiziario a carico del prevenuto che, di per sé, sia indicativo del fumus commissi delicti e che la allegazione del falso alibi abbia solo rafforzato e non creato Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 novembre 2014, n. 47756 , e, soprattutto, che nella fattispecie questa Corte, con la più volte citata sentenza n. 27551 del 2017, già aveva rilevato come la falsa apparenza della realtà che la allegazione dell’alibi mendace da parte dell’O. aveva contribuito a creare, era stata da questo rapidamente smentita, o almeno dissipata per quanto era in suo potere fare, avendo egli fornito in brevissimo tempo si dice nella sentenza di annullamento con rinvio, già in sede di interrogatorio di garanzia una diversa versione dei fatti che, secondo quanto risulta, era stata suffragata, diversamente dalla precedente, da testimonianze rese da soggetti terzi. Ora, osserva il Collegio, non solo la Corte territoriale ha conformemente a quanto fatto dal medesimo giudice in occasione della precedente ordinanza, oggetto del primo annullamento - valorizzato un solo fattore, quello dell’alibi falso, ai fini del rigetto della richiesta indennitaria, sebbene questa suprema Corte avesse, in sede di annullamento con rinvio, espressamente segnalato la necessità della valutazione del complessivo compendio dichiarativo sopravvenuto, compreso quello proveniente da soggetti informati sui fatti, poi assunti come testimoni, nonché il comportamento processuale complessivo dell’O. - in tal senso già violando il disposto dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. il quale impone al giudice del rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione quanto alle questioni di diritto da essa già decise - ma nel fare ciò la Corte toscana, in maniera manifestamente illogica, ha considerato elemento ostativo al riconoscimento dell’indennizzo un fattore, il falso alibi, che, in linea di principio, avrebbe potuto giustificare la adozione della misura, ma che, in quanto immediatamente corretto dallo stesso indagato, difficilmente avrebbe potuto giustificare il mantenimento della misura stessa per il periodo durato, è il caso di segnalarlo, circa 2 anni successivo alla ritrattazione dell’alibi falso. L’annullamento, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze, della ordinanza impugnata in relazione al primo motivo di ricorso assorbe le subordinate lagnanze formulate dal ricorrente con il secondo motivo di censura. P.Q.M. Annulla con rinvio la ordinanza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.