L’accertamento della continuazione tra reati da parte del giudice dell’esecuzione

Gli Ermellini colgono l’occasione per ripercorrere la disciplina in tema di accertamento della continuazione tra reati da parte del giudice dell’esecuzione, ricordando quali sono i limiti del giudicato formatosi in sede di cognizione ed i principi interpretativi da applicare nell’accertamento del medesimo disegno criminoso”.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 52114/18, depositata il 19 novembre. Il caso. Il Tribunale di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, accoglieva parzialmente la richiesta presentata da un imputato riconoscendo la continuazione tra diversi reati giudicati con 21 separate sentenze di condanna e rideterminava dunque la pena complessiva. I reati oggetto delle condanne erano stati consumati nell’arco di 6 anni e spaziavano dal furto alla ricettazione di assegni bancari, mentre venivano esclusi i reati di ricettazione, truffa e calunnia in considerazione del diverso bene giuridico protetto e dell’assenza di collegamento fattuale. Avverso tale pronuncia ricorre in Cassazione la difesa deducendo la violazione dell’art. 81 c.p., nonché il difetto di motivazione in ordine all’esclusione dalla continuazione di una specifica condanna che risultava invece espressamente indicata nella richiesta di parte. I vincoli del giudicato in sede di cognizione. Ai sensi dell’art. 671 c.p.p., al giudice dell’esecuzione è demandato un giudizio proprio della sede di cognizione in ordine alla riconducibilità dei reati ad un comune disegno criminoso. Tale potere di accertamento è però condizionato al giudicato formatosi in sede di cognizione, in particolare la continuazione non può essere riconosciuta se già esclusa dal giudice di cognizione, l’accertamento in sede di esecuzione deve fondarsi sui fatti già accertati, la determinazione del reato più grave deve essere compiuta secondo il criterio della pena inflitta nei giudizi di cognizione, la commisurazione della pena relativa ai reati satellite e di quella complessiva deve rispettare sia le regole dettate dall’art. 81 c.p. sia il limite di quanto statuito nei giudizi di cognizione. Il medesimo disegno criminoso”. Il Collegio chiarisce poi il concetto di medesimo disegno criminoso” per il quale deve intendersi la rappresentazione in capo al soggetto agente della futura commissione dei reati quale elemento attinente alla sfera psicologica del soggetto antecedentemente alla commissione del primo dei reati. La ratio dell’istituto è infatti quella di considerare l’esistenza di un unitario momento deliberativo di più reati al fine di concedere un trattamento sanzionatorio più favorevole, nei limiti di cui all’art. 81 c.p Il contenuto della rappresentazione deve concretizzarsi in una programmazione di più condotte in vista di un unico fine, non potendo consistere in una mera scelta di vita generale. La programmazione può anche essere inizialmente priva di specificità sempre che i reati si innestino su una linea generale come mezzo diretto al conseguimento di uno scopo preciso. L’accertamento da parte del giudice avviene secondo le regole della prova indiziaria e dunque sulla base del contesto di luogo e di tempo, delle modalità esecutive, della comunanza dei correi e del bene giuridico leso. Concludendo. Applicando tali principi al caso di specie, la Corte sottolinea la contraddittorietà del provvedimento impugnato che se da un lato valorizza negativamente l’arco temporale nel corso del quale i reati sarebbero stati consumati, dall’altro riconosce la continuazione tra reati la cui realizzazione si collochi su un periodo ancora più lungo. Inoltre risulta contraddetto anche il giudicato formatosi in sede di cognizione dove era già stata riconosciuta la continuazione in ordine ad alcune fattispecie. In conclusione, la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 ottobre – 19 novembre 2018, n. 52114 Presidente Di Tomassi – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata in data 6.3.2018 il Tribunale di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, in parziale accoglimento della istanza presentata dal difensore di C.A. , ha riconosciuto la continuazione tra i reati giudicati dalle sentenze pronunciate dal Tribunale di Palermo in data 17.4.2013, 17.7.2014, 11.4.2014, 7.5.2012, 18.6.2013, rideterminando la pena complessiva in anni tre e mesi due di reclusione ed Euro 1350 di multa. L’ordinanza, esaminate le n. 21 sentenze di condanna oggetto della richiesta del condannato, ha riconosciuto la continuazione tra i reati di ricettazione relativi ad assegni bancari provento del medesimo furto in danno del Banco di Sicilia, fatto denunciato in data 27.10.2005 , mentre l’ha esclusa con riferimento agli ulteriori reati di ricettazione n. 14 sentenze , sul rilievo dell’ampio periodo temporale sei anni nel corso del quale sono stati commessi, e ai reati di truffa e calunnia n. 2 sentenze , in considerazione del diverso bene giuridico e della assenza di collegamenti fattuali con gli altri reati. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di C.A. , denunciando, con il primo motivo, la violazione dell’art. 81 cod. pen., sul rilievo che, nell’escludere la continuazione fra tutti i reati oggetto della richiesta della difesa, il primo giudice non aveva considerato che i reati erano collocabili nel medesimo perimetro temporale, erano stati determinati dalla condizione di precarietà economica in cui versava il condannato e quindi erano stati tutti unitariamente ideati, seppur in maniera sommaria. Con il secondo motivo viene denunciato il difetto di motivazione della decisione di rigetto della richiesta di riconoscimento della continuazione fra tutti i reati oggetto delle sentenze di condanna indicate dal condannato. Innanzitutto, l’ordinanza impugnata non aveva preso in considerazione, non avendola riportata nella elencazione cui la motivazione ha fatto riferimento, la sentenza pronunciata in data 24.11.2011 dal Tribunale di Palermo, indicata sub n. 22 nella richiesta della parte la sentenza, inoltre, era relativa a reati già uniti in continuazione con i reati giudicati con sentenza pronunciata in data 12.4.2012 dal Tribunale di Termini Imerese, oggetto della richiesta della difesa. L’ordinanza non aveva considerato che nel giudizio di cognizione definito con la sentenza pronunciata in data 11.4.2014 dal Tribunale di Palermo era già stata riconosciuta la continuazione fra plurime condotte di ricettazione, alcune relative ad assegni bancari provento del furto in danno del Banco di Sicilia ed una, invece, relativa a titolo oggetto di furto in danno di Unicredit Banca, denunciato in data 18.12.2009. La motivazione del provvedimento impugnato, infine, non aveva considerato che si tratta di reati lesivi del medesimo bene giuridico, commessi in periodo temporale contiguo, con analogo modus operandi e con sistematicità significativa di un antecedente e unitario disegno criminoso. 3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo per nuovo esame. 1. L’ordinanza impugnata non ha preso in considerazione il reato oggetto della sentenza pronunciata in data 24.11.2011 dal Tribunale di Palermo la difesa l’aveva indicata nella richiesta ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. ed aveva allegato agli atti copia della decisione. L’ordinanza ha elencato le sentenze oggetto della richiesta, senza fare menzione di quella sopra indicata, e dunque la motivazione, che ha fatto riferimento alla numerazione dell’elenco delle sentenze, è, con riferimento alla richiesta relativa a quel reato, mancante. 2. Le ulteriori censure proposte dal ricorrente, anche con il primo motivo, riguardano l’oggetto del giudizio sulla continuazione e la congruità della relativa motivazione. Il Collegio ritiene di dover premettere alcuni rilievi in diritto. 2.1. Nel procedimento ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. al giudice dell’esecuzione è demandato un giudizio, proprio della sede di cognizione, in ordine alla riconducibilità dei reati oggetto della istanza ad un comune disegno criminoso. Il potere giurisdizionale del giudice dell’esecuzione è condizionato dal giudicato formatosi in sede di cognizione sotto diversi profili - la continuazione non può essere riconosciuta ove esclusa in sede di cognizione art. 671 cod. proc. pen. - l’accertamento del giudice dell’esecuzione deve fondarsi su quanto accertato, in fatto, nel giudizio di cognizione, dovendo essere acquisite le sentenze di condanna oggetto dell’istanza art. 186 disp. att. cod. proc. pen. - la determinazione del reato più grave va compiuta secondo il criterio della pena inflitta nei giudizi di cognizione art. 187 disp. att. cod. proc. pen. - la commisurazione della pena relativa ai reati cd. satellite e la determinazione della pena complessiva devono rispettare sia le regole dettate dall’art. 81 cod. pen. sia il limite di quanto statuito nei giudizi di cognizione art. 671 cod. proc. pen. . 2.2. Quanto alla nozione di medesimo disegno criminoso , è stato chiarito che si tratta della rappresentazione, in capo al soggetto agente, della futura commissione dei reati, e dunque di elemento che attiene alla sfera psicologica del soggetto risalente a un momento precedente la commissione del primo fra i reati della serie considerata. La ratio propria dell’istituto del reato continuato risiede nella considerazione che l’esistenza di un unitario momento deliberativo di più reati giustifica un trattamento sanzionatorio più favorevole e discrezionalmente determinato, non secondo i limiti edittali individuati da ciascuna fattispecie incriminatrice bensì, nel rispetto delle regole di cui all’art. 81 cod. pen In ordine al contenuto della rappresentazione delle future condotte criminose, va osservato che, da una parte, non può riguardare una generale scelta di vita, che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, né una generale tendenza a porre in essere determinati reati la dedizione al delitto, il ricorso abituale ai proventi dell’attività criminosa e la soggettiva inclinazione a commettere gravi delitti dolosi sono connotazioni proprie del profilo soggettivo del reo che determinano, ai sensi degli artt. 102-108 cod. pen., un più grave trattamento sanzionatorio, e quindi risultano incompatibili con l’istituto della continuazione fra reati. Dall’altra, la nozione di continuazione non può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio oltre a non apparire conforme al dettato normativo - che parla soltanto di disegno - e a non risultare necessaria per l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, non considera la variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità normalmente solo in via di larga approssimazione. Quello che occorre, invece, e che è sufficiente, è che si abbia una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate disegnate in vista di un unico fine. La programmazione può essere, perciò, ab origine anche priva di specificità, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale - con l’inevitabile riserva di adattamento alle eventualità del caso - come mezzo diretto al conseguimento di un unico scopo o intento, parimenti prefissato e sufficientemente specifico. È significativo che anche la Corte costituzionale sentenza n. 183 del 2013 abbia precisato che il giudizio sulla continuazione fra reati richiede sia accertato che il soggetto agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria. 2.3. L’accertamento dell’esistenza di un momento ideativo e deliberativo comune a più reati va compiuto, come ordinariamente avviene per l’accertamento degli stati soggettivi, secondo le regole della prova indiziaria. Sono stati individuati una serie di elementi il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico rilevanti nell’accertamento in parola, da considerare con apprezzamento analitico, quanto alla specifica rilevanza di ciascuno, e complessivo, che li valuti in maniera unitaria. 2.4. La particolarità del caso in esame - si tratta di numerosi reati, connessi all’utilizzo di assegni bancari di provenienza furtiva, giudicati separatamente giustifica ulteriori considerazioni. 2.4.1. Quanto alla determinazione del tempus commissi delicti con riferimento al reato di ricettazione, si deve avere riguardo alla data di ricezione del titolo, momento che, di regola, è diverso dai riferimenti cronologici, ordinariamente indicati nel capo di imputazione, relativi alla data del reato presupposto e alla data dell’utilizzo del titolo. Il giudice del merito - sia in sede di cognizione che in esecuzione - deve quindi esaminare gli atti onde accertare, anche con approssimazione, la data in cui il contestato reato di ricettazione è stato consumato. 2.4.2. Il giudice del procedimento ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. ha potestà cognitiva sul fatto ai fini del giudizio sulla continuazione ed esercita il conseguente potere di commisurazione della pena peraltro, tali potestà sono condizionate dal giudicato formatosi nei giudizi di cognizione. Quanto alla cognizione del fatto, a parte il limite negativo costituito dalla circostanza che il giudice della cognizione non si sia già espresso negando il riconoscimento della continuazione, essa va compiuta alla stregua di quanto emerso nei giudizi di cognizione e oggetto di accertamento giudiziale irrevocabile la norma di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. impone l’acquisizione di copia delle sentenze di condanna. Quanto alla commisurazione della pena, il giudice dell’esecuzione è vincolato, nella individuazione del reato più grave e della relativa pena, a quanto ritenuto dai giudici della cognizione, mentre nella determinazione degli aumenti di pena e della pena complessiva non può disporre in pejus rispetto a quanto valutato in sede di cognizione Sez. Un. 24.11.2016, Nocerino . In particolare, è stato affermato che la ratio dell’istituto del riconoscimento della continuazione in executivis risiede nell’esigenza di evitare conseguenze sfavorevoli per l’imputato dipendenti dal principio processuale del favor separationis, con l’ulteriore corollario che la cognizione del giudice dell’esecuzione non potrebbe comportare una revisione in pejus del giudicato. Dunque, nel caso in cui i giudici della cognizione abbiano già riconosciuto la continuazione fra i reati oggetto del giudizio loro demandato, in sede esecutiva se ne dovrà tener conto anche in relazione al giudizio sulla continuazione. Risulterebbe illogica una decisione, in esecuzione, che non considerasse la già riconosciuta continuazione fra alcuni reati. 3. L’ordinanza impugnata, nel motivare la decisione di rigetto, presenta profili di contraddittorietà. Infatti, viene valorizzato negativamente l’ampio periodo temporale da novembre 2005 a novembre 2011 nel corso del quale i reati sarebbero stati consumati, ma nel contempo viene riconosciuta la continuazione tra reati la cui consumazione viene pure collocata in un lungo periodo, dal 25.2.2008 al 3.3.2011. Inoltre, viene negata la continuazione fra reati che risultano, oggettivamente, commessi in epoca temporale prossima, come si desume dal provvedimento impugnato che elenca reati commessi anche a distanza di poche settimane l’uno dall’altro. Da altro punto di vista, viene valorizzato come indicatore positivo la provenienza dei titoli dal medesimo furto, senza peraltro considerare che la sentenza 11.4.2014 del Tribunale di Palermo aveva riconosciuto la continuazione tra ricettazioni di assegni provenienti da due diversi furti. 4. Va dunque pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo, in diversa composizione Corte Cost. 3.7.2013, n. 183 . Il giudice di rinvio dovrà prendere in considerazione anche il reato di cui alla sentenza pronunciata in data 24.11.2011 dal Tribunale di Palermo, provvedendo sulla relativa richiesta della parte inoltre nel giudizio sulla continuazione gli elementi di fatto valorizzati devono essere considerati in maniera coerente, senza incorrere nelle contraddizioni indicate al punto 3. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.