Quando la minaccia di possedere un’arma non configura un’aggravante

Nel delitto di rapina, l’aggravante della detenzione di un’arma non può trovare applicazione nel caso in cui il rapinatore non ne abbia manifestato palesemente il possesso, giacché l’effetto intimidatorio non ricorre qualora la disponibilità dell’arma sia solo apparente.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 51911/18 depositata il 16 novembre. Una rapina e la minaccia di possedere un’arma. Durante una rapina un malvivente intimava il suo complice a palesare l’arma in loro possesso ma quest’ultimo mostrava unicamente un rigonfiamento suggestionale” sotto la felpa indossata. Solo uno dei due individui era stato identificato e così condotto innanzi al Tribunale territoriale il quale ne riconosceva la penale responsabilità per i delitti di rapina e legioni aggravate. Nonostante fosse stato rilevato che l’arma non era mai stata effettivamente palesata, ossia che i delinquenti avevano unicamente minacciato di possedere un’arma, la condanna era confermata anche dalla Corte d’Appello ritenendo che l’effetto intimidatorio esercitato nei confronti dei soggetti offesi, costituiva un’aggravante. L’imputato ricorre dunque in Cassazione deducendo la violazione dell’art. 628, comma 2, n. 1, c.p. lamentando che l’aggravante dell’uso dell’arma non sia applicabile qualora la disponibilità dell’arma sia simulata, come avvenuto nel caso di specie. L’effetto intimidatorio. La Corte d’appello nella sua pronuncia ha richiamato l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale per la configurabilità dell’aggravante di detenzione dell’arma, è sufficiente che l’agente ne abbia minacciato il possesso provocando così un effetto intimidatorio verso le persone offese, essendo irrilevante che l’arma sia stata effettivamente impugnata. Tuttavia, gli Ermellini sottolineano che suddetto principio può trovare applicazione solo se l’agente si trovi nell’effettiva disponibilità di un’arma, e non anche nella diversa in cui tale disponibilità sia stata solo apparente . Nel caso di specie, l’arma non veniva palesata, dunque il percorso argomentativo della sentenza impugnata risulta viziato poiché la Corte d’Appello aveva ritenuto configurabile l’aggravante in questione unicamente su un’estrema valorizzazione delle dichiarazioni delle persone offese circostanza insufficiente per dimostrare l’effettivo possesso dell’arma nelle mani del rapinatore. I Giudici di legittimità accolgono in ricorso con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 settembre – 16 novembre 2018, n. 51911 Presidente Prestipino – Relatore Pazienza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23/06/2017, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale Napoli in data 08/11/2016, con rito abbreviato, con la quale M.V. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai delitti di rapina e lesioni aggravate a lui ascritti on concorso con persona non identificata. 2. Ricorre per cassazione il M. , deducendo 2.1. Violazione dell’art. 628, comma 3, n. 1, in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’uso dell’arma, non applicabile qualora - come nel caso di specie - la disponibilità di quest’ultima sia stata solo simulata. Si contesta, in particolare, il riferimento della Corte d’Appello alla giurisprudenza che non richiede che l’arma sia impugnata, purché il malvivente sia palesemente armato non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, quanto riportato in sentenza sulla dinamica dei fatti come riferiti dalla persona offesa secondo cui, dopo che il M. invitò il complice a cacciare la pistola, quest’ultimo alzò la felpa mettendo in evidenza un rigonfiamento all’altezza della cintola dei pantaloni , anche per l’assenza di qualsiasi effetto intimidatorio derivato dalla condotta del complice. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Si censura in particolare la valutazione di mera equivalenza delle attenuanti generiche, formulata senza tenere adeguato conto dell’incensuratezza, della piena ammissione degli addebiti e del comportamento successivo attività lavorativa prestata in regime di arresti domiciliari . Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è fondato. 2. Deve invero darsi seguito all’insegnamento giurisprudenziale secondo cui la semplice simulazione della disponibilità di un’arma non integra l’aggravante di cui all’art. 628, comma secondo, n. 3 , cod. pen. Sez. 2, n. 32427 del 23/06/2010, Musticchio, Rv. 248358, relativa ad una fattispecie in cui uno dei rapinatori, nel corso della rapina, aveva tenuto una mano in tasca, simulando la disponibilità di un’arma . Su tali basi ermeneutiche, il percorso argomentativo della sentenza impugnata risulta viziato, poiché da un lato la Corte territoriale ha ritenuto configurabile l’aggravante valorizzando le dichiarazioni della persona offesa, secondo cui uno dei rapinatori, all’invito del complice a cacciare la pistola , si era alzato la felpa mettendo in evidenza un rigonfiamento nella cintola dei pantaloni, così simulando il possesso di una pistola e bloccando ogni reazione della vittima cfr. pag. 3 d’altro lato, la Corte d’Appello ha richiamato adesivamente l’indirizzo giurisprudenziale che, per la configurabilità dell’aggravante, ritiene necessario che l’agente sia palesemente armato, senza peraltro la necessità che l’arma sia impugnata per minacciare, essendo sufficiente che la stessa sia portata in modo da poter intimidire Sez. 3, n. 55302 del 22/09/2016, D., Rv. 268535 . È tuttavia evidente che il principio qui appena richiamato può trovare applicazione solo se l’agente si trovi nella effettiva disponibilità di un’arma, e non anche nella diversa in cui tale disponibilità sia stata solo apparente. 3. Tale contraddittorietà interna al percorso argomentativo impone l’annullamento, in parte qua, della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Napoli perché - alla luce delle risultanze disponibili - si pronunci nuovamente sulla sussistenza dell’aggravante in questione, tenuto conto dei principi in questa sede affermati. Deve peraltro dichiararsi, in questa sede, l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità del M. per il reato a lui ascritto. L’accoglimento del primo motivo implica, evidentemente, l’assorbimento in questa sede delle ulteriori doglianze formulate in ordine al trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante dell’arma, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Napoli, assorbiti gli altri motivi sul trattamento sanzionatorio. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.