L’avvocato sprovvisto di un efficiente sistema PEC è responsabile dei vizi in cui incorre la notifica

La mancata consegna della notifica dell’atto di citazione in appello effettuata tramite posta elettronica certificata è imputabile unicamente al difensore destinatario che non si sia dotato dei necessari strumenti informatici ovvero che non abbia dato seguito all’avviso del deposito telematico generato dal portale dei servizi telematici, essendo queste carenze imputabili unicamente all’avvocato sprovvisto di un efficiente sistema informatico.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 51464/18 depositata il 14 novembre. Un padre abusante. Un padre di famiglia era condannato sia in primo che in secondo grado alla pena di 6 anni di reclusione per aver violentato la figlia minorenne. Avverso la sentenza della Corte d’Appello l’imputato tramite il proprio difensore di fiducia ricorre in Cassazione deducendo come unico motivo l’omessa notifica del decreto di citazione per l’appello l’atto in questione era inviato tramite posta elettronica certificata ma effettivamente non era ricevibile dal difensore dell’imputato poiché sprovvisto di PEC. A chi è imputabile la mancata notificazione? Nonostante l’accuratezza presentata dal nuovo sistema di notificazione telematico è possibile che la notifica inviata tramite PEC non risulti correttamente perfezionata è interessante capire a tal punto se la mancata consegna sia imputabile o meno al destinatario. In quest’ultima ipotesi si avrà applicazione degli artt. 148 ss. c.p.c. ossia la notifica avverrà nelle forme ordinarie previste dal codice di rito. Diversamente, nel caso in cui la mancata consegna della notifica telematica sia ascrivibile al destinatario, quest’ultimo sarà comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, poiché il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici in modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito . Orbene, data la predisposizione di svariati strumenti a tutela della buona riuscita della notificazione telematica, come predisposti dall’art. 2 d.m. n. 44/2011, il mancato recapito della notifica al difensore dell’imputato sprovvisto di una casella di posta elettronica certificata, è imputabile unicamente a costui. Nel caso di specie la Suprema Corte rigetta il ricorso, ritenendo che il giudizio di secondo grado sia stato validamente instaurato pur non essendo stata recapitata all’avvocato dell’imputato la notifica a mezzo PEC, essendo questo un vizio imputabile unicamente al medesimo difensore.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 giugno – 14 novembre 2018, n. 51464 Presidente Cavallo – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17 gennaio 2017, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del 29 novembre 2012 con cui il G.U.P. presso il Tribunale di Napoli aveva condannato P.A. alla pena di 6 anni di reclusione, siccome colpevole del reato di cui agli art. 81, 609 bis comma 1 e comma 2 n. 1 e 609 ter comma 1 n. 5.cod. pen., perché, in tempi diversi, abusando delle condizioni di inferiorità psico-fisiche determinate dalla tenera età della figlia P.R. , nata il omissis , costringeva la bambina, che non aveva compiuto ancora 10 anni, a subire atti sessuali, consistiti in toccamenti e baci al seno, alla vagina e ai glutei e nel penetrarla nell’ano, fatti commessi dal [] al omissis in omissis . 2. Avverso la sentenza della Corte di appello partenopea, P. , tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui eccepisce l’omessa notifica all’imputato del decreto di citazione per l’appello, nonché l’intempestività della notifica in suo favore, in quanto avvenuta senza il rispetto del termine di venti giorni prima della data fissata per il giudizio. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 1. Dalla disamina degli atti processuali, consentita dalla tipologia dell’unica doglianza sollevata nel ricorso, risulta innanzitutto che l’imputato P. ha eletto domicilio presso il difensore di fiducia, avv. Dino Mazzoli ciò premesso, deve rilevarsi che il decreto di citazione per il giudizio di appello, in vista dell’udienza fissata il 17 gennaio 2017, è stato notificato, con lo strumento della P.E.C., il 23 dicembre 2016 all’imputato presso il difensore di fiducia, avv. Dino Mazzoli. La predetta notifica non è stata tuttavia correttamente recapitata al destinatario, in quanto, come emerge dalla relativa attestazione presente nel fascicolo processuale, il difensore non era munito di P.E.C., per cui la notifica è avvenuta mediante il deposito dell’atto in Cancelleria in data 23 dicembre 2016 alle 13.29. Orbene, alla luce di tali risultanze, l’eccezione difensiva deve ritenersi destituita di fondamento, dovendosi al riguardo richiamare la condivisa affermazione di questa Corte Sez. 3, n. 54141 del 24/11/2017, Rv. 271834 , secondo cui, in tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata c.d. p.e.c. , deve considerarsi regolarmente perfezionata la comunicazione o la notificazione mediante deposito in Cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del d.l. 16 ottobre 2012, n. 179, nel caso in cui la mancata consegna del messaggio di P.E.C. sia imputabile al destinatario. Con la pronuncia sopra richiamata si è infatti osservato che la P.E.C., ovvero il sistema che, per espressa previsione di legge d.P.R. 11 Febbraio 2005, n. 68 , consente di inviare e-mail con valore legale equiparato a una raccomandata con ricevuta di ritorno, è stata espressamente prevista in ambito penale dall’art. 16, comma 4, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 cod. proc. pen., comma 2 bis, art. 149 e 150 cod. proc. pen., e art. 151 c.p.p., comma 2 , si trattai come è noto, di un sistema di posta elettronica che, grazie ai protocolli di sicurezza utilizzati, è in grado di garantire la certezza del contenuto, non rendendo possibili modifiche al messaggio, sia per quanto riguarda i contenuti che eventuali allegati, riferendosi il termine certificata al fatto che il gestore del servizio del mittente rilascia a costui la ricevuta di accettazione nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata art. 6, comma 1, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, recante Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 . Allo stesso modo, il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario fornisce al mittente, all’indirizzo elettronico del mittente, la ricevuta di avvenuta consegna art. 6, comma 2 , la quale, per espressa previsione normativa, fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione . Nell’ipotesi in cui, invece, il messaggio di posta elettronica certificata non risulti consegnabile, il gestore comunica al mittente, entro le ventiquattro ore successive all’invio, la mancata consegna tramite un avviso secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’articolo 17 art. 8 . Nel caso in cui il messaggio inviato tramite P.E.C. non risulti consegnabile, la disciplina cambia a seconda della causa della mancata consegna, se, cioè, essa sia imputabile o meno al destinatario ed invero, se la notificazione non si è potuta effettuare telematicamente per causa non imputabile al destinatario, ai sensi del comma 8 dell’art. 16 del citato d.l. n. 179 del 2012, si applicano gli articoli 148 e seguente del codice di procedura penale e la notificazione, pertanto, avviene nelle forme ordinarie previste dal codice di rito. Diverse sono le conseguenze nel caso in cui la notifica sia ascrivile al destinatario del messaggio al riguardo occorre infatti evidenziare che l’art. 20 del D.M. 21/02/2011 n. 44 regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 , disciplina i requisiti della casella di P.E.C. del soggetto abilitato esterno , imponendo a costui una serie di obblighi finalizzati a garantire il corretto funzionamento della casella di P.E.C. e, quindi, la regolare ricezione dei messaggi di posta elettronica. In particolare, il soggetto abilitato esterno, cioè nel caso che ci occupa, il difensore della parte privata, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. m del D.M. n. 44 del 2011 a è tenuto a dotare il terminale informatico utilizzato di software idoneo a verificare l’assenza di virus informatici per ogni messaggio in arrivo e in partenza e di software antispam idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi di posta elettronica indesiderati comma 2 b è tenuto a conservare, con ogni mezzo idoneo, le ricevute di avvenuta consegna dei messaggi trasmessi al dominio giustizia comma 3 c è tenuto a munirsi di una casella di posta elettronica certificata che deve disporre di uno spazio disco minimo definito nelle specifiche tecniche di cui all’articolo 34 comma 4 d è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare l’effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione comma 5 . Di conseguenza, la mancata consegna è imputabile al destinatario nel caso in cui costui, venendo meno agli obblighi previsti dall’art. 20 del D.M. n. 44 del 2011, non si doti dei necessari strumenti informatici ovvero non ne verifichi l’efficienza. Orbene, quando la trasmissione via P.E.C. non vada a buon fine per causa imputabile al destinatario, trova applicazione l’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012, secondo cui le notificazioni e le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in Cancelleria . Peraltro, nonostante la mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito. Ai sensi dell’art. 16, comma 4, del D.M. n. 44 del 2011, infatti, nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori . La notifica depositata in Cancelleria è a disposizione dell’avvocato, il quale, per estrarne copia, ex art. 40, comma 1 ter, del d.P.R. n. 115 del 2002, deve pagare il decuplo dei diritti normalmente dovuti. Alla luce di tale premessa, deve ritenersi validamente instaurato per il giudizio di secondo grado il rapporto giuridico processuale, non essendo stata recapitata la notifica a mezzo p.e.c. del decreto di fissazione del giudizio di appello per causa imputabile al destinatario dell’atto, non avendo cioè attivato la p.e.c. il difensore dell’imputato, presso cui P. aveva validamente eletto domicilio. Né appare pertinente il richiamo difensivo alla notifica eseguita a mezzo posta ordinaria all’imputato il 10 gennaio 2017, costituendo quest’ultima una cd. notifica di cortesia , non dovuta all’imputato, nei confronti del quale la notifica del decreto era da ritenersi perfezionata con il deposito in Cancelleria dell’atto, deposito avvenuto il 23 dicembre 2016, dunque nel rispetto del termine minimo per la comparizione di 20 giorni stabilito dall’art. 601 comma 3 cod. proc. pen 4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento e di provvedere alla rifusione delle spese processuali del grado in favore della costituita parte civile P.R. , liquidate come da dispositivo. Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile P.R. , che liquida in complessivi in Euro 2.500, oltre ad accessori di legge e spese generali, con distrazione in favore dello Stato.