Confische e beni di lusso

L'applicazione dell'art. 240, comma 3, c.p. nel caso di confisca di un bene, detenuto dall'imputato per contratto di leasing, risolto all'applicazione della misura e, quindi, rimasto nella titolarità della concedente postula la prova della non estraneità al reato di quest'ultima. Deve ritenersi estraneo al reato anche chi ne abbia tratto un vantaggio, in una condizione soggettiva di buona fede.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50907/18, depositata l'8 novembre. Il caso. Il GIP presso il Tribunale competente, in qualità di giudice dell'esecuzione, respingeva l'opposizione avanzata da una società cooperativa avverso l'ordinanza di rigetto della revoca della confisca di un'imbarcazione. Questa era stata sottoposta a sequestro preventivo con decreto e, successivamente, a confisca con sentenza divenuta irrevocabile. Alla base del rigetto, due distinte motivazioni la distinzione tra confisca per equivalente e confisca per prevenzione, con esclusione della violazione del ne bis in idem, e la malafede della società che aveva concesso il bene in leasing società incorporata nella cooperativa ricorrente . Alla concedente veniva rimproverato, infatti, di aver accordato un finanziamento ad una società individuale per l'acquisto di un bene di lusso, senza legami con le attività dell'impresa e sulla base di una liquidità di provenienza non dimostrata. La cooperativa ricorreva per cassazione, lamentando la violazione del principio di preclusione processuale, avendo il gip escluso la stessa sulla base della diversità strutturale dei due procedimenti a parere dell'impugnante, infatti, la preclusione può configurarsi anche ove sussistano procedimenti non identici, ma che coinvolgano gli stessi soggetti e beni. In secondo luogo, il ricorrente eccepiva carenza motivazionale sull'estraneità al reato e la buona fede, rilevando come le stesse fossero state sovrapposte nella valutazione del giudice, pur non coincidendo. La Corte ha ritenuto fondato il ricorso. Preclusione ed efficacia processuale. Gli Ermellini hanno preliminarmente analizzato il primo motivo di doglianza, ricordando come ormai sia stato superato il filone di pensiero tradizionale secondo cui il procedimento penale e quello prevenzionale sono autonomi e differenti. La categoria della preclusione processuale, principio secondo cui una questione già decisa con provvedimento irrevocabile non può essere oggetto di nuova delibazione per esigenze di certezza del diritto e di efficacia processuale trova pertanto applicazione. Ci sono, però, dei limiti, da rinvenire nelle ipotesi in cui le informazioni probatorie disponibili e i profili di puro diritto siano differenti. Il Collegio non ha ritenuto sufficienti gli elementi a supporto della sopra esposta doglianza. Estraneità e buona fede. Diversamente, i Giudici del Palazzaccio hanno ritenuto fondata la seconda rimostranza. In particolare, gli Ermellini hanno sottolineato come il gip competente abbia respinto l'opposizione, riproponendo in toto la motivazione dell'ordinanza. Quest'ultima si era concentrata sul fatto che la società di leasing avesse concesso il bene ad un soggetto, poi condannato per aver pagato i canoni con il profitto di illeciti tributari, senza valutare la provenienza lecita della liquidità o condurre le verifiche necessarie. Il gip non ha fornito alcuna motivazione ulteriore, rispetto alle valutazioni della ricorrente, non ponendo in essere alcuna verifica in relazione alla malafede della concedente. La Corte ha ricordato che l'applicazione dell'art. 240, comma 3, c.p. nel caso di confisca di un bene, detenuto dall'imputato per contratto di leasing, risolto all'applicazione della misura e, quindi, rimasto nella titolarità della concedente postula la prova della non estraneità al reato di quest'ultima. L'estraneità si ritiene integrata in assenza di partecipazione all'illecito e di conseguimento di vantaggi dallo stesso. Il Collegio ha, inoltre, chiosato, rilevando che il terzo deve dimostrare la titolarità dello ius in re aliena e attestare il proprio affidamento incolpevole, qualora voglia far valere le proprie ragioni ha, poi, evidenziato la Corte che deve ritenersi estraneo al reato anche colui che abbia tratto un vantaggio dall'illecito, versando in una condizione soggettiva di buona fede intesa come affidamento incolpevole, verificabile sulla base di indici specifici allegati dall'interessato . Stante la carenza motivazionale sulla malafede della ricorrente, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l'ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 luglio – 8 novembre 2018, n. 50907 Presidente Mazzei – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza in data 4 dicembre 2017 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, respingeva l’opposizione proposta dal legale rappresentante della società cooperativa Banco Popolare, nella quale era stata incorporata la s.p.a. Banca Italease, a sua volta incorporante la società Mercantile Leasing s.p.a., avverso l’ordinanza dello stesso giudice del 17 ottobre 2016 di rigetto della sua richiesta di revoca della confisca dell’imbarcazione Riva Opera 85, targata XXXXXXX e denominata OMISSIS , sottoposta, dapprima a sequestro preventivo con decreto, quindi a confisca con la sentenza emessa dallo stesso ufficio giudiziario in data 6 ottobre 2014, irrevocabile il 18 dicembre 2015, pronunciata nei confronti di Sp.Lu. ed altri. 1.1 A fondamento della decisione, il Giudice rilevava la diversità della confisca per equivalente rispetto alla confisca di prevenzione, istituti basati su diversi presupposti e su un differente regime di tutela del terzo proprietario del bene espropriato, con la conseguente esclusione della violazione del divieto di bis in idem rispetto al provvedimento adottato dalla Corte di appello di Brescia del 20 febbraio 2015 in base alla valutazione della sola sproporzione tra il valore dell’imbarcazione, concessa in leasing con contratto di natura traslativa, e dei canoni da corrispondere ed i redditi dichiarati dal contraente, senza che in quella sede fosse stata esaminata la condizione di buona fede del terzo concedente. Ribadiva le osservazioni contenute nell’ordinanza investita dall’opposizione in ordine alla prova della malafede della società che aveva accordato alla ditta individuale di Sp.Lu. il finanziamento per l’acquisto di un bene di lusso non funzionalmente collegato con la sua attività d’impresa, in assenza di garanzie, ma sulla base della dimostrata disponibilità in capo al debitore di liquidità di provenienza non dimostrata come lecita, con accettazione dell’addebito dei canoni su conto corrente intestato al padre del debitore, soggetto all’apparenza ancor non solvibile, alimentato da versamenti in denaro contante in prossimità della scadenza del canone. 1.2 Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso il Banco Popolare soc. coop. per chiederne l’annullamento per i seguenti motivi a inosservanza del principio di preclusione processuale, omessa e illogica motivazione. Il giudice dell’esecuzione ha respinto entrambi i motivi di opposizione proposti dalla difesa. Quanto all’esclusione della preclusione derivante dall’adozione sullo stesso bene della confisca di prevenzione, ha rilevato che la diversità strutturale dei due procedimenti impedirebbe l’operatività in sede penale di una preclusione conseguente all’accertamento già compiuto dal giudice della prevenzione. Tale ragionamento si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, essendo la preclusione un principio generale dell’ordinamento, esso è configurabile anche in ipotesi di moduli procedimentali non identici , quali il procedimento di prevenzione e quello di esecuzione, a condizione che i processi coinvolgano le stesse parti e gli stessi beni, i contenuti della cognizione siano omogenei, le finalità giuridiche comuni, identico il thema decidendum. Le contrarie osservazioni dell’ordinanza si basano soltanto sulla diversità dei dati probatori considerati nei due procedimenti e dei poteri di partecipazione del terzo, mentre avrebbe dovuto essere considerata l’identità dei soggetti coinvolti, del bene confiscato, della vicenda della locazione finanziaria, delle circostanze di fatto valutate dai giudici sulla scorta delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza del 25 maggio 2012, delle finalità giuridiche perseguite dai due provvedimenti. Non è pertinente il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite n. 4880 del 26 giugno 2014 anche perché la stessa giurisprudenza ha equiparato la confisca penale a quella di prevenzione, posizione di cui l’ordinanza non ha tenuto conto, rendendo una motivazione illogica e carente. b Omessa motivazione in merito ai profili di estraneità al reato e di buona fede della ricorrente. L’ordinanza ha sovrapposto i due profili della non estraneità al reato del Banco Popolare e dell’assenza di buona fede, senza tenere in considerazione che estraneità al reato e buona fede costituiscono due concetti autonomi. Con l’atto di opposizione si era evidenziato come già le Sezioni Unite con la sentenza Bacherotti avessero chiarito che il tema della buona fede rileva soltanto se il terzo non possa dirsi estraneo al reato per avere tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, mentre se sia pacifica l’estraneità oggettiva del terzo al fatto di reato, indagare sulla buona fede è adempimento superfluo, trovando già piena operatività il limite alla confisca stabilito dall’art. 240 cod. pen., comma 3. Si era altresì chiesto al giudice di motivare adeguatamente sul punto anche in merito alle deduzioni difensive concernenti l’assenza di un coinvolgimento, in termini di utilità e di vantaggio, nel reato contestato allo Sp. , mentre il Giudice ha ribadito soltanto il precedente provvedimento, rigettando la censura in modo apodittico, senza farsi carico di argomentare sull’inadeguatezza o inconsistenza dei rilievi critici mossi con l’opposizione. Difetta dunque la motivazione, non integrata dal rinvio per relationem a quella della prima ordinanza a fronte di specifici argomenti difensivi, meritevoli di risposta. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Sante Spinaci, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento. 1. Il primo motivo di ricorso prospetta il vizio di violazione di legge perché l’adozione della decisione contestata sarebbe stata preclusa dall’intervento di provvedimento dal tenore opposto, assunto nel procedimento finalizzato all’emissione di misure di prevenzione nei riguardi di Luigi Sp. ed altri, definito con decreto della Corte di appello di Brescia del 20 febbraio 2015, già divenuto irrevocabile. 1.1 L’ordinanza in esame ha respinto l’eccezione in funzione di due ordini di ragioni una teorica ed in punto di diritto, basata sulla diversità dei procedimenti ablativi per forma, adempimenti processuali, accertamenti presupposti e finalità perseguite, oltre che per la differente partecipazione del terzo proprietario del bene, motivo per il quale l’ordinamento consente l’applicazione disgiunta dei due istituti della confisca di prevenzione e di quella penale che si traduce nell’imposizione di un duplice vincolo sul medesimo bene ai sensi dell’art. 30 D.Lgs. n. 159/2011 l’altra legata al raffronto delle decisioni assunte nelle due distinte sedi giudiziarie. Da tale disamina comparativa ha dedotto che il provvedimento adottato dalla Corte di appello di Brescia nel procedimento di prevenzione era giustificato dalla ritenuta insufficienza della sproporzione tra valore del bene concesso in leasing ed ammontare dei canoni annui da corrispondere da parte dell’usuario e redditi dichiarati da quest’ultimo a dare dimostrazione della malafede del terzo proprietario concedente e della consapevolezza del pagamento dei canoni mediante risorse di origine illecita, mentre nel procedimento esecutivo si erano apprezzati specifici profili di anomalia nella fase precontrattuale e contrattuale della vicenda negoziale intercorsa con la società dante causa dell’opponente, quale l’assenza di garanzie, la stipulazione con impresa individuale dello Sp. e non con la sua persona fisica, fruitrice del bene oggetto della vicenda negoziale, l’utilizzo per il versamento dei canoni di rapporto bancario intestato a soggetto terzo e non solvibile e di fondi versati in contanti in prossimità della scadenza dei singoli ratei, profili fattuali ai quali l’analisi dei giudici della prevenzione non si era estesa. Ha quindi aggiunto che anche nel decreto della Corte di appello di Brescia erano stati fatti salvi gli effetti del provvedimento di sequestro preventivo, già superato dalla confisca disposta con la sentenza del 6 ottobre 2014, divenuta successivamente irrevocabile il 18 dicembre 2015. 1.2 È noto che sul tema l’orientamento di questa Corte Cass. sez. 1, n. 20476 dell’11/02/2013, Capriotti ed altri, rv. 255383 sez. 1, n. 25846 del 04/05/2012, Franco e altri, rv. 253080 sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, D’Alessandro, rv. 254278 è approdato in tempi recenti al superamento della tradizionale opinione che pretendeva pienamente autonomi e reciprocamente indifferenti il procedimento penale e quello prevenzionale e, ferma restando la non riferibilità alle misure di prevenzione, stante la natura della decisione che le applica, della nozione di giudicato in senso proprio, ha riconosciuto l’applicabilità anche a questo settore della categoria della preclusione processuale , già utilizzata a disciplinare le possibili interferenze fra procedimenti distinti nel campo degli incidenti cautelari e di esecuzione qualora una questione sia stata già decisa con provvedimento irrevocabile, per esigenze di certezza del diritto e di efficienza processuale, la stessa non può formare oggetto di rinnovata delibazione in diverso procedimento, salva l’ipotesi di deduzione di nuovi elementi non previamente considerati. Come affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella pronuncia n. 36 del 13/12/2000, Madonia, rv 217668, i cui principi conservano immutata validità, la preclusione processuale derivante da precedente decisione cautelare, esecutiva o in materia di prevenzione opera con effetti più limitati rispetto alla sentenza passata in giudicato, perché circoscritta alle sole questioni dedotte senza estendersi a quelle deducibili e resta condizionata dalla situazione di fatto in concreto, oggetto di valutazione. In conseguenza si è affermato che l’intervenuta revoca di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativo a beni di un indagato quando fondato sull’accertamento della legittima provenienza dei cespiti e non determinato da ragioni di mero rito, preclude la possibilità di sottoporre a confisca di prevenzione, - che presuppone appunto la mancata giustificazione nell’ingresso del patrimonio o nella disponibilità per effetto dell’impiego di risorse lecite -, gli stessi beni se si accerti identità di decisione nei riguardi della stessa parte in ordine alla medesima questione di diritto, ovvero di fatto. Se, invece, differiscano le informazioni probatorie disponibili e valutate ai fini dell’adozione delle due distinte misure ablative in relazione ad autonomi aspetti di fatto, oppure a profili di puro diritto, l’effetto preclusivo della precedente decisione favorevole non inibisce l’adozione della successiva di segno opposto. 1.3 A tali principi si ritiene di dover dare seguito va altresì ribadito che la questione della violazione del divieto di bis in idem integra un’ipotesi di error in procedendo con il conseguente consentito accesso in via diretta agli atti anche da parte del giudice di legittimità, al fine di apprezzare i presupposti di fatto del tema dibattuto Sez. U., n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, rv. 220092 . Tuttavia, siffatta estensione dei poteri cognitivi della Suprema Corte non esenta la parte interessata dall’onere di indicare con precisione i dati identificativi della decisione preclusiva e di produrne copia con attestazione di definitività, nonché di specificare i coincidenti accertamenti condotti sul piano fattuale nei due autonomi procedimenti. Nel caso specifico, tale onere non è stato assolto in modo appropriato e quindi l’operatività dell’effetto preclusivo, collegato alla precedente decisione di rigetto della richiesta di confisca, è ostacolata dal rilievo per il quale l’assunto difensivo non si sorregge sull’analitica illustrazione del provvedimento favorevole richiamato nel suo oggetto materiale e nella relativa motivazione, resi indisponibili per questa Corte, con il conseguente difetto di autosufficienza dell’impugnazione, e postula in modo assertivo ed indimostrato la perfetta coincidenza di natura giuridica, presupposti ed effetti del provvedimento impugnato rispetto alla decisione di diniego della misura di prevenzione reale. In realtà, a tal fine è insufficiente sostenere che la disamina compiuta dal giudice dell’esecuzione si sia arrestata al dato formale inerente i diversi poteri partecipativi riconosciuti al terzo nei due giudizi la censura prospetta una circoscrizione della verifica giudiziale inesistente, dal momento che l’ordinanza impugnata ha esaminato i differenti accertamenti condotti nei due provvedimenti comparati e ha giustificato con compiutezza argomentativa e razionalità il giudizio di non coincidenza. Né può bastare al riguardo affermare che entrambe le decisioni abbiano apprezzato le risultanze delle indagini condotte dalla G.d.F. la deduzione è priva di una concreta indicazione dei relativi contenuti rappresentativi e dell’iter decisionale del provvedimento favorevole, il che impedisce materialmente la conduzione di qualsiasi raffronto con quanto statuito nella fase di esecuzione e di rinvenire i dedotti profili di concreta corrispondenza di oggetto e di ragioni giustificative. 2. Il secondo motivo è, invece, fondato. 2.1 I giudice dell’esecuzione sul merito delle questioni sollevate con l’opposizione ha ritenuto di dover richiamare testualmente la motivazione della precedente ordinanza, con la quale aveva trattato diffusamente il tema della buona fede della società Mercantile Leasing s.p.a. che aveva stipulato, in posizione di concedente, il rapporto di locazione finanziaria traslativa in atto al momento dell’imposizione del sequestro penale nei confronti del beneficiario, Luigi Sp. , ed aveva concluso che la disponibilità dell’imbarcazione Riva Opera 85, ottenuta mediante la stipulazione del negozio, è frutto del reinvestimento di risorse derivanti da attività delittuosa. Aveva in particolare evidenziato che lo Sp. risultava avere impiegato per il pagamento dei canoni dovuti il profitto dei reati tributari, ascrittigli ed accertati nel procedimento penale conclusosi con la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Cremona del 6 ottobre 2014, definitiva il 18 dicembre 2015 e, come tale, soggetto a confisca obbligatoria per equivalente ai sensi dell’art. 322-ter cod. proc. pen Dal canto suo, sempre secondo il giudice dell’esecuzione, la concedente aveva acconsentito a stipulare l’atto esclusivamente in base alla capacità dello Sp. di disporre di liquidità, le cui fonti lecite non erano state documentate, né documentabili, sicché, per tali ragioni, non poteva ritenersi che Mercantile Leasing s.p.a. fosse estranea al reato e che avesse contratto in buona fede i comuni accertamenti preliminari alla conclusione del contratto avrebbero rivelato la sproporzione tra il valore del bene ed i redditi dichiarati del conduttore finanziato e le avrebbero consentito di percepire l’utilizzo di risorse finanziarie non derivanti da redditi leciti. Per contro, la contrattazione non era stata condotta in termini usuali ed erano stati omessi i doverosi controlli all’atto della stipula del contratto a riprova di tale assunto ha indicato la concessione in locazione dell’imbarcazione alla ditta individuale di Luigi Sp. e non alla sua persona fisica, sebbene il natante fosse estraneo all’attività d’impresa il contrasto di tale intestazione con le indicazioni fornite dall’Unità di informazione finanziaria per l’Italia del 17 gennaio 2011, dirette agli operatori del settore leasing per evitare operazioni di riciclaggio la capacità reddituale del conduttore e la sua solvibilità valutate non in base a quanto emergente dalle dichiarazioni dei redditi personali, dai risultati incongrui ed insufficienti a coprire i costi dei canoni,ed alla sua partecipazione in società la cui attività era cessata da tempo l’assenza di fideiussione o di altra garanzia reale o personale l’addebito dei canoni a persone diverse dal contraente il rifiuto di altre imprese di addivenire alla conclusione del contratto. 2.2 Le censure di omessa motivazione sono fondate. La mera trascrizione nel contesto della motivazione dell’ordinanza in verifica delle argomentazioni, pur diffusamente articolate ed analitiche, contenute nel primo provvedimento investito dall’opposizione del terzo creditore, non offre adeguata e congrua replica alle obiezioni della parte, critiche nei confronti dell’accertamento della non estraneità al reato della società Mercantile Leasing s.p.a., intesa quale strumentalità della condotta negoziale all’attività illecita dell’altro contraente, per la sua erroneità in punto di diritto e l’assenza di adeguati riscontri probatori, posto che nessuno dei suoi amministratori o funzionari era rimasto coinvolto nelle indagini riguardanti lo Sp. , per fatti di reato commessi a distanza di anni,ed il contratto era stato poi risolto per inadempimento del conduttore con grave perdita per la concedente. Il che già di per sé, integrandosi il vizio di mancanza di motivazione, induce all’accoglimento del ricorso. 2.3 A ciò devono però aggiungersi ulteriori osservazioni critiche al percorso motivazionale dell’ordinanza in esame, perché privo di qualsiasi considerazione in ordine alla specifica vicenda negoziale all’origine del provvedimento ablativo che si è chiesto di revocare. Il Collegio ritiene opportuno precisare in punto di fatto che, per quanto emergente dagli atti, l’imbarcazione confiscata allo Sp. , dopo essere oggetto del contratto di leasing stipulato l’8 novembre 2005 ed essere stata acquisita in proprietà dalla concedente in data 19 ottobre 2005, era stata trasferita nella disponibilità del conduttore sino a che, insorto l’inadempimento nel pagamento dei ratei del canone pattuito, la società concedente, identificabile nel Banco Popolare soc. cooperativa a seguito di fusione per incorporazione dell’originaria contraente Mercantile Leasing s.p.a., aveva risolto in via anticipata il contratto con lettera raccomandata del 16 luglio 2011. Da tali evenienze e dalla sicura qualificazione del negozio come di tipo traslativo, ossia caratterizzato dalla postergazione del trasferimento del diritto di proprietà sul bene al completo adempimento dell’obbligazione di corresponsione del prezzo, che remunera al tempo stesso la concessa fruizione e la finale cessione, prezzo da versarsi in soluzioni distinte mediante rateizzazione per un bene che conserva un valore residuo superiore a quello convenuto per l’opzione, con la conseguente soggezione del rapporto alla disciplina della vendita con riserva di proprietà Cass. civ., sez. 5, n. 8110 del 29/03/2017, rv. 643609 sez. 1, n. 13418 del 23/05/2008, rv. 603905 sez. 3, n. 18195 del 28/08/2007, rv. 599608 , è pacifico che la società ricorrente ha attivato l’incidente di esecuzione e ha dato prova di essere proprietaria del bene, oggetto di confisca, per rivendicarne l’appartenenza e scongiurare l’effetto ablativo. 2.4 Da tali presupposti fattuali discende che, a norma dell’art. 240, comma 3, cod. pen., la possibilità di confiscare un bene, già detenuto dall’imputato in esecuzione di un contratto di leasing e risolto al momento dell’imposizione della misura, quindi rimasto sempre nella titolarità giuridica della società concedente, rispetto alla quale non si è mai adombrata la eventualità di un’intestazione fittizia, volta a mascherare la reale appartenenza al soggetto sottoposto a procedimento penale, definito con di sentenza di patteggiamento-, postula la prova della non estraneità al reato della concedente all’atto della conclusione del contratto. 2.4.1 Sul punto, va richiamato l’insegnamento di questa Corte, per il quale la nozione di estraneità al reato va ravvisata, non soltanto nella mancata partecipazione al fatto illecito nella forma del concorso di persone, ma anche nella mancata derivazione di vantaggi e utilità dall’attività criminosa del reo. Sul terzo che pretenda il riconoscimento delle proprie ragioni dominicali sul bene confiscato grava un onere dimostrativo di ampia portata, in quanto deve offrire dimostrazione della titolarità dello ius in re aliena , dell’assenza di complicità con l’autore del reato, della mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa Sez. Un., n. 9 del 28/04/1999, Bacherotti, rv. 213511 e della situazione soggettiva di non conoscibilità - anche facendo ricorso alla diligenza richiesta dalla situazione concreta - del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dall’agire criminoso altrui, identificabile nell’affidamento incolpevole, prodotto da una situazione di apparenza, che rende scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza Sez. U, n. 9 del 28/04/1999, Bacherotti, cit. sez. 1, n. 12317 11/02/2005, Fuoco e altro, rv. 232245 sez. 1, n. 29197 del 17/06/2011, Italfondiario s.p.a., rv. 250804 sez. 1, n. 44515 del 27/04/2012, Intesa San Paolo S.p.a. e altri, rv. 253827 sez. 1, nr. 45260 del 27/9/2013, Italfondiario, rv. 257913 sez. 3, n. 29586 del 17/02/2017, Castelli, rv. 270250 . Si è precisato che va confermata l’estraneità al reato anche nei casi in cui, pur nella ricorrenza della oggettiva acquisizione da parte del terzo di un vantaggio in dipendenza dell’altrui comportamento criminoso, questi abbia versato in una condizione soggettiva di buona fede. Per meglio sostanziare tale requisito, nella consapevolezza della insufficienza definitoria del richiamo al concetto, proprio dell’ordinamento civile, di buona fede quale ignoranza di ledere l’altrui diritto, si è sostenuto che la buona fede va intesa quale affidamento incolpevole del terzo, da desumersi sulla base di elementi specifici dimostrati dall’interessato, posto che tale condizione costituisce la base giustificativa della tutela accordatagli a fronte del provvedimento autoritativo di confisca adottato dal giudice. 2.4.2 Raffrontata l’ordinanza impugnata con tali nozioni emergono quali punti critici la mancata considerazione della specifica tipologia di schema contrattuale che ha regolato l’utilizzo del bene confiscato e l’omessa conduzione di adeguate verifiche in ordine alla relazione riscontrabile tra la conclusione del negozio di leasing e la tipologia di reato ascritto al conduttore alle forme di manifestazione di quell’attività illecita, come delineate nell’imputazione del processo penale già definito, di cui il giudice ha pure dato atto a pag. 6 della sua motivazione ai relativi periodi di commissione della stessa attività rispetto all’impiego di risorse finanziarie da parte del condannato nell’adempimento del contratto. In particolare, dalla stessa esposizione delle vicende fattuali ad esso connesse non può non rilevarsi che, a fronte della conclusione del contratto in data 8 novembre 2005 con un versamento immediato di un importo pari a circa il 40% del corrispettivo, le condotte di evasione fiscale risulterebbero contestate dal 2008 in poi, il che avrebbe richiesto di meglio investigare le modalità del reimpiego nel rapporto negoziale dei proventi dell’attività di evasione delle imposte. In definitiva, anche sul piano della coerenza logica del ragionamento valutativo, deve censurarsi il giudizio di malafede espresso dal giudice dell’esecuzione, non confrontatosi con le obiezioni difensive e frutto della considerazione della disponibilità di risorse in misura eccedente quanto emergente dalle dichiarazioni dei redditi, riguardanti però esercizi per i quali andava verificato quanto meno se fosse stata contestata ed accertata la commissione di illeciti tributari. Ne discende l’annullamento del provvedimento con rinvio al G.i.p. del Tribunale di Cremona per nuovo esame che dovrà colmare le lacune riscontrate. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.i.p. del Tribunale di Cremona.