“Palpeggiamenti” e violenza: atto sessuale subito interrotto e il fatto è di minore gravità

Confermata la condanna per l’imputato che ha abusato della moglie in metropolitana. Per i Giudici, però, l’episodio è valutabile come di minore gravità”, poiché centrali sono stati i palpeggiamenti” violenti da lui compiuti mentre l’atto sessuale vero e proprio è durato pochi istanti ed è stato quindi secondario.

L’incubo domestico per la moglie ha il drammatico apice con l’abuso compiuto ai suoi danni dal marito in metropolitana. Ricostruita la delicata vicenda, l’uomo è colpevole non solo per i reati di maltrattamenti e lesioni ma anche per il reato di violenza sessuale. Su quest’ultimo fronte, però, i giudici – anche in Cassazione – considerano l’episodio avvenuto nei locali della metro di minore gravità”. Per i magistrati, difatti, si è trattato di una violenza di invasività contenuta, sia per le sue modalità , consistite in palpeggiamenti e in una penetrazione vaginale subito interrotta, sia perché sviluppatasi in un contesto familiare Cassazione, sentenza n. 49994/18, sez. III penale, depositata il 6 novembre . Invasività. Linea di pensiero comune per il GUP del Tribunale e per i giudici della Corte d’Appello l’uomo viene ritenuto colpevole per i reati di maltrattamenti, lesioni e violenza sessuale compiuti a danno della moglie e condannato anche a versare un adeguato risarcimento alla donna. In secondo grado, però, a sorpresa, i magistrati ritengono l’episodio della violenza sessuale, verificatosi nei locali della metropolitana, caratterizzato da minore gravità , con annessa riduzione di pena. Nonostante questo dato, però, l’uomo decide comunque di ricorrere in Cassazione, contestando addirittura l’esistenza stessa del reato di violenza sessuale . In questa ottica l’uomo prova a contestare l’attendibilità della moglie, anche alla luce del fatto che ella ha dato due versioni diverse, in venti giorni, dell’episodio verificatosi in metropolitana. Questa linea difensiva non convince però i Giudici del Palazzaccio, i quali, invece, mostrano di condividere la valutazione compiuta prima in Tribunale e poi in appello, valutazione che ha spinto a ritenere assolutamente veritieri i racconti fatti dalla donna, che era atterrita e non era in grado di opporre alcuna resistenza perché il marito, dopo averla toccata nelle parti intime, essendosi contemporaneamente abbassato i pantaloni, aveva realizzato un inizio di rapporto sessuale vaginale, poi interrotto per sua stessa scelta . Peraltro, osservano ancora i magistrati, proprio la circostanza che l’uomo ha cessato il rapporto sessuale completo pochi istanti dopo l’inizio ha consentito di inquadrare l’episodio come fatto di minore gravità , poiché si è tratto di una violenza di invasività contenuta . E a questo proposito viene ribadito anche in Cassazione che elemento centrale sono i palpeggiamenti violenti della zona genitale e del seno subiti dalla donna, mentre la penetrazione vaginale ha avuto una rilevanza del tutto episodica e secondaria .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 maggio – 6 novembre 2018, n. 49994 Presidente Cavallo – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 27 giugno 2017 la Corte d'appello di Milano ha parzialmente riformato, riconoscendo l'ipotesi di minore gravità riguardo al delitto di cui al capo e dell'imputazione, la sentenza emessa il 22 novembre 2016 dal Gup del Tribunale di Milano, che aveva condannato l'imputato anche al risarcimento del danno alla parte civile, all'esito di giudizio abbreviato, per i reati di maltrattamenti, lesioni e violenza sessuale, compiuti a danno della moglie. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di ricorso, si censura l'erronea applicazione delle norme processuali sulla valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa con riferimento ai fatti di reato di cui agli artt. 609 bis, ultimo comma, 609 ter, quinto comma, 609 quater, cod. pen., nonché il vizio di motivazione in ordine all'attendibilità della persona offesa e alla ritenuta responsabilità per i reati di violenza sessuale di cui al capo c dell'imputazione. Si censura, altresì, la mancata assunzione di una prova decisiva a discarico. La difesa sostiene che vi sarebbero notevoli contraddizioni emergenti dalle dichiarazioni della persona offesa, la quale in un primo momento avrebbe descritto i fatti di violenza come palpeggiamenti dei genitali a seguito dello strappo degli abiti e, in un secondo momento, a distanza di appena venti giorni, avrebbe riferito circa un rapporto sessuale completo, svoltosi senza alcuna lacerazione degli abiti. A tale proposito, si sostiene che il pubblico ministero avrebbe inopinatamente scelto di aderire a quanto descritto con la prima dichiarazione accusatoria, contestando, pertanto, la condotta di strappo dei vestiti e palpeggiamento, mentre il Gup, respingendo le richieste probatorie di sequestro degli abiti strappati e di acquisizione delle riprese delle telecamere poste in prossimità del luogo di commissione del fatto, avrebbe riconosciuto la responsabilità dell'imputato per i fatti riportati nella seconda dichiarazione, e dunque per la costrizione a subire un rapporto sessuale completo senza lo strappo dei vestiti. Si censura, dunque, la contraddittorietà della motivazione dei giudici di secondo grado che, senza valutare la scarsa attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, avrebbero illogicamente operato una fusione tra le due ricostruzioni, affermando la responsabilità dell'imputato per i fatti contestati in imputazione palpeggiamento e strappo degli abiti , pur riconoscendo la sussistenza del rapporto sessuale completo, assente nel capo di imputazione ed oggetto del secondo racconto della persona offesa. Il vizio della motivazione dedotto sarebbe confermato anche dalle ulteriori contraddizioni della persona offesa, che avrebbe giustificato le discrasie tra le proprie dichiarazioni sulla base della vergogna provata durante il primo incontro con le forze dell'ordine, durante il quale era stata interrogata esclusivamente da agenti di sesso maschile, mentre, durante il secondo interrogatorio, era stata ascoltata alla presenza di un'agente di sesso femminile che aveva contribuito a tranquillizzarla e metterla a proprio agio. Secondo la difesa, tale ricostruzione confermerebbe l'inattendibilità della persona offesa, perché, come risulterebbe dagli atti, la persona offesa era sempre stata interrogata da agenti uomini, tanto nel primo quanto nel secondo incontro, ed invero, solo nel primo era stata ascoltata alla presenza di una psicologa. La Corte d'appello avrebbe, altresì, omesso di svolgere valutazioni specifiche circa l'attendibilità della vittima rispetto ai fatti di violenza, nonostante le palesi incongruenze tra le dichiarazioni rese, essendosi limitata a vagliare la predetta attendibilità solo con riferimento agli episodi di maltrattamenti contestati nei capi a e b di imputazione. Secondo la difesa, un'attenta analisi in merito ai fatti di cui all'art. 609 bis cod. pen. sarebbe stata necessaria, per la totale assenza di riscontri esterni rispetto a quanto raccontato si ricordano, a tale proposito, il diniego di acquisizione degli indumenti strappati e delle riprese delle telecamere della metropolitana, nonché la totale assenza di riferimenti alla violenza sessuale nel verbale di pronto soccorso, ove si sarebbe fatto mero riferimento ad un trauma al gomito destro e la mancanza del requisito della reiterazione, precisione e coerenza di quanto riportato dalla donna. A tale proposito, si ritengono insufficienti le argomentazioni volte a giustificare le discrasie emergenti dalle due diverse versioni perché frutto della difficolta di ricordare e riferire circa i particolari di un argomento drammatico come quello in esame, perché, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del gravame, le predette incongruenze non avrebbero riguardato particolari di poco conto, bensì aspetti fondamentali del comportamento illecito contestato. 2.2. - Con un secondo motivo di ricorso, si censurano la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., per la mancata dichiarazione di nullità parziale della sentenza di primo grado con riferimento alla violenza sessuale, nonché il vizio di motivazione sul medesimo profilo. In particolare, la Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità parziale della sentenza, visto il palese difetto di corrispondenza tra i fatti contestati nell'imputazione e i fatti per cui l'imputato sarebbe stato condannato a titolo di violenza sessuale. Sul punto, invero, la Corte d'appello avrebbe argomentato in modo illogico e apparente, operando una scorretta 'fusione' tra le due versioni fornite dalla persona offesa, ma aderendo, almeno formalmente, alla versione cristallizzata nell'imputazione. Tale adesione, secondo le prospettazioni difensive, avrebbe necessitato di specifiche argomentazioni in ordine all'elemento dello 'strappo' degli indumenti, centrale nella prima versione fornita dalla persona offesa e sul quale la Corte d'appello avrebbe completamente evitato di confrontarsi. La medesima adesione, contrasterebbe, altresì, con il rapporto sessuale completo, riconosciuto dai giudici del gravame come sussistente sebbene non ricompreso nell'imputazione. 2.3. - Con un terzo motivo di ricorso, si deducono vizi della motivazione in ordine alla valutazione dell'attendibilità della persona offesa, con riferimento ai reati di maltrattamenti e lesioni. Secondo la prospettazione difensiva, la Corte d'appello avrebbe immotivatamente ritenuto non credibili le dichiarazioni rese dall'imputato rispetto agli asseriti maltrattamenti compiuti ai danni della moglie, laddove, la sua versione sarebbe stata coerente e reiterata, a differenza di quella della donna che, anche sul punto, avrebbe presentato profili di falsità e contraddizione. In particolare, secondo la difesa, le testimonianze acquisite avrebbero smentito quanto sostenuto, in modo incoerente e ondivago, dalla persona offesa in ordine al quotidiano ed eccessivo abuso di alcool da parte del marito, che sarebbe stato ubriaco anche durante l'esercizio della violenza. Contraddittorio, a parere della difesa, risulta anche il riferimento alle modalità con cui l'imputato era solito percuotere la moglie, dal momento che nelle prime dichiarazioni la persona offesa avrebbe fatto riferimento a calci e pugni , mentre, nelle versioni successive avrebbe precisato che l'uomo era solito percuoterla solo con le mani. Ancora, quanto riferito dalla vittima sarebbe stato smentito dall'assenza di riscontri esterni, che potessero dimostrare la sussistenza di lesioni conseguenti a percosse, ma anche da quanto riferito dai testimoni che avevano escluso di aver assistito o avuto conoscenza di liti coniugali al di fuori del limite della tollerabilità. L'imputato, invece, avrebbe sempre reso dichiarazioni reiterate, logiche e coerenti. Essenziale sotto questo aspetto, risulterebbe quanto riportato dal ricorrente rispetto ad alcuni episodi durante i quali lui stesso aveva chiamato di sua iniziativa le forze dell'ordine, come facilmente verificabile da parte degli investigatori e come confermato dal parroco, teste dell'accusa. A tale proposito, la difesa lamenta, altresì, la mancata acquisizione, a seguito di richiesta effettuata con l'atto di appello, del verbale di accesso dell'imputato alla Caserma dei CC di V. Umbria a Milano nel 2013. 2.4. - Infine, si censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis cod. pen., sul rilievo che la Corte d'appello avrebbe completamente omesso di motivare in ordine al gravame diretto a censurare la statuizione del primo giudice, che aveva negato il riconoscimento delle circostanze, sulla base della reiterazione della grave condotta e per la mancanza di confessione da parte dell'imputato, senza considerare gli elementi positivi addotti dalla difesa per giustificare il riconoscimento delle predette attenuanti. L'omissione della Corte d'appello sul punto, secondo le prospettazioni difensive, sarebbe ancora più significativa, avendo i giudici del gravame riqualificato i fatti nell'ipotesi di maggiore tenuità di cui al terzo comma dell'art. 609 bis cod. pen., così elidendo il principale elemento addotto dal primo giudice per giustificare il diniego delle generiche, ossia la gravità delle condotte reiterate. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è infondato. 3.1. - I primi due motivi di doglianza - che possono essere considerati unitariamente, perché attengono entrambi alle concrete modalità della condotta di violenza sessuale e all'attendibilità della persona offesa sul punto - sono infondati. La tesi difensiva secondo cui la Corte d'appello avrebbe operato una indebita fusione tra le dichiarazioni della persona offesa rese in momenti diversi, e fra loro in contraddizione, è smentita dalla lettura del provvedimento impugnato. La Corte tiene correttamente conto del rilievo difensivo secondo cui la vittima, in un primo momento, avrebbe descritto i fatti di violenza come palpeggiamenti dei genitali a seguito dello strappo degli abiti e, in un secondo momento, a distanza di appena venti giorni, avrebbe riferito circa un rapporto sessuale completo, svoltosi senza alcuna lacerazione degli abiti. E, sul punto, correttamente evidenzia che non vi è alcuna mancanza di correlazione fra la contestazione e la sentenza, perché le divergenze tra le due versioni dei fatti fornite della persona offesa sono solo apparenti e, comunque, causate dalla difficoltà di rammentare i drammatici accadimenti. Con valutazione di merito sufficientemente logica e coerente - e, dunque, insindacabile in questa sede - la Corte territoriale afferma che le due versioni dei fatti possono trovare un punto di convergenza nella circostanza che la donna era atterrita e non era in grado di opporre alcuna resistenza, perché l'imputato, dopo averla toccata nelle parti intime, essendosi contemporaneamente abbassato i pantaloni, aveva realizzato un inizio di rapporto sessuale vaginale, poi interrotto per sua stessa scelta il tutto nell'ambito di una condotta caratterizzata da palpeggiamenti. E proprio la circostanza che fosse stato l'imputato a cessare il rapporto sessuale completo pochi istanti dopo l'inizio ha portato i giudici di secondo grado a inquadrare il fatto nell'ipotesi attenuata di cui al terzo comma dell'art. 609 bis cod. pen., correttamente evidenziando che si era trattato di una violenza di invasività contenuta, sia per le sue modalità, sia perché sviluppatasi comunque in un contesto familiare. Si tratta, in conclusione, di una ricostruzione che corrisponde sostanzialmente a quella riportata nel capo dell'imputazione, incentrata sui violenti palpeggiamenti della zona genitale e del seno, avendo avuto la penetrazione vaginale una rilevanza del tutto episodica e secondaria come del tutto secondaria risulta la questione se e in che misura l'imputato avesse strappato o semplicemente tolto con violenza i vestiti della vittima. 3.2. - Anche il terzo motivo di ricorso - riferito alla valutazione dell'attendibilità della persona offesa, per i reati di maltrattamenti e lesioni - è infondato. Contrariamente a quanto affermato dalla difesa, la Corte d'appello ha argomentato in modo chiaro e coerente le ragioni per cui ha ritenuto non credibili le dichiarazioni rese dall'imputato, secondo il quale vi erano state liti nel corso delle quali i coniugi si erano insultati e spintonati, ma egli non aveva mai colpito la donna con calci, pugni o altro. Tali dichiarazioni si pongono, infatti, in contrasto con la minuziosa e univoca descrizione dei innumerevoli episodi di offesa minaccia e violenza descritti dalla persona offesa nel 2004, curante la gestazione del figlio, per gelosia nell'estate 2013, sempre per gelosia l'11 maggio 2016, dopo un litigio fra l'indagato e il parroco il 20 maggio 2016, con strattonamenti, percosse e minacce l'8 giugno 2016, con minacce sul luogo di lavoro e cor la successiva violenza sessuale. Si tratta, del resto, di dichiarazioni che - contrariamente a quanto assento dalla difesa - trovano ampi riscontri nelle sommarie informazioni rese dal parroco, oltre che da Li., Ce. Al., Re., nonché nel certificato medico per il reato di lesioni. Né la difesa chiarisce sufficientemente quale peso probatorio possa avere, di fronte a un tale quadro istruttorio l'acquisizione del verbale di accesso dell'imputato alla Caserma dei CC di V. Umbria a Milano nel 2013, negata dalla Corte appello, essendo tanto pacifico quanto irrilevante che l'imputato abbia, in quella circostanza, chiamato le forze dell'ordine. 3.3. - Il quarto motivo di doglianza - relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche - è inammissibile per genericità. La difesa non prospetta compiutamente, neanche con il ricorso per cassazione, l'esistenza concreta di elementi positivi di giudizio che sarebbero stati scorrettamente valutati o pretermessi dalla Corte d'appello, limitandosi a richiamare l'incensuratezza dell'imputato, di per sé irrilevante a norma dell'art. 62 bis cod. pen., nonché a formulare mere asserzioni circa la ricerca di un'attività lavorativa e l'inizio di un percorso psicoterapeutico elementi che, a prescindere dalla loro veridicità, devono essere comunque ritenuti recessivi rispetto alla gravità delle condotte caratterizzate da una continuità di umiliazioni e vessazioni. Né il riconoscimento dell'ipotesi di minore gravità della violenza sessuale fa venire meno la negatività del quadro complessivamente delineato. 4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente ala pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Ce. An., da liquidarsi in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Ce. An., che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.