Il regime della sorveglianza speciale e la violazione delle prescrizioni imposte

Al sorvegliato speciale possono essere imposte prescrizioni ravvisate come necessarie dal giudice, avendo riguardo alle esigenze di difesa sociale e al controllo della pericolosità del soggetto.

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 49731/18 depositata il 30 ottobre. La vicenda. La Corte d’Appello confermava la decisione emessa dal GUP che dichiarava l’imputato colpevole dei reati di cui all’art. 9, comma 2, l. n. 1423/1956. All’imputato, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di un anno, era stata imposta, tra le altre, la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni. Nonostante ciò, l’imputato partecipava a comizi elettorali tenuti nella piazza del paese. Ricorre così in cassazione l’imputato sostenendo che in quei giorni non si trovava in piazza per i comizi ma per attraversarla e raggiungere la sua abitazione. La sorveglianza speciale. Innanzitutto va sottolineato che la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità della l. n. 1423/1956, art. 9, commi 1 e 2, sollevato con riferimento agli artt. 3 e 25 Cost per quanto riguarda il reato di contravvenzione agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale i cui elementi identificativi non sarebbero predeterminati dalla legge. La norma di cui all’art. 5 della legge di cui sopra stabilisce che al sorvegliato speciale possono essere imposte prescrizioni ravvisate come necessarie dal giudice avendo riguardo alle esigenze di difesa sociale, ma così facendo il giudice potrebbe imporre limitazioni di diritti costituzionalmente garantiti. Tali limitazioni configurano un vizio non della norma di legge ma del provvedimento con cui sono state imposte e avverso tale provvedimento possono essere esperiti i mezzi di impugnazione di cui all’art. 4 della medesima legge. Quindi, alla luce di quanto detto, si considera conforme al principio di legalità di cui all’art. 25 Cost., la norma che consente di vietare al sorvegliato speciale la partecipazione a pubbliche riunioni. Nel caso in esame, tuttavia, non vi è alcuna indicazione da trarre dal provvedimento impugnato sulle ragioni di limitazione alla libertà di partecipazione a riunioni pubbliche e comizi elettorali e non si comprende in che termini e in che misura la limitazione a un diritto politico e democratico trovi giustificazione nell’imposizione di una prescrizione come quella indicata oggetto di contestazione. Una tale prescrizione si risolve in una compressione generalizzata di una libertà fondamentale senza correlarsi all’aspetto della ritenuta pericolosità sociale dell’imputato e soprattutto senza dire quale ragione si renda necessaria per l’attuazione del controllo della pericolosità. Viene così annullata la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 giugno – 30 ottobre 2018, n. 49731 Presidente Mazzei – Relatore Cairo Ritenuto in fatto e in diritto 1. La Corte di appello di Bari, il 18/11/2016, confermava la decisione emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lucera in data 21/12/2011 con cui S.N. era stato dichiarato colpevole dei reati di cui all’articolo 9 comma 2 L. n. 1423/56, commessi il 2 e l’8 maggio 2011. Unificati i fatti ex articolo 81 cpv. cod. pen. e, concessa la diminuente del rito abbreviato, al S. era stata inflitta la condanna alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. 1.1. All’imputato, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di un anno,era stata imposta, tra le altre, la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni. Il S. , tuttavia, contravveniva partecipando ai comizi elettorali, che si erano tenuti in piazza omissis , nei giorni omissis . 2. Ricorre per cassazione S.N. , a mezzo del difensore di fiducia, e deduce quanto segue. 2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta violazione ed erronea applicazione dell’articolo 9, comma 2, legge n. 1423/56. Il ricorrente assume che, in entrambe le circostanze, non si trovava nella piazza per assistere al comizio elettorale, ma stava tentando di attraversarla, per poter raggiungere la sua abitazione. Il transito era stato reso difficoltoso a causa della presenza della folla che gli aveva imposto di fermarsi temporaneamente, sino al suo diradarsi. Del resto, non era stato possibile accertare se il ricorrente avesse effettivamente partecipato alla pubblica riunione in quanto i militari verbalizzanti non lo avevano fermato, ma ne avevano semplicemente notato la presenza in piazza. Non erano presenti nella specifica vicenda indicatori o elementi che potessero dare conto di una volontà di ribellione o di trasgressione alla prescrizione imposta al medesimo ricorrente, di tal che la pena inflitta era anche sproporzionata. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente si duole per la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione. Il giudice a quo aveva ritenuto che la presenza del S. in piazza permettesse di inferire l’intento di ascoltare il comizio ciò nonostante si fosse dato atto che i militari verbalizzanti non erano riusciti ad avvicinarlo per la presenza del gran numero di persone. Inoltre, si è ribadito che, alla fine del comizio, il S. era stato perso di vista e ciò a dimostrazione del fatto che, diradatasi la folla, il ricorrente era riuscito nel suo intento di proseguire verso l’abitazione. Era stato violato, pertanto, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio . 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della mancanza e dell’illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio in quanto non era stata motivata la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione. La Corte territoriale si era limitata semplicemente a sottolineare quanto sostenuto dal giudice di primo grado, richiamando la particolare gravità dei fatti e l’assenza di alcun segno di resipiscenza nel corso del processo. 3. Il ricorso è fondato per quanto si passa ad esporre. 3.1. Va premesso che la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 9, commi 1 e 2, e successive modifiche, sollevate, in riferimento all’articolo 3 Cost. e articolo 25 Cost., comma 2, per quanto concerne il reato di contravvenzione agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale i cui elementi di identificazione non sarebbero predeterminati dalla legge cfr., in particolare, sent. n. 126 del 1983, ord. n. 57 del 1989 . Si è tradizionalmente affermato che l’elenco delle prescrizioni contenute nella L. n. 1423 del 1956, articolo 5, comma 3, è espresso in termini assolutamente tassativi e non lascia alcun margine di discrezionalità al giudice che deve applicare in ogni caso a tutti i sorvegliati speciali . La norma generale di cui al medesimo articolo 5, comma 4, stabiliva che al sorvegliato speciale possono essere imposte soltanto le prescrizioni e tutte le prescrizioni , ravvisate come necessarie dal giudice avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale si tratta delle prescrizioni la cui osservanza appariva strumentalmente necessaria per la tutela di siffatte esigenze, tenuto conto della pericolosità specifica del sorvegliato, accertata nel processo di prevenzione, nonché, ovviamente, nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti. Qualora, poi, applicando la L. n. 1423 del 1956, articolo 5, comma 4, e successive modifiche, che consente di imporre al sorvegliato speciale tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale , il giudice avesse imposto limitazioni di diritti costituzionalmente garantiti in casi e per fini non previsti dalla Costituzione stessa, tali limitazioni configuravano un vizio non della norma di legge, bensì del provvedimento con cui erano state imposte. Avverso il provvedimento sarebbero stati esperibili i mezzi di impugnazione di cui all’articolo 4, legge medesima. Venendo specificamente alle ipotesi in cui la disposizione di legge non impediva la limitazione di libertà costituzionalmente garantite, quali quelle previste dagli artt. 21 e 49 Cost. egualmente si era ritenuto conforme a Costituzione, in via di principio, un sistema di prevenzione dei fatti illeciti, a garanzia dell’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti tra i cittadini, subordinatamente, peraltro, al rispetto del principio di legalità e all’esistenza della garanzia giurisdizionale. La Corte Costituzionale aveva avuto modo di pronunziarsi con numerose sentenze cfr. sentenza n. 2 del 1956, n. 177 del 1980, n. 126 del 1983 . La Consulta ha ritenuto che le censure riferiti agli artt. 21 e 49 Cost. fossero manifestamente infondate, posto che la prescrizione la cui trasgressione è assunta ad elemento materiale del reato previsto e punito dalla L. n. 1423 del 1956, articolo 9,e successive modifiche, è quella di non partecipare a pubbliche riunioni o comizi elettorali, corrispondente, per la parte che rileva, al disposto dell’articolo 5, comma 3, medesima legge. cfr. Corte Costituzionale, sentenze n. n. 27 del 1957, n. 427 del 1989, n. 109 del 1982, n. 225 del 1983, e n. 126 del 1983 . Si è, pertanto, tradizionalmente ritenuto conforme al principio di legalità di cui all’articolo 25 Cost. la norma L. 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 5 e 9, e successive modifiche che consentirebbe di vietare al sorvegliato speciale la partecipazione a pubbliche riunioni e comizi, elettorali, senza porre alcun criterio direttivo. La violazione non è stata in generale ritenuta sussistente poiché essa esprimerebbe il divieto di partecipare a pubbliche riunioni in termini assolutamente tassativi senza margini di discrezionalità per il giudice, che deve applicare la prescrizione in ogni caso , ossia a tutti i sorvegliati speciali Sez. 1, n. 44846 del 05/11/2008, Solferino, Rv. 242275, che ha, al pari, escluso ogni profilo di frizione costituzionale . 3.2. Gli orientamenti segnalati non possono, tuttavia, prescindere dalla recente posizione espressa da Corte EDU sentenza 23/2/2017 Grande Camera, De Tommaso . La decisione anzidetta ha rivisto il sistema della prevenzione personale e ha espresso dubbi sulla stessa qualità della legge fondamentale, in punto di sua prevedibilità e tassatività. Tra essi dubbi ha annotato la Corte EDU, oltre agli aspetti specificamente inerenti le prescrizioni generiche del cd. honeste vivere e del rispettare le leggi, ha esaminato le prescrizioni che comportano un divieto assoluto di partecipare a pubbliche riunioni. Sul punto si è osservato che la legge non indica alcun limite temporale o spaziale a una libertà fondamentale e la restrizione risulta interamente lasciata alla discrezionalità del giudice cfr. punto 123 della sentenza richiamata . La stessa Corte edu ha espresso l’avviso secondo cui la legge lascia alle giurisdizioni un largo potere di apprezzamento, senza indicare con chiarezza l’estensione e le modalità di esercizio di esso potere. Del resto, la Corte costituzionale aveva già avuto modo di spiegare come esulasse dai suoi compiti una concreta determinazione degli elementi di fatto che concorrevano di volta in volta a realizzare la fattispecie del reato di violazione degli obblighi della sorveglianza speciale. Si trattava di un’indagine che spettava al giudice penale e che avrebbe dovuto tenere conto del carattere eccezionale delle limitazioni di libertà in questione che incidevano su diritti costituzionalmente presidiati. Da ciò non può prescindere la considerazione che i contatti da vietare tra soggetti sono solo quelli che incrementino il rischio di pericolosità, o che si pongano in continuità con l’anzidetto profilo che la misura di prevenzione intende controllare,e non in generale le attività in cui si risolve l’esercizio di diritti di spessore superprimario, di presidio costituzionale, che integrano il patrimonio fondamentale del cittadino e che, tra l’altro, permettono l’esercizio delle libertà individuali in uno Stato democratico. 3.3. Nella specie, alcuna indicazione si trae dal provvedimento impugnato sulle ragioni di limitazione alla libertà di partecipare a riunioni pubbliche e comizi elettorali e non si intende in che termini e in che misura la limitazione a un diritto politico e democratico, come quello di partecipare a comizi elettorali, trovi giustificazione nella imposizione di una prescrizione come quella indicata e oggetto di contestazione. Essa prescrizione così strutturata si risolve, allora, alla luce del contenuto ampio ed elastico in una compressione generalizzata di una libertà fondamentale, senza correlarsi all’aspetto della ritenuta pericolosità sociale e senza, soprattutto, dire per quale ragione essa imposizione si renda, nel singolo caso concreto, necessaria in funzione dell’attuazione del controllo di pericolosità. In questa logica, pertanto deve ritenersi che, il giudice sia obbligato ad una lettura convenzionalmente conforme del quadro normativo interno di riferimento e che nella fattispecie il fatto non sussista Sez. U, n. 40076 del 27/04/2017, Rv. 270496 . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.