Cerca il riavvicinamento con l’ex fidanzata: condannato per stalking

L’imputato non ha accettato la rottura della relazione e ha ossessionato l’ex compagna, facendole anche visite a sorpresa sul luogo di lavoro di lei. Per i Giudici ci si trova di fronte a un chiaro caso di stalking.

Lei ribadisce il suo ‘no’ alla possibilità di ritornare con lui, che però non accetta la rottura della relazione e la pedina letteralmente, oltre a tempestarla di telefonate e di messaggi, per provare un riavvicinamento. Inevitabile la condanna – a dodici mesi di reclusione – per l’ex compagno, resosi protagonista, secondo i Giudici, di una condotta perfettamente catalogabile come stalking Corte di Cassazione, sentenza n. 48874/18, depositata il 25 ottobre . Visite. Univoca per i Giudici la lettura della vicenda e l’analisi dei singoli episodi che hanno visto protagonista l’accusato. Nessun dubbio, in sostanza, anche in Cassazione, sul fatto che egli abbia compiuto atti persecutori ai danni dell’ex compagna, costretta a subire pedinamenti, minacce e molestie telefoniche. Evidente il fatto che l’accusato, pur a distanza di tempo dalla rottura della relazione, abbia continuato a cercare un riavvicinamento con l’ex compagna. E in questa ottica si collocano le ripetute visite, anche a sorpresa, di lui sul luogo di lavoro di lei l’invio di messaggi dal contenuto minaccioso e offensivo – senza risposta da parte di lei – le continue chiamate telefoniche, nonostante lei avesse spiegato che non era sua intenzione riprendere il rapporto . Tutti comportamenti che, concludono i giudici, sono catalogabili come stalking . Definitiva quindi la condanna, punito l’ex compagno con un anno di reclusione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 giugno – 25 ottobre 2018, n. 48874 Presidente Doronzo – Relatore De Marinis Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Cagliari ha parzialmente riformato la condanna, alla pena ritenuta di giustizia, pronunciata, all'esito di giudizio ordinario, dal Tribunale in sede, nei confronti di Fa. Su., per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., commesso ai danni della persona offesa Gi. Ca. a lui precedentemente legata da relazione sentimentale. 1.1. La Corte territoriale ha qualificato parte del fatto di cui al capo a , commesso sino al 24 febbraio 2009, quale molestie ex art. 660 cod. pen., dichiarandone l'estinzione per prescrizione, nonché ha ridotto la pena, per le residue condotte, in anni uno di reclusione, confermando, nel resto, l'impugnata sentenza, anche con riferimento alla condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. 2. Avverso l'indicata sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, con il quale ha dedotto tre vizi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità, circa la connessione tra i reati ed in ordine alla proposta eccezione di intempestività della querela. Il ricorrente assume che la querela è tardiva posto che è intervenuta solo in data 11 settembre 2010, a fronte di condotte persecutorie interrotte nel mese di novembre 2009, quindi oltre il prescritto termine di sei mesi. Erra la Corte di appello laddove, ai fini della tempestività della querela, ha reputato rilevante l'ultima condotta, quella di cui al capo b , in quanto considerata connessa al delitto di cui al capo a , dunque idonea a spostare il dies a quo del termine per proporre querela. I fatti, secondo il ricorrente, invece, non sono connessi, ma si tratta di condotte autonome relative, queste ultime al momento di riavvicinamento della coppia, avvenuto nel giugno del 2010, dunque dopo diversi mesi di assoluta assenza di contatti tra i due. Al contrario, il momento cui fare riferimento, a parere del ricorrente, non dovrebbe essere quello del 17 agosto 2010 momento nel quale viene richiesta la restituzione del danaro, speso dal Burano per un viaggio, al quale la persona offesa, dopo aver aderito, aveva deciso di non partecipare , data del sms contenente la minaccia di morte, ma quello delle precedenti richieste, finalizzate ad ottenere la restituzione di danaro, risalenti ai mesi di giugno/luglio 2010. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione, con riferimento alle condotte persecutorie che, per la Corte territoriale, hanno integrato il delitto di cui al capo a . Si assume che le visite sul luogo di lavoro, i pedinamenti, gli sms, compresi tra il novembre 2008 ed il febbraio 2009, non possono integrare il delitto, mentre i restanti episodi più significativi ai fini della qualificazione della condotta, non sono collocati temporalmente in modo preciso dai testi. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia la mancata assunzione di prova decisiva, con riferimento alla perizia sul cellulare della parte lesa, necessaria, secondo il ricorrente, a provare il contenuto e la sequenza degli sms, scambiati tra le parti, anche al momento in cui vi è stato il riavvicinamento. Appare, infatti, a parere del ricorrente, contraddittorio che la parte lesa si rechi in macchina, di notte, in luoghi isolati con l'ex fidanzato, cambi appartamento, vada a vivere da sola, trascorra serate con l'ex compagno, senza che tra i due, che hanno ripreso a frequentarsi, non vi sia stato alcuna scambio di sms precedenti a quello minaccioso datato 17 agosto 2010 . Considerato in diritto 1.La Corte osserva che il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile. 2. Il primo motivo, per quanto attiene al vizio di motivazione e alla dedotta contraddittorietà della stessa, circa la ritenuta tempestività della querela contiene la medesima critica, prospettata alla Corte territoriale e da questa disattesa, con motivazione articolata, non manifestamente illogica, né contraddittoria. Si osserva che il giudice di secondo grado individua, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, nell'episodio del mese di agosto 2010, una condotta autonoma rispetto a quelle persecutorie, interrotte nel mese di novembre 2009, contestate al capo a . Tuttavia la Corte territoriale precisa, con una motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, la sussistenza di una connessione tra le condotte, valutando i rapporti della coppia, successivi al mese di novembre 2009, nonché valorizzando la finalità che ha spinto l'imputato alla minaccia contestata al capo b , cioè quella di ottenere, ancora una volta, un riavvicinamento con la parte lesa, in ogni caso inquadrando anche la minaccia di morte di cui al capo b , nel quadro di condotte di sopraffazione e persecuzione, attuate nei confronti della parte lesa. In ogni caso, risulta del tutto destituita di fondamento la critica proposta, tenuto conto della ritenuta procedibilità di ufficio della condotta, a fronte di una modifica dell'imputazione, intervenuta in data 9 ottobre 2013 e che, quanto al capo a , reputa la condotta di cui all'art. 612-bis cod. pen., contestata, come commessa fino al 28 agosto 2010, includendovi, dunque, anche l'episodio di minaccia di cui al capo b . 2.1. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto la prospettazione alternativa, proposta dal ricorrente, esorbita i limiti del sindacato di legittimità. Si tratta di doglianza che attacca la persuasività, l'inadeguatezza, la stessa illogicità non manifesta della motivazione e, comunque, evidenzia ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti, sul punto della valenza dei singoli elementi probatori, non sindacabili da questa Corte. Peraltro la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi di diritto, affermati in sede di legittimità, relativi ai connotati minimi degli atti persecutori, necessari ad integrare la condotta materiale del delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. E', infatti, conforme ai canoni di questa Corte dettati in tema di stalking, la motivazione laddove individua come atti persecutori le plurime molestie e minacce, rappresentate da visite ripetute, anche a sopresa, sul luogo di lavoro, da invio di messaggi dal contenuto minaccioso ed offensivo, ai quali, peraltro, non seguiva risposta della persona offesa, da continue chiamate telefoniche, nonostante la parte lesa avesse spiegato che non era sua intenzione quella di riprendere il rapporto con il Su. 2.2. Circa il terzo motivo si osserva che la dedotta mancata assunzione di prova decisiva, è denuncia che lamenta un mancato accertamento probatorio, invocato dalla difesa, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen. Si tratta di accertamento in fatto che non può essere devoluto in sede di legittimità Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012 dep. 2013 , Cena, Rv. 254226 Sez. 4, n. 20593 del 12/04/2005, Rv. 232096 , in quanto è pacifico l'orientamento di questa Corte secondo il quale spetta al giudice di merito la valutazione delle risultanze processuali per apprezzare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione, la meritevolezza di una richiesta di perizia. Nella specie si osserva, peraltro, che la Corte territoriale ha offerto ampia motivazione sulle ragioni della superfluità dell'accertamento cfr. pag. 14 della pronuncia impugnata richiesto ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen. Comunque va rilevato che, nel giudizio di appello, la rinnovazione istruttoria ha carattere eccezionale, fondato sulla presunzione che l'indagine sia stata esauriente, con le acquisizioni del dibattimento di primo grado. Sicché il potere del giudice di merito di secondo grado è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 Sez. U, 24/01/1996, Panigoni Sez. 1, n. 3972 del 2014 . Atteso che l'esercizio di un simile potere è affidato all'apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato, deve sottolinearsi che, a fronte di una motivazione che dia conto, in modo univoco, del fatto che è stato ritenuto non impossibile decidere allo stato degli atti e che, anzi l'accertamento richiesto a fronte di una schiacciante prova dichiarativa sarebbe stato superfluo, alcun rilievo può assumere la critica difensiva. 3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa nella misura di Euro duemila, a favore della cassa delle ammende, avuto riguardo ai motivi di impugnazione. 3.1. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che vengano omesse generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art 52 del D.Lgs. 196/2003, tenuto conto del titolo di reato contestato e ritenuto in sentenza. 4. Non possono essere liquidati gli onorari alla parte civile, regolarmente costituita ed avvisata tempestivamente per l'odierna udienza, in quanto sopraggiunta dopo la chiusura del verbale di udienza, in un momento successivo anche rispetto alle conclusioni rassegnate dalle altre parti presenti, con conseguente mancata formazione del contradditorio su tale parte della decisione cfr. verbale di udienza, Sez. 6, n. 41514 del 25/09/2012, Adamo, Rv. 253808 . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art 52 del D.Lgs. 196/2003, in quanto previsto dalla legge. Così deciso il 10/07/2018.