Pranzo a rischio, scende in strada e chiede consiglio ai carabinieri: condannato

L’imputato è sottoposto a detenzione domiciliare e può uscire di casa solo tra le 10 e le 12. Invece, quando sono quasi le 14, da una cabina telefonica chiama i carabinieri e spiega loro la necessità di raggiungere la mensa parrocchiale fuori dalla fascia oraria consentitagli. Proprio la telefonata lo inchioda, e si ritrova punito con otto mesi di reclusione.

Pranzo a rischio, perché l’uomo – sottoposto alla detenzione domiciliare – può raggiungere la mensa parrocchiale solo fuori dalla fascia oraria 10-12 consentitagli. Così egli scende in strada – quando sono quasi le 14 –, raggiunge una cabina telefonica e chiama i carabinieri per chiedere consiglio. Condotta umanamente comprensibile, ma che, secondo i Giudici della Cassazione, vale una condanna per evasione” Cassazione, sentenza numero 46017, sezione sesta penale, depositata oggi . Telefonata. Ricostruito nei dettagli l’episodio incriminato. Siamo a fine ottobre, mancano pochi minuti alle 14 e l’uomo, ristretto in regime di detenzione domiciliare , vede svanire la possibilità di fare un pasto dignitoso. A lui è consentito uscire di casa solo nella fascia oraria 10-12, ma quel giorno deve raggiungere la mensa della parrocchia che distribuisce cibo solo dalle 15 alle 17 . Come sciogliere l’amletico dubbio? Rimanere a casa, rispettando i vincoli impostigli, e rimanere digiuno o raggiungere la mensa, sapendo di violare i ‘domiciliari’? Per riuscire a trovare una risposta l’uomo decide di chiedere aiuto ai carabinieri. Così lascia la propria abitazione, scende in strada e chiama i carabinieri da una cabina telefonica, spiegandogli nei dettagli la situazione e ovviamente indicando con precisione la propria posizione. Proprio quella telefonata è sufficiente per ipotizzare il reato di evasione . Consequenziale è il processo nei confronti dell’uomo, processo che si chiude con una condanna prima in Tribunale, poi in Corte d’appello e ora in Cassazione, con pena fissata in otto mesi di reclusione . Nessun dubbio, ovviamente, sul fatto che siano stati violati gli arresti domiciliari . Ma ciò che conta è, spiegano i Giudici del Palazzaccio, che l’uomo avrebbe potuto tranquillamente informare i carabinieri tra le 10 e le 12 delle proprie difficoltà a raggiungere la parrocchia per il pranzo, visto che l’orario di somministrazione del cibo non corrispondeva a quello in cui era autorizzato a lasciare il domicilio . E, peraltro, le difficoltà lamentate dall’uomo non sono sufficienti, concludono i magistrati, per parlare di stato di necessità e rendere così giustificabile la sua violazione della detenzione domiciliare .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 settembre – 11 ottobre 2018, n. 46017 Presidente Paoloni – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Al. Gi. impugna la sentenza indicata in rubrica che, con le concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, ha rideterminato in mesi otto di reclusione la pena inflittagli per il reato di cui all'art. 47 Ord. Pen. in relazione all'art. 385 cod. pen E' indiscusso che il giorno 29 ottobre 2015 alle ore 13 42 il ricorrente, ristretto in regime di detenzione domiciliare e autorizzato a lasciare il domicilio dalle ore 10 00 alle ore 12 00 per provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, si recava in una cabina telefonica e chiamava i Carabinieri per chiedere loro cosa fare dal momento che poteva recarsi alla mensa che distribuiva cibo presso una vicina chiesa solo dalle 15 00 alle ore 17 00. 2. Con unico e articolato motivo di ricorso il difensore denuncia vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 42, 43 e 59, comma 4, cod. pen. e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Il ricorrente, richiamate le decisioni di questa Corte che hanno escluso la sussistenza dell'elemento psicologico del reato e la offensività del fatto in presenza di fattispecie nelle quali l'agente aveva lasciato l'abitazione per l'impossibilità della convivenza, recandosi, per la via più vicina dai Carabinieri, sostiene che chiave di lettura dell'odierna vicenda processuale, in una interpretazione che valorizzi in concreto il principio di offensività, sia la volontà dell'agente di recuperare la libertà, e che tale dolo specifico che non è rinvenibile nel caso in esame tenuto conto che l'imputato aveva chiamato personalmente i Carabinieri ed aveva indicato il luogo dove si trovava e dove veniva trovato dalla pattuglia nel frattempo sopraggiunta. Viene, così, meno per difetto dell'elemento psicologico del reato, la tipicità del fatto. Secondo il ricorrente si verte in ipotesi similare a quella dell'autoconsegna, valorizzata dalla giurisprudenza di legittimità, per escludere la punibilità delle condotte nelle quali l'imputato si era recato in caserma per sottrarsi a difficili situazioni di convivenza. In ogni caso deve ritenersi che il Gi. abbia agito supponendo, erroneamente, di essere giustificato nell'allontanamento dal domicilio per l'imminente pericolo di non poter nutrirsi. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati. 2.E' erroneo il punto di partenza della ricostruzione difensiva secondo la quale il reato di evasione costituisce fattispecie di reato a dolo specifico con la conseguenza che, la telefonata effettuata dall'imputato ai Carabinieri, informandoli dell'allontanamento e di dove si trovasse, ne denota la insussistenza della volontà di recuperare la libertà e sottrarsi ai controlli venendo, per l'effetto, meno l'offensività in concreto del fatto-reato. Costituisce, in vero, affermazione indiscussa di questa Corte quella che nel reato di evasione dagli arresti domiciliari il dolo è generico e consiste nella consapevole violazione del divieto di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente ex multis Sez. 6, n. 10425 del 06/03/2012, Ghouila, Rv. 252288 Sez. 6, n. 19218 del 08/05/2012, P.G. in proc. Rapillo, Rv. 252876 . In relazione al reato di evasione, nella sua manifestazione fenomenica, non rileva la volontà di recuperare la libertà ma, allontanandosi dal luogo assegnato, la volontà e consapevolezza della violazione della prescrizione di non lasciare il domicilio senza l'ordine del giudice, avuto riguardo alla funzione di controllo svolta dalla misura degli arresti domiciliari e dalla detenzione domiciliare ai fini di attuazione della pretesa punitiva. Ne consegue che qualsiasi condotta di volontario allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari o detenzione domiciliare, in difetto di previa autorizzazione da parte della competente autorità giudiziaria, vale ad integrare il reato previsto e punito dall'art. 385 cod. pen., comportando la lesione dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice al rispetto dell'autorità delle decisioni giudiziarie, a tale riguardo non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, né la durata o la distanza dello spostamento, né i motivi alla base della determinazione del soggetto agente, trattandosi di situazione ovviabile mediante la richiesta di mutamento del domicilio della restrizione cfr., in particolare, Sez. 6, n. 29679 del 13.03.2008, De Maria, Rv. 240642 , conclusione perfettamente sovrapponibile alla persona detenuta ai sensi dell'art. 47 Ord. Pen 3.E, facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche, i giudici del merito hanno ritenuto conclamato dalle modalità dei fatti l'elemento psicologico del reato di evasione contestato al Gi. valorizzando, altresì, che l'imputato era autorizzato a lasciare l'abitazione dalle ore 10 00 alle ore 12 00 e che, durante tale orario, ben avrebbe potuto informare i Carabinieri delle sue difficoltà a raggiungere la parrocchia per il pranzo, visto che l'orario di somministrazione non corrispondeva a quello in cui era autorizzato a lasciare il domicilio. La mera allegazione delle difficoltà dell'imputato non è tale, inoltre, da assumere rilevanza quale stato di necessità, idoneo a scriminare la illiceità della condotta neppure quale situazione erroneamente supposta, supposizione che deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato Sez. 6, n. 4114 del 14/12/2016, G, Rv. 269724 e nel caso, sia stato di necessità che erronea supposizione della sua ricorrenza, sono indimostrati. 4.1 principi affermati da questa Corte di legittimità nei casi di cd. autoconsegna non possiedono, ai fini della individuazione delle caratteristiche del dolo, la valenza che il ricorrente vi assegna pervenendo alla conclusione che, in tal guisa, il dolo della fattispecie in esame si connota come dolo specifico poiché tale conformazione del dolo non può che discendere dalla struttura della norma incriminatrice. Ma, deve aggiungersi, in relazione alle fattispecie esaminate dalla Corte di legittimità e richiamate in ricorso assumono preponderante rilievo circostanze di fatto che escludono, prima ancora del dolo, la materialità stessa del reato cfr. Sez. 6, n. 32668 del 02/03/2010, Marchi, Rv. 247997 Sez. 6, n. 16673 del 13/04/2010, Parlato, Rv. 247051 , in presenza di pregresso avviso dell'agente all'autorità proposta ai controlli dell'allontanamento ovvero aspetti della condotta, il concomitante avviso e la documentata brevità dell'allontanamento, che hanno consentito di escludere si fosse verificata una reale sottrazione al controllo di Polizia, laddove, nella fattispecie in esame, è ignota la durata stessa dell'allontanamento. 5.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre che al pagamento processuali, della somma indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende, essendo imputabile a sua colpa la determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.