Il magistrato che ha svolto attività di tirocinio con la Procura in fase di indagini non è incompatibile con la qualità di organo giudicante nella fase dibattimentale

In tema di incompatibilità e ricusazione dei magistrati non è sufficiente, ai fini dell’individuazione dell’attività pregiudicante, che il giudice in precedenza abbia avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente su particolari aspetti della vicenda processuale. Perché si verifichi un pregiudizio sull’imparzialità è necessario che il giudicante sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 44140/2018 depositata il 4 ottobre u.s., torna a pronunciarsi in tema di ricusazione dei magistrati, osservando i confini dell’imparzialità di giudizio da individuarsi con riferimento alle funzioni svolte nelle varie fasi del procedimento penale. La quaestio. La Corte d’Appello di Catanzaro dichiarava inammissibile la dichiarazione di ricusazione formulata nei confronti del giudice monocratico incaricato del giudizio nei riguardi di due imputati. La difesa poggia la propria richiesta di ricusazione sul fatto che il magistrato investito del giudizio avesse partecipato alla fase delle indagini in qualità di magistrato in tirocinio presso la Procura nell’ambito del medesimo procedimento. Secondo la Corte territoriale la doglianza difensiva non ha alcun fondamento, giacchè l’attività svolta dal magistrato in tirocinio non determina l’attribuzione allo stesso di alcun ruolo autonomo, essendo questi mero esecutore” materiale della volontà del proprio magistrato affidatario. Avverso tale ordinanza propone ricorso per Cassazione il difensore degli imputati, deducendo vizi motivazionali in ordine alla lamentata sussistenza di gravi ragioni di convenienza” cui si riferisce l’articolo 36 c.p.p., nonché sollevando dubbi di legittimità costituzionale circa l’articolo 34, comma 3, c.p.p. nella parte in cui non prevede, fra le figure ivi contemplate, quella del magistrato in tirocinio. Il ricorso è in fondato. In via del tutto preliminare, osservano i Giudici della Quinta sezione della Corte, la ricusazione fondata sul richiamo delle gravi ragioni di convenienza” di cui all’articolo 36 c.p.p. è inammissibile tale disposizione non è richiamata nell’articolo 37 c.p.p. dedicato alla disciplina ricusatoria e né può estendersi ad essa in ragione della natura di norme eccezionali che la regolano. Altresì, il principio di incompatibilità del giudice ex articolo 34 c.p.p. trova applicazione solo con riferimento agli atti compiuti effettivamente dal medesimo magistrato e non a quelli soltanto conosciuti o finanche valutati in altri contesti processuali. Neppure merita avallo la questione di illegittimità dell’articolo 34 c.p.p. con riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., avendo già la Corte Costituzionale esplorato siffatto territorio nell’ambito di precedenti pronunce, con le quali è stato chiarito che il legislatore – che mai potrebbe prevedere in astratto tutte le situazioni in cui il giudice possa trovarsi in una situazione di incompatibilità decisoria – all’articolo 34 c.p.p. ha descritto tutte le ipotesi che presuntivamente possano determinare uno status incompatibile rispetto alla necessaria imparzialità di giudizio. Nel caso di specie, la circostanza secondo cui l’organo decidente avesse partecipato all’assunzione di sommarie informazioni testimoniali insieme al P.M. in qualità di magistrato in tirocinio non configura alcuna situazione di incompatibilità. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 giugno – 4 ottobre 2018, numero 44140 Presidente Zaza – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 20 giugno 2017 la Corte di Appello di Catanzaro ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione formulata nei confronti della dott. G.U. , titolare quale giudice monocratico - del processo penale che vede imputati P.M.G. e A.V. . 1.1. La dichiarazione di ricusazione era fondata sulla circostanza che la dott. G. avesse partecipato, in qualità di magistrato in tirocinio, all’assunzione di informazioni svolta dal Pubblico Ministero nell’ambito del medesimo procedimento. 1.2. La Corte territoriale ha osservato che l’attività svolta dal magistrato in tirocinio non determina l’attribuzione allo stesso di alcun ruolo nell’ambito del procedimento penale al quale partecipa, essendo questi mero esecutore della volontà del proprio magistrato affidatario. 2. Avverso la predetta ordinanza propongono ricorso per cassazione gli imputati, deducendo vizi motivazionali. 2.1. La motivazione del provvedimento impugnato si presenterebbe apparente, o comunque contraddittoria, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare quanto prospettato nella domanda di ricusazione. Gli imputati avevano infatti evidenziato che il precedente contatto del magistrato con il fatto, ovvero con la formazione della prova, potesse integrare la violazione dell’art. 34, comma 3, in correlazione con l’art. 36, numero 1, lettere g-h, del codice di rito. Nessun rilievo potrebbe avere, secondo i ricorrenti, il fatto che il magistrato in tirocinio ricopra un ruolo esclusivamente passivo tale assunto sarebbe corroborato dal disposto dell’art. 34, comma 3, cod. proc. penumero , il quale fa riferimento a figure - individuate come incompatibili - che sono altrettanto passive ed inerti quali il curatore, il testimone, etc. . La ricusazione del giudice titolare del procedimento si renderebbe dunque necessitata alla luce delle gravi ragioni di convenienza cui si riferisce l’art. 36 del codice di rito. 2.2. Con il ricorso si chiede infine di valutare la costituzionalità dell’art. 34, comma 3, cod. proc. penumero nella parte in cui non prevede, fra le figure in esso specificamente richiamate, quella del magistrato in tirocinio. 3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta depositata in data 18 maggio 2018, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. 4. Il difensore dei ricorrenti ha depositato una memoria ex art. 611 cod. proc. penumero , ribadendo le argomentazioni a sostegno del ricorso e insistendo nella richiesta relativa alla questione di illegittimità costituzionale dell’art. 34 comma 3 cod. proc. penumero . Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Questa Corte da tempo ha avuto modo di chiarire che non determina incompatibilità né costituisce causa di astensione per il pretore aver contribuito alla redazione, in qualità di uditore giudiziario, del provvedimento di archiviazione di una denunzia presentata dallo stesso imputato contro altri attuali coimputati Sez. 5, numero 3306 del 01/07/1997, Nastro N, Rv. 209629 . Né in senso contrario può rilevare, così come sostenuto nel ricorso, che il magistrato sia venuto a conoscenza dei fatti durante il periodo di tirocinio presso la Procura, avendo partecipato all’assunzione di informazioni svolta dal Pubblico Ministero nell’ambito del medesimo procedimento. Invero, la mera conoscenza da parte del giudice del dibattimento degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero senza che vi sia poi alcuna valutazione di merito, non rende lo stesso giudice incompatibile a partecipare al giudizio Sez. 6, numero 39944 del 30/10/2001, Calabrò, Rv. 220275 . 2. Sotto altro profilo non può trascurarsi che è inammissibile la ricusazione del giudice fondata sulle altre gravi ragioni di convenienza per le quali l’art. 36, comma primo, lett. h, cod. proc. penumero impone al giudice il dovere di astenersi, in quanto tale ultima disposizione non è richiamata nel successivo art. 37, che detta la disciplina dei casi di ricusazione, né può essere ad essa estesa, data la natura di norme eccezionali che la regolano Sez. 1, numero 12467 del 11/03/2009, Cariolo, Rv. 243562 . Peraltro, il principio di incompatibilità del giudice di cui all’art. 34 cod. proc. penumero trova applicazione esclusivamente con riferimento ad atti compiuti nel medesimo procedimento e non quando il giudice abbia conosciuto e finanche valutato in altro contesto processuale i medesimi elementi di prova utilizzati nei confronti dell’imputato Sez. 5, numero 9968 del 30/11/2017, Pullarà, Rv. 272661 . 3. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. penumero , con riferimento agli artt. 3 e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio del magistrato che ha svolto attività di tirocinio presso la Procura che si è occupata del procedimento nella fase delle indagini preliminari. La Corte Costituzionale ha avuto ripetute occasioni di affermare tra le tante, sentenze nnumero 351, 308, 307 e 306 del 1997 ordinanza numero 178 del 1999 che, nell’ambito dei rapporti tra gli istituti apprestati dal codice di rito a garanzia dell’imparzialità del giudice, l’art. 34 cod. proc. penumero fa riferimento alle situazioni in cui i termini della relazione di incompatibilità intercorrono all’interno del medesimo procedimento o, comunque, nell’ambito di una vicenda processuale sostanzialmente unitaria riguardante la medesima regiudicanda sentenze numero 241 del 1999 e numero 371 del 1996 , mentre i casi in cui la funzione pregiudicante è espressa fuori del procedimento rientrano nella sfera di applicazione della astensione e della ricusazione. Infatti, le situazioni pregiudicanti descritte dall’art. 34 cod. proc. penumero sono tipicamente e preventivamente individuate dal legislatore in base alla presunzione che determinino l’incompatibilità ad esercitare ulteriori funzioni giurisdizionali nel medesimo procedimento, mentre sarebbe impossibile prevedere in astratto e a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo in precedenza esercitato funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di incompatibilità nel successivo procedimento penale. Comunque è necessario che siano state espresse delle valutazioni sul merito della responsabilità penale e che esse possano eventualmente determinare un effetto pregiudicante. Alla stregua del predetto criterio di distinzione e delimitazione delle due categorie, la Corte Costituzionale ha ricondotto all’ambito di operatività dell’astensione e della ricusazione ogni motivo di pregiudizio all’imparzialità del giudice, con riguardo alla relazione tra attività pregiudicante nel processo penale e attività pregiudicata nel procedimento di prevenzione sentenza numero 306 del 1997 . E le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare, applicando i suddetti principi, che integra propriamente una causa di ricusazione, ex art. 37, comma primo lett. b , cod. proc. penumero come inciso da Corte cost., sent. numero 283 del 2000 e non una causa di incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. penumero la circostanza che il medesimo magistrato chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato abbia già pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente nel medesimo reato, allorquando nella motivazione di essa risultino espresse valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del soggetto sottoposto a giudizio Sez. U, numero 36847 del 26/06/2014, Della Gatta e altro, Rv. 26009401 . Orbene, nel caso in esame non sussistono neppure i presupposti per individuare nell’attività svolta dal magistrato in tirocinio durante la fase delle indagini preliminari un motivo di pregiudizio alla sua imparzialità quale giudice del dibattimento tale da rendere fondata la sua ricusazione da parte degli imputati, sicché deve ritenersi corretta l’ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro. 4. Né può trascurarsi che le previsioni delle ipotesi di ricusazione si configurano come norme eccezionali, sia perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale e, più in particolare, della capacità del giudice, sia perché consentono una ingerenza delle parti in materia di ordinamento giudiziario attinente al rapporto di diritto pubblico tra Stato e giudice e, quindi, ordinariamente sottratta alla disponibilità delle parti e dello stesso giudice con la conseguenza che i casi regolati, le formalità e i termini di proposizione dell’istanza di ricusazione hanno carattere di tassatività non solo nel senso che non possono essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che la loro interpretazione deve essere soltanto letterale con esclusione di ogni interpretazione estensiva Sez. 1, numero 42633 del 24/09/2001, Sciuto S, Rv. 220138 . Va, inoltre, ribadito che l’art. 37 cod. proc. penumero , nell’indicare i casi di ricusazione, richiama, tra le altre, le ipotesi previste dal precedente art. 36, che impongono l’obbligo dell’astensione, ma esclude quella della lettera h , stesso articolo, non consentendo così la presentazione di una dichiarazione di ricusazione per gravi ragioni di convenienza . Anche la questione di legittimità costituzionale di tale disciplina è, quindi, manifestamente infondata. La circostanza che il legislatore abbia ritenuto di escludere che i gravi motivi di convenienza di cui all’art. 36, lettera h , cod. proc. penumero possano integrare anche una autonoma ipotesi di ricusazione del giudice come stabilito per le altre cause di astensione appare del tutto ragionevole e, indubbiamente, coerente con i principi costituzionali del giudice naturale e della ragionevole durata del processo. L’indeterminatezza fisiologica della causa di astensione del tutto residuale prevista dall’art. 36 lettera h e l’impossibilità di una predeterminazione normativa, giustificano la mancata inclusione tra i casi di ricusazione perché essa si porrebbe in rotta di collisione con i suddetti principi consentendo il proliferare di dichiarazioni di ricusazione pretestuose e strumentali si veda, anche in motivazione, Sez. 2, numero 27611 del 19/06/2007, Berlusconi e altri, Rv. 239215 . La Corte costituzionale sentenza numero 113 del 2000 ha ritenuto, in ossequio ai principi del giusto processo, di dare una lettura ampia dei contenuti della causa di astensione di cui alla lettera b dell’art. 36 cod. proc. penumero , affermando che il valore deontico del principio del giusto processo si esprime, in questo caso, sul piano interpretativo ed impedisce di attribuire alla locuzione altre gravi ragioni di convenienza un significato così ristretto da escludervi l’esercizio di funzioni in un diverso procedimento che abbia avuto, in concreto, un contenuto pregiudicante. La disposizione in oggetto pone una norma di chiusura a cui devono essere ricondotte tutte le ipotesi non ricadenti nelle precedenti lettere e nelle quali tuttavia l’imparzialità del giudice sia da ritenere compromessa . E quale logico corollario se ne desume che, nella lettera h , la parola convenienza assume un valore prescrittivo tale da imporre l’osservanza di un obbligo giuridico che non riguarda soltanto situazioni private del giudice, ma include l’attività giurisdizionale che egli abbia svolto, legittimamente, in altri procedimenti . Quindi i giudici nel proporre dichiarazioni di astensione e gli organi sovraordinati nel decidere se accogliere o meno tali richieste devono porre in essere una attenta analisi, che tenga conto anche dell’attività giurisdizionale che il giudice abbia svolto, legittimamente, in altri procedimenti , sicché le gravi ragioni di convenienza di cui al citato art. 36 non possono non estendersi al pregiudizio che discende da attività processuali svolte in precedenza, così imponendo al giudice, anche in tali situazioni, l’obbligo di astenersi. In effetti, nel caso in esame, i ricorrenti vorrebbero che una semplice e non meglio specificata analogia tra i fatti, anche in presenza di soggetti diversi, possa integrare l’attività pregiudicante necessaria per proporre una dichiarazione di ricusazione. Va quindi qui ribadito quanto già osservato dalla Corte Costituzionale in proposito dei casi di incompatibilità e cioè che sarebbe impossibile pretendere dal legislatore uno sforzo di astrazione e di tipicizzazione idoneo a individuare a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo esercitato funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di incompatibilità nel successivo procedimento penale sentenza numero 308 del 1997 . Né a sostegno della tesi prospettata dai ricorrenti può essere richiamato quanto sostenuto nella sentenza numero 283 del 2000. In tale pronunzia, la Corte costituzionale, nel ricostruire i complessi rapporti tra gli istituti dell’astensione/ricusazione da un lato e della incompatibilità, dall’altro, ha affermato che che la disciplina in materia deve essere comunque idonea ad evitare che il giudice chiamato a svolgere funzioni di giudizio possa essere, o anche solo apparire, condizionato da precedenti valutazioni espresse sulla medesima res judicanda, tali da esporlo alla forza della prevenzione derivante dalle attività giudiziarie precedentemente svolte e che la scelta del legislatore di qualificare una situazione come causa di incompatibilità, ovvero di astensione e di ricusazione, discende dalla possibilità o dalla impossibilità di valutarne preventivamente e in astratto l’effetto pregiudicante per l’imparzialità del giudice penale sentenza numero 308 del 1997 . Mentre, infatti, le situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità del giudice riconducibili all’istituto dell’incompatibilità, operando all’interno del medesimo procedimento in cui interviene la funzione pregiudicata, si riferiscono ad atti o funzioni che hanno di per sé effetto pregiudicante e sono astrattamente tipicizzate dal legislatore, prevedibili e quindi prevenibili viceversa, gli istituti della astensione/ricusazione sono caratterizzati dal riferirsi a situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità della funzione giudicante che normalmente preesistono al procedimento, ovvero si collocano comunque al di fuori di esso. Anche l’ipotesi di ricusazione descritta dall’art. 37 comma 1, lettera b non si sottrae a questo criterio di massima il giudice che nell’esercizio delle funzioni ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione opera - per usare le espressioni della prevalente giurisprudenza di legittimità - fuori della sede processuale e dei compiti che gli sono propri. La Corte Costituzionale ha così dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 37 comma 1 cod. proc. penumero nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. Ha però precisato in motivazione che non è sufficiente, ai fini della individuazione dell’attività pregiudicante, che il giudice abbia in precedenza avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente e occasionalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sottoposta al suo giudizio . E ancora che la funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario, perché si verifichi un pregiudizio per l’imparzialità, che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa . Va quindi ribadito che la funzione pregiudicante deve consistere in una valutazione di merito situazione questa che non può configurarsi nel caso in esame, nel quale il magistrato si è limitato ad assistere ad atti di indagine assunti dal pubblico ministero cui era affidato. 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.