Prima maltratta la compagna, poi la perseguita: al reato di maltrattamenti si aggiunge lo stalking

Respinta l’ipotesi avanzata dal difensore dell’uomo e finalizzata ad ottenere l’assorbimento del delitto di stalking in quello di maltrattamenti in famiglia. Confermata la pronuncia emessa in Appello 18 mesi per le violenze tra le mura domestiche, con l’aggiunta di 3 mesi per i successivi comportamenti persecutori.

Vita da incubo per una donna. Prima maltrattata dal compagno tra le mura domestiche, poi perseguitata, sempre da lui, una volta andata via di casa. Inevitabile la condanna per l’uomo, punito con 18 mesi di reclusione per i maltrattamenti in famiglia e con ulteriori 3 mesi per lo stalking . Respinta definitivamente l’ipotesi difensiva, secondo cui i comportamenti persecutori nei confronti della donna avrebbero dovuto essere ‘assorbiti’ nei maltrattamenti concretizzatisi durante la convivenza della coppia Cassazione, sentenza n. 42918/2018, Sezione Sesta Penale, depositata il 28 settembre 2018 . Violenza. Nessun dubbio, secondo i Giudici merito, sulle responsabilità dell’uomo nei confronti dell’ex compagna, con la quale ha avuto tre figli. Tuttavia, mentre in Tribunale la pena è quantificata in due anni e quattro mesi di reclusione , in Appello essa viene ridotta a un anno e sei mesi per il reato di maltrattamenti in famiglia, con l’aumento di tre mesi per il reato di stalking . Decisiva la ricostruzione della vicenda, da cui è emerso che prima l’uomo ha maltrattato, in presenza dei figli minori, la propria convivente, ossessionandola con la sua gelosia, accusandola di avere amanti, minacciandola di ucciderla e di rompere tutti i mobili di casa, percuotendola con uno schiaffo al volto, ripetutamente ingiuriandola pesantemente, dilapidando i propri risparmi e quelli della convivente , e successivamente con condotte reiterate ha minacciato e molestato la donna, che aveva nel frattempo interrotto la convivenza, attraverso messaggi ingiuriosi contenenti riferimenti sessuali e minacce di morte implicitamente indirizzate anche ai figli, nonché analoghi messaggi con contenuto minatorie nei confronti di un figlio minore , cagionando loro un perdurante e grave stato d’ansia e di paura ed un fondato timore per la incolumità propria e dei congiunti . Delitti. Ultima tappa giudiziaria è quella in Cassazione, dove il legale dell’uomo si lamenta per l’omesso assorbimento del delitto di stalking in quello di maltrattamenti in famiglia . Questa censura viene respinta dai Giudici del Palazzaccio, i quali ribadiscono che sul fronte dei rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori è configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare o a questa assimilata , ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale . In questa vicenda, poi, è evidente come, rispetto ad una condotta di maltrattamenti posta in essere dall’uomo nel periodo di comune convivenza con la compagna , successivamente, a fronte della cessazione di ogni rapporto lui, nel frattempo ricoverato in ospedale ed andato a convivere coi genitori , proprio l’uomo si sia reso esclusivamente artefice di comportamenti tesi ad importunare con plurimi messaggi offensivi e visite sia la ex convivente che i figli . Di conseguenza, è accertato, concludono i giudici, il delitto di maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto , il delitto di atti persecutori . E significativo è ritenuto anche lo scarto temporale tra le condotte di maltrattamento e quelle di atti persecutori .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 giugno – 28 settembre 2018, n. 42918 Presidente Petruzzellis – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. La Corte d'Appello di Torino, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Torino con cui Ve. Mi. era stato condannato in ordine al capo a relativo ai reati di cui agli artt. 572, 61, n. 11-quinquies, cod. pen. e al capo b relativo ai reati di cui agli artt. 81 e 612-bis, comma primo e secondo, cod. pen. ai danni della ex convivente e dei tre figli minori, alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, condannandolo, esclusa la recidiva e valutate prevalenti le ritenute circostanze attenuanti generiche, alla pena di un anno e mesi 9 di reclusione, e segnatamente, un anno e sei mesi per il capo a , aumentata di tre mesi per la ritenuta continuazione in ordine al capo b . In particolare viene contestato a Ve. di aver maltrattato, in presenza dei figli minori Ga., Fe. ed An., la propria convivente Fr. Ve., ossessionandola con la sua gelosia, accusandola di avere amanti, minacciandola di ucciderla e di rompere tutti i mobili di casa, percuotendola con uno schiaffo al volto, ripetutamente ingiuriandola pesantemente, dilapidando i propri risparmi e quelli della convivente, nonché, con condotte reiterate minacciava e molestava la stessa parte offesa, che aveva nel frattempo interrotto la convivenza, attraverso messaggi ingiuriosi contenenti riferimenti sessuali e minacce di morte implicitamente indirizzate anche ai figli, nonché analoghi messaggi con contenuto minatorio nei confronti del figlio minore Fe., cagionando alle parti offese un perdurante e grave stato d'ansia e di paura ed un fondato timore per la incolumità propria e dei propri congiunti. 2. Ve. Mi. ricorre avverso la sentenza della Corte d'appello di Torino di cui in epigrafe, deducendo violazione di legge e vizi di motivazione in ordine all'omesso assorbimento della fattispecie di cui agli artt. 81, 612-bis comma primo e secondo, cod. pen. in quello di cui agli artt. 572, 61 n. 11-quinquies cod. pen. Rileva come i fatti si siano realizzati nello stesso ambito familiare e siano stati posti in essere senza concreta e rilevante soluzione di continuità tra il periodo in cui era in atto la convivenza e quello successivo alla sua cessazione, essendo nell'imputazione sub b descritto un episodio nei confronti del figlio Fe Considerato in diritto 1. Il motivo per mezzo del quale il ricorrente censura l'omesso assorbimento del delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. in quello di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 cod. pen, è giuridicamente infondato. 2. Deve ribadirsi il principio di diritto per cui, in tema di rapporti fra il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 cod. pen. e quello di atti persecutori ex art. 612-bis, cod. pen., salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612-bis, comma primo, cod. pen. - che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie - è invece configurabile l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori prevista dall'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen. in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare o a questa assimilata , ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale In motivazione, la S.C. ha precisato che ciò può valere, in particolare, in caso di divorzio o di relazione affettiva definitivamente cessata con la persona offesa, ravvisandosi il reato di maltrattamenti in caso di condotta posta in essere in presenza di una separazione legale o di fatto Sez. 6, n. 24575 del 24/11/2011, dep. 2012, Frasca, Rv. 252906 . È stato efficacemente osservato Sez. 6, n. 24575 del 24/11/2011, dep. 2012, Frasca, cit. che l'oggettività giuridica delle due fattispecie, artt. 572 e 612-bis cod. pen., presenta distinti soggetti attivi e passivi, pur dovendosi ritenere le condotte materiali dei reati conformarsi quanto a modalità esecutive e lesività. Il reato di maltrattamenti è un reato contro l'assistenza familiare e il suo oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dell'interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica. . . Il reato di atti persecutori è un reato contro la persona e in particolare contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia reiterati e che non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche . Nello specifico si è affermato che il rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612-bis, comma primo, cod. pen. rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie è, invece, configurabile l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori prevista dall'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen. in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare o a questa assimilata , ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale. Ne deriva che è configurabile il solo delitto di maltrattamenti in famiglia allorché le condotte criminose siano poste in essere in costanza di separazione legale Sez. 5, Sentenza n. 41665 del 04/05/2016, C, Rv. 268464. I principi sopra esaminati si riferiscono ad ipotesi in cui, o sussistono contestualmente entrambe le condotte, che possono astrattamente integrare anche la fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen, ma, per la clausola di sussidiarietà di cui al comma primo dell'art, cit., una di esse risulta ovviamente assorbita dal reato più grave parimenti con quanto avviene con minacce, percosse e violenze , ovvero allorché, nell'ambito di un unico rapporto, senza soluzione di continuità, proseguano le condotte vessatorie comunque sorte nell'ambito di una comunità di tipo familiare. 3. Nel caso oggetto di scrutinio, con motivazione logica e priva di aporie, la Corte territoriale ha evidenziato come, rispetto ad una condotta di maltrattamenti posta in essere da parte del ricorrente nel periodo di comune convivenza con la parte offesa, a fronte della cessazione di ogni rapporto con il ricorrente, nel frattempo ricoverato in ospedale ed andato a convivere coi genitori, lo stesso si sia reso esclusivamente artefice di comportamenti tesi ad importunare con plurimi messaggi offensivi e visite sia la ex convivente che i figli e, valutata la diversità dei beni giuridici tutelati, ha ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, quello di atti persecutori Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016 - dep. 19/07/2016, D'A, Rv. 26794201 . Il significativo scarto temporale tra le condotte di maltrattamento ex art. 572 cod. pen. e quelle di atti persecutori ex art. 612-bis cod. pen., inoltre, rende evidente tale possibilità, rilevata la cesura tra distinte condotte tali da ritenere astrattamente sussistenti ulteriori fattispecie solitamente assorbite in quelle di cui all'art. 572 cod. pen. diversamente opinando non sarebbe ipotizzabile la fattispecie di cui all'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen. che prevede proprio l'aggravale in ipotesi di condotte poste in essere ai danni del coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. 4. Sotto questo profilo non devono fuorviare le massime secondo cui sarebbe comunque configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, che in realtà o esaminano questioni non rilevanti al caso scrutinato, avendo ad oggetto il ritenuto assorbimento di condotta di ingiurie e minacce v. Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, C, Rv. 262078 , ovvero precisano che il reato previsto dall'art. 612-bis cod. pen. è configurabile solo nel caso di divorzio tra i coniugi, ovvero di cessazione della relazione di fatto, principio affermato per rimarcare la clausola di sussidiarietà di cui all'art. 612-bis, comma primo, cod. pen., quanto a condotte vessatorie poste in essere in ambito di rapporti di convivenza o coniugio Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017, dep. 2018, F, Rv. 272134 . In tal senso ricostruita l'autonomia delle singole condotte che come detto presentano beni giuridici diversi v. anche Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016 -dep. 19/07/2016, D'A, Rv. 267942 , deve ritenersi conforme ai principi di questa Corte il rigetto del motivo teso a rilevare l'assorbimento delle due condotte. 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.