Le dichiarazioni dei periti e dei consulenti tecnici sono assimilabili alle prove dichiarative?

Rimessa alle Sezioni Unite la questione se la dichiarazione del perito o del consulente tecnico costituisca prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone e, dunque, se, nel caso sia decisiva, il giudice d’appello che voglia operare un overturning della sentenza assolutoria, debba procedere alla rinnovazione.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 41737/18 depositata il 26 settembre. Il caso. Il Tribunale assolveva l’imputato dei reati di rapina pluriaggravata presso un istituto bancario per non aver commesso il fatto. Gli unici elementi astrattamente idonei a collegare l’imputato alla rapina consistevano in immagini estratte dal filmato registrato dal sistema di videosorveglianza della banca e nella presenza di un’utenza telefonica mobile, a lui intestata, in prossimità dei luoghi dove avvenne il fatto. Il Tribunale riteneva però che tali elementi non fossero sufficienti a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’imputato. In disparte la possibilità che l’utenza telefonica fosse in uso a terzi, il Tribunale valorizzava i dubbi relativi al filmato e, segnatamente, il fatto che, mentre il consulente tecnico del pubblico ministero aveva riconosciuto” l’imputato, il perito nominato in dibattimento aveva concluso nel senso che le somiglianze attenevano a caratteri generali tali da non consentire un giudizio di identificazione, perché comuni a più soggetti. Proposto appello da parte del pubblico ministero, la Corte d’appello riformava la sentenza dichiarando l’imputato colpevole. Ad avviso della Corte territoriale gli indizi erano gravi, precisi e concordanti. Era necessaria la rinnovazione? Secondo la difesa, la Corte d’appello, pur ribaltando la sentenza assolutoria di primo grado, non aveva rinnovato le prove decisive assunte nel corso del dibattimento, assimilabili alla testimonianza e, dunque, prove dichiarative. La valutazione del compendio probatorio è stata dunque meramente cartolare e ciò costituirebbe un errore. La questione ruota attorno all’interrogativo circa la sussistenza dell’obbligo, da parte del giudice d’appello che riformi la sentenza assolutoria, di rinnovare le dichiarazioni rese dai periti e dai consulenti tecnici, ritenute decisive e valutate difformemente dal giudice di primo grado. Questione che è rilevante nel caso concreto perché il primo giudice aveva ritenuto difformi le dichiarazioni rese dagli esperti mentre il giudice d’appello aveva affermato che le conclusioni raggiunte dal consulente tecnico del pubblico ministero e dal perito erano conciliabili tra loro e, valutate insieme ad altri indizi, portavano a dichiarare la responsabilità dell’imputato. Gli oneri in caso di overturning della sentenza assolutoria. Come noto, le Sezioni Unite Dasgupta Cass. 27620/16, Ced 267487 hanno chiarito che il giudice d’appello, in caso di impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado, non può riformare la sentenza impugnata condannando l’imputato senza aver proceduto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio di primo grado. La rinnovazione si profila assolutamente necessaria” perché si ricollega all’esigenza che il libero convincimento del giudice replichi l’andamento del giudizio di primo grado fondandosi su prove dichiarative direttamente assunte. Le Sezioni Unite Patalano Cass. 18620/16, Ced 269785 e Troise Cass. 14800/17, Ced 272430 hanno ulteriormente precisato che il giudice d’appello che riformi la sentenza assolutoria senza rinnovare l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, deve motivare in modo puntuale ed adeguato circa la difforme conclusione adottata. È necessaria la rinnovazione. Secondo un consistente filone della giurisprudenza di legittimità, il giudice d’appello, in caso di overturning deve rinnovare le prove orali nell’ipotesi in cui il giudizio debba fondarsi su un diverso apprezzamento di tali fonti Corte Edu, Dan c. Moldavia . Si è affermato che la rivalutazione dell’esame dibattimentale del perito svolto nelle forme dell’esame testimoniale imponga il riascolto del dichiarante. La prova scientifica non è equiparabile a quella testimoniale. Un diverso orientamento ritiene che la prova scientifica non sia equiparabile a quella dichiarativa, per così dire, laica”, con la conseguenza che non sarebbe necessaria la rinnovazione dibattimentale. L’orientamento fa leva sull’affermazione secondo cui, in tema di prova scientifica, non deve stabilirsi la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni ma solo se la spiegazione sia razionale e logica, se l’approccio al sapere tecnico-scientifico sia metodologicamente corretto tali valutazioni attengono alla preliminare verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. La prova scientifica – si è affermato – non è equiparabile alla prova dichiarativa tout court perché non è in discussione la attendibilità del dichiarante e la credibilità del racconto congruenza, linearità e assenza di elementi perturbatori dell’attendibilità bensì il vaglio della deposizione del perito alla luce dell’indirizzo interpretativo in tema di valutazione della prova scientifica. Secondo tale orientamento, in breve, la posizione dei tecnici non è assimilabile al concetto di prova dichiarativa anche perché la deposizione si salda con la relazione . La conseguenza di tale approccio è che, in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria, non è necessaria la rinnovazione, fermi restando gli oneri motivazionali. Diversità di ruoli ma punti di contatto. Nel rilevare il contrasto la Corte di Cassazione passa in rassegna il contesto normativo che segnala la diversità dei ruoli di consulente tecnico e perito da una parte e di testimone dall’altra. A riprova indica l’art. 501 c.p.p. che contiene una clausola di compatibilità che non avrebbe altrimenti ragione d’essere se vi fosse una reale equiparazione. Nondimeno, tale clausola denuncia l’esistenza di effettivi punti di contatto tra le due categorie di dichiaranti. Inoltre, l’art. 511, comma 3, c.p.p. prevede che la perizia sia letta successivamente all’esame del perito così focalizzando l’attenzione del giudice sul soggetto che assume la dimensione di soggetto di prova” più che sull’elaborato peritale. La Suprema Corte aggiunge che se il ribaltamento della sentenza assolutoria presuppone il superamento di ogni dubbio sull’innocenza dell’imputato e, quindi, il ricorso al metodo migliore per la formazione della prova oralità e immediatezza si potrebbe concludere che tale metodo transiti anche attraverso la rinnovazione dell’esame dei periti o consulenti. A differenza dell’esame dei testimoni, in cui il giudice si muove secondo le coordinate dell’attendibilità, nel caso dei periti deve estendere il suo giudizio all’interno dei riferimenti scientifici. Spetterà alle Sezioni Unite dirimere il contrasto denunciato e chiarire se la dichiarazione del perito o del consulente tecnico costituisca prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone e, dunque, se, nel caso sia decisiva, il giudice d’appello che voglia operare un overturning della sentenza assolutoria, debba procedere alla rinnovazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, ordinanza 23 maggio – 26 settembre 2018, n. 41737 Presidente Diotallevi – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con sentenza del 14 dicembre 2007 il Tribunale di Reggio Emilia ha assolto per non aver commesso il fatto P.D. , in atti generalizzato, dai reati di rapina pluriaggravata presso un istituto bancario, ricettazione di un’autovettura e porto di oggetto atto ad offendere. Il giudice di prime cure ha ritenuto che gli unici elementi, idonei in astratto a collegare l’imputato alla rapina, segnatamente riconducibili alle immagini estrapolate dal filmato, registrato dal sistema di videosorveglianza della banca, e alla presenza di un’utenza di telefonia mobile, a lui intestata, in prossimità dei luoghi in cui si svolsero i fatti, non fossero sufficienti a dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’odierno ricorrente. In particolare, secondo il Tribunale, la circostanza che la scheda telefonica, intestata all’imputato, agganciasse celle contigue ai luoghi teatro degli eventi, nelle ore di interesse, non poteva considerarsi elemento esaustivo della sua compartecipazione all’azione criminosa, tenuto conto della possibilità che tale utenza fosse in uso ad altra persona. Quanto al filmato, estratto dal sistema di videosorveglianza della banca, il giudice di primo grado ha affermato che, mentre il consulente tecnico del Pubblico ministero ha creduto di vederci ritratto proprio l’imputato , il perito, nominato nel corso del dibattimento, di contro, è giunto alla conclusione che le somiglianze, pur esistenti, attengono a caratteri generali che non consentono di pervenire ad un giudizio di identificazione, in quanto gli stessi possono essere riscontrati anche in più soggetti . A seguito di impugnazione del Pubblico Ministero, con sentenza del 29 novembre 2016, la Corte d’appello di Bologna, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato P.D. colpevole del delitto di rapina pluriaggravata, rubricata al capo L , e, esclusa la recidiva, l’ha condannato alla pena ritenuta di giustizia, dichiarando non doversi procedere nei confronti dello stesso in ordine ai reati contestati ai capi I e M , perché estinti per prescrizione. L’anzidetta Corte ha posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità i seguenti indizi, ritenuti gravi, precisi e concordanti - la presenza del cellulare dell’imputato, in ora notturna, a pochi chilometri dal luogo ove avvenne il furto dell’autovettura, poi utilizzata per la rapina - la presenza del cellulare dell’imputato nei pressi del luogo della rapina, in perfetta coincidenza temporale con essa - l’assoluta mancanza di indicazioni da parte dello stesso imputato, idonee a spiegare la presenza del cellulare nei luoghi suddetti - la rilevantissima somiglianza dell’imputato con uno dei tre rapinatori, desunta dalle conclusioni cui erano pervenuti il consulente tecnico del Pubblico ministero e il perito, avendo affermato, il primo, che molto probabilmente uno dei rapinatori e l’imputato erano la stessa persona e, il secondo, che esiste compatibilità tra il rapinatore e l’imputato, senza che possa affermarsi con certezza che si tratti della stessa persona. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi 1 carenza e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo L della rubrica di imputazione nonché violazione del principio di oralità immediatezza di cui all’art. 6 CEDU. In particolare, la Corte d’appello, nel ribaltare la pronuncia assolutoria di primo grado, non avrebbe fornito una compiuta giustificazione logica della pretesa non condivisibilità del ragionamento svolto dal Tribunale e, soprattutto, contrariamente a quanto richiesto dai più recenti arresti della giurisprudenza nazionale ed Europea, non avrebbe rinnovato le decisive prove assunte nel corso del dibattimento, ossia le dichiarazioni del perito e del consulente tecnico del Pubblico ministero, assimilabili alla testimonianza e, quindi, rientranti nel perimetro concettuale delle prove dichiarative. La Corte di merito, inoltre, avrebbe reso una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria anche in relazione al preteso apporto conoscitivo, fornito dall’analisi del traffico telefonico dell’utenza intestata all’imputato, sotto il duplice profilo dell’impossibilità di attribuire univoco significato indiziante a tali risultanze e dell’indimostrata disponibilità in capo all’imputato della medesima, al momento della rapina. La Corte d’appello avrebbe ritenuto sufficiente, per il ribaltamento della decisione di primo grado, la sommatoria di due elementi indizianti, ciascuno dei quali, di per sé, caratterizzato da intrinseca vaghezza e inconcludenza epistemica. Infine, la Corte d’appello non avrebbe raffrontato il dato temporale, ricavato dai fotogrammi, estrapolati dal sistema di videosorveglianza dell’istituto bancario, con quello emergente dai riscontri operati sul traffico telefonico, sviluppato dall’utenza intestata al ricorrente in orario prossimo all’uscita dei rapinatori dalla banca 2 violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p. nonché vizi di motivazione in ordine alle modalità di commisurazione della sanzione irrogata e al diniego delle attenuanti generiche. La Corte territoriale avrebbe utilizzato una mera clausola di stile, facendo riferimento alla determinazione criminosa mostrata dai rapinatori, e avrebbe richiamato la mancata resipiscenza di questi ultimi, smentita dal successivo richiamo al mutamento della condotta di vita dell’imputato, il quale non si era reso autore di ulteriori delitti negli anni successivi alla rapina contestata. All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da ordinanza in atti, pubblicata mediante lettura in pubblica udienza. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto, tra l’altro, la violazione dell’art. 6 CEDU, non avendo la Corte d’appello, nel ribaltare la pronuncia assolutoria, rinnovato le decisive prove, costituite dalle dichiarazioni rese dal perito e dal consulente tecnico del Pubblico ministero, assimilabili alla testimonianza e, quindi, rientranti nel perimetro concettuale delle prove dichiarative. Di tali prove il giudice di secondo grado avrebbe operato una valutazione esclusivamente cartolare, diversa da quella effettuata dal giudice di primo grado. La doglianza, dirimente ai fini della decisione nel caso del suo accoglimento, con assorbimento di ogni ulteriore questione, impone la risposta al quesito sul se, in caso di ribaltamento della pronuncia assolutoria di primo grado, il giudice d’appello abbia l’obbligo di rinnovare le dichiarazioni rese dai periti e dai consulenti tecnici, ritenute decisive e valutate difformemente rispetto al giudice di primo grado . Nel caso in esame, infatti, come innanzi esposto, mentre secondo il Tribunale il consulente tecnico del Pubblico ministero e il perito erano pervenuti a conclusioni difformi, non sufficienti a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’odierno ricorrente, la Corte d’appello ha affermato che le conclusioni dei due esperti erano conciliabili tra loro e idonee a fondare l’affermazione finale di responsabilità dell’imputato, valutate unitamente agli altri indizi esistenti. 1.1 Al fine dell’esame della suindicata questione, giova ricordare che, con la sentenza n. 27620 del 28.4.2016, Dasgupta, Rv. 267487, le Sezioni Unite chiamate nello specifico a risolvere il profilo della rilevabilità d’ufficio, in sede di giudizio di cassazione, della violazione dell’art. 6 CEDU, per avere il giudice d’appello riformato la sentenza assolutoria di primo grado, affermando la responsabilità penale dell’imputato sulla base della diversa valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni dei testimoni, senza procedere a nuova escussione degli stessi - hanno chiarito che la previsione, contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d della CEDU, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, implica che il giudice d’appello, investito dell’impugnazione del Pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, con cui si adduca un’erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado. Secondo il Supremo Collegio, deve ritenersi affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e , cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio , di cui all’art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza d’appello che ribalti la sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si profila, quindi, come assolutamente necessaria ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen. tale presupposto, infatti, ai di là dei casi di incompletezza del quadro probatorio, si collega, più generalmente, all’esigenza che il convincimento del giudice di appello, nei casi in cui sia in questione il principio del ragionevole dubbio, replichi l’andamento del giudizio di primo grado, fondandosi su prove dichiarative direttamente assunte . 1.2 Sul medesimo solco tracciato dalla sentenza Dasgupta si è posta la successiva pronuncia delle Sezioni Unite n. 18620 del 19.1.2017, Patalano, Rv 269785 da ultimo, con la sentenza n. 14800 del 21.12.2017, Troise, Rv 272430, il Supremo Collegio, nella sua massima composizione, ha escluso l’obbligo del giudice d’appello, che riformi la sentenza di condanna di primo grado, di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, precisando che egli deve, però, offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva. 1.3 In questa cornice si colloca il problema posto dalla decisione in scrutinio, alla quale non è applicabile, ratione temporis, il nuovo art. 603 comma 3 bis c.p.p., introdotto dal comma 58 dell’art. 1 della L. 23.6.2017, n. 103 cfr. S.U., n. 27614 del 20.3.2007, Lista, Rv 236537 . 1.4 Tanto premesso, deve evidenziarsi che, in ordine all’equiparazione delle dichiarazioni dei periti e dei consulenti tecnici alle prove dichiarative, con conseguente necessità di rinnovazione in caso di overturning accusatorio, si registrano due contrastanti orientamenti, oggetto di segnalazione anche da parte dell’Ufficio del Massimario di questa Corte. 1.5 Secondo un orientamento cfr. Cass., Sez. 2, n. 34843 dell’1.7.2015, Rv 264542 , il giudice d’appello, qualora, ribaltando la pronuncia assolutoria di primo grado, intenda pervenire all’affermazione di responsabilità dell’imputato, non solo deve confutare specificamente i più rilevanti argomenti, sui quali era fondata la prima sentenza, ma deve anche provvedere, in ossequio al principio affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 5 luglio 2011 Dan c. Moldavia, a rinnovare l’assunzione delle prove orali, ove il giudizio di condanna debba fondarsi su di un diverso apprezzamento dell’attendibilità delle relative fonti. Si è ritenuto, infatti, che la funzione svolta dal perito nel processo e l’acquisizione dei risultati a cui l’esperto è giunto nello svolgimento dell’incarico peritale - ossia l’esame in dibattimento secondo le disposizioni sull’esame dei testimoni cfr. art. 501 cod. proc. pen. - impongono che la rivalutazione della prova sia preceduta dal riascolto dello stesso. Ritenere - come ha fatto la Corte territoriale - di poter rivalutare le prove integrate da consulenze e perizie prescindendo dal riascolto degli autori delle stesse integra un chiaro errore sulla natura stessa della prova esaminata. L’errore sulla natura della prova determina un errore metodologico sulla valutazione della stessa in assenza della rinnovazione istruttoria. La conseguenza di tale secondo errore, per quanto qui rileva, è la violazione dell’art. 6 CEDU alla luce del principio affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 5 luglio 2011 Dan c. Moldavia . Alle medesime conclusioni è pervenuta anche la Quarta Sezione, con la sentenza n. 6366 del 6.12.2016, Maggi, Rv 269035, che, in relazione ad un caso concernente la responsabilità per il reato di cui all’art. 589 c.p., ha annullato la sentenza impugnata, avendo ritenuto che era difettata in primis - da parte della Corte d’appello - la preliminare verifica dell’incoerenza e dell’implausibilità della ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dal Tribunale, peraltro sulla scorta del medesimo elaborato tecnico valorizzato dal giudice di secondo grado per ribaltare il verdetto assolutorio. Inoltre, il giudice del gravame non aveva attivato i poteri di rinnovazione istruttoria, mediante l’audizione di quell’ausiliario le cui affermazioni avevano ricevuto difformi letture o attraverso la nomina di nuovo perito. L’orientamento è stato ribadito, di seguito, nella sentenza della Quarta Sezione n. 9400 del 25.1.2017, Gashi, con cui si è annullata la pronuncia impugnata, avendo la Corte territoriale riformato in peius la sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di prove dichiarative, tra cui anche le indicazioni fornite dal perito, considerate decisive, omettendo di procedere al rinnovo dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen La necessità di riascoltare il perito è stata affermata - sempre dalla Quarta sezione - anche nella sentenza n. 14649 del 21.2.2018, Lumaca, relativa ad un’ipotesi di colpa stradale, in cui la riforma del giudizio era scaturita dalla diversa interpretazione dei decisivi esiti della perizia e delle stesse dichiarazioni del perito avendo la Corte territoriale ritenuto non condivisibili gli apporti argomentativi del perito in base ai quali, anche se il ricorrente avesse tenuto una condotta di guida rispettosa delle norme del codice della strada, mantenendo la destra, l’evento si sarebbe comunque determinato, in base alla posizione dei veicoli ed al punto d’urto . Da ultimo, nella sentenza n. 14654 del 30.3.2018, D’Angelo, relativa ad un’ipotesi di infortunio sul lavoro, la Quarta Sezione ha considerato equiparabili la prova dichiarativa e l’audizione del perito, ritenendo affetta da vulnus motivazionale la pronuncia della Corte d’appello, fondata su una diversa valutazione degli esiti decisivi della prova scientifica, non preceduta dalla rinnovazione dell’esame del predetto esperto. 1.6 In senso contrario, altro orientamento ritiene che la prova scientifica non sia equiparabile a quella dichiarativa, sicché non sussisterebbe l’obbligo per il giudice di procedere alla rinnovazione dibattimentale in caso di overturning accusatorio. In proposito, la Quinta Sezione, nella sentenza n. 1691 del 14.9.2016, Abruzzo, Rv 269529, dopo aver fatto riferimento alla giurisprudenza consolidata in tema di valutazione da parte del giudice di perizie e consulenze cfr. tra le altre Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013 Rv. 255196 Sez. 4, n. 8527 del 13/2/2015, Rv. 263435 Sez. 5, n. 6754 del 7.10.2014, Rv 262722, secondo cui in tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto ha affermato che, pur se il perito ed i consulenti tecnici, sentiti in dibattimento, assumono la veste di testimoni Sez. 1, n. 26845 del 16/05/2002 Rv. 221737 , la loro relazione forma parte integrante della deposizione essi, inoltre, sono chiamati a formulare un parere tecnico rispetto al quale il giudice può discostarsi, purché argomenti congruamente la propria diversa opinione. La loro posizione non è, quindi, totalmente assimilabile al concetto di prova dichiarativa , espresso nella sentenza Dasgupta, tanto è vero che nella motivazione delle Sezioni Unite, laddove si elencano i casi in cui è necessaria la rinnovazione della prova dichiarativa, non si menzionano periti e consulenti. Da qui, dunque, la conclusione che, in caso di riforma in appello della sentenza di assoluzione, non sussiste l’obbligo per il giudice di procedere alla rinnovazione dibattimentale della dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico, ferma restando la regola di giudizio secondo cui il giudice d’appello, che riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente gli argomenti rilevanti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni dell’incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento Sez. U. n. 33748 del 12.7.05 Rv.231679 . Questa conclusione è stata ribadita anche dalla Sezione Terza, nella sentenza n. 57863 del 18.10.2017, Colleoni, Rv 271812, che ha rimarcato che i principi espressi dalle Sezioni unite devono essere letti in unione con quelli parimenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla valutazione della prova scientifica. In tale contesto, se è pur vero che i periti e i consulenti tecnici, sentiti in dibattimento, assumono la veste di testimone Sez,. 3, n. 8377 del 17.10.2008, Scarlassare, Rv, 239281 Sez. 1, n. 26845 del 16.5.2002, Comandè, Rv 221737 e la loro relazione forma parte integrante della deposizione, nondimeno è altrettanto vero che costoro sono chiamati a formulare un parere tecnico e ad esprimere valutazioni alla luce dei principi scientifici. La prova scientifica non può quindi essere assimilata alla prova dichiarativa tout court nel caso di prova tecnica, infatti, non si tratta di stabilire l’attendibilità del dichiarante e la credibilità del racconto sotto il profilo della congruenza, linearità e assenza di elementi perturbatori dell’attendibilità, ma di valutare la deposizione del perito alla luce dell’indirizzo ermeneutico in tema di valutazione della prova scientifica, secondo cui, in virtù dei principi del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi scientifiche prospettate da differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere, confutando in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicché una simile valutazione, ove sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, non è sindacabile dal giudice di legittimità . 1.7 A fronte del menzionato contrasto, può osservarsi che, come rimarcato nelle pronunce da ultimo intervenute, vi è diversità tra il ruolo del testimone rispetto a quello del perito o del consulente tecnico, i quali, a differenza del primo, sono professionisti incaricati dal giudice o da una delle parti ad espletare un’attività di supporto tecnico-scientifico, implicante specifiche competenze in loro possesso. Il codice di procedura penale prende in considerazione la diversità dei ruoli, come emerge dall’esame degli artt. 468 c.p.p. e 149 norme att., 391-bis e 391-sexies c.p.p., concernenti le indagini difensive. D’altra parte, se realmente la figura del perito o del consulente fosse pienamente sovrapponibile a quella del testimone, il legislatore non avrebbe avuto ragione di prevedere la clausola di compatibilità, contenuta nell’art. 501 c.p.p. relativa all’applicabilità all’esame dei periti e dei consulenti tecnici delle regole relative all’escussione dei testi, in quanto compatibili . Per altro verso, però, proprio tale previsione, secondo la dottrina, finisce con il denunciare l’esistenza di effettivi punti di contatto di non scarsa rilevanza tra le due categorie di soggetti . Del resto, l’art. 511, comma 3, c.p.p. prevede che la lettura della perizia sia disposta solo all’esito dell’esame del perito in questo modo l’attenzione del giudice si indirizza non tanto sull’elaborato tecnico in precedenza realizzato bensì direttamente sull’esperto, che assume piuttosto la dimensione di soggetto di prova . Peraltro, merita di essere sottolineato il fatto che l’attività del perito o del consulente tecnico non sempre si esaurisce con l’espletamento di un’attività di valutazione di fatti già accertati o dati preesistenti egli, infatti, può essere chiamato anche ad accertare fatti non altrimenti accertabili che con l’impiego di tecniche particolari, ossia a svolgere un’attività che, mutuando una classificazione propria della dottrina e della giurisprudenza civilistica, è percipiente . A tal riguardo, la giurisprudenza civile di legittimità è solita affermare che se il giudice affida al consulente il semplice incarico di valutare fatti già accertati o dati preesistenti, la funzione del consulente è deducente e la sua attività non può produrre prova se, viceversa, al consulente è conferito l’incarico di accertare fatti non altrimenti accertabili che con l’impiego di tecniche particolari, il consulente è percipiente e la consulenza costituisce fonte diretta di prova ed è utilizzabile al pari di ogni altra prova ritualmente acquisita al processo ex plurimis Cass. civ., n. 13401 del 22 giugno 2005, n. 13401 . Tali conclusioni, mutatis mutandis, possono trovare applicazione anche nel processo penale nel senso che l’attività del perito o del consulente tecnico tanto più in quest’ultimo caso in cui è chiamato a fornire il proprio contributo cognitivo anche in ordine ai fatti oggetto del procedimento penale presenta punti di contatto con quella del testimone, tali da fornire un concreto sostrato argomentativo, almeno in parte qua, all’assimilabilità della perizia o della consulenza tecnica alla prova dichiarativa, con le relative conseguenze processuali in caso di ribaltamento in appello dell’esito assolutorio del primo grado. Rimane il fatto che le Sezioni Unite nei plurimi interventi con cui hanno affrontato il tema della necessità della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello non hanno mai indicato questo caso come soggetto alla regola di giudizio sopraindicata. Tuttavia questa circostanza può anche ritenersi non ostativa all’adozione di una decisione non in contrasto, ma integrante, astrattamente, sotto questa specifica fattispecie, l’operatività del principio in questione, dovendosi ritenere l’elencazione operata dalle Sezioni Unite, di carattere non tassativo. Per altro verso, può rilevarsi che i principi in tema di equo processo, espressi dalle decisioni delle Sezioni unite, sembrano condurre al risultato della sussistenza dell’obbligo della rinnovazione anche con riferimento alle prove tecniche e ciò pur a prescindere dalla perfetta riconducibilità di siffatte prove nel genus della prova dichiarativa testimoniale. Le Sezioni unite 26 aprile 2016, n. 27620 , come è noto, hanno ancorato l’obbligo della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello alla regola di giudizio della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, posta a presidio della presunzione di non colpevolezza, espressa dall’art. 27 Cost., affermando che è affetta da vizio di motivazione la sentenza d’appello che, sulla base di un diverso apprezzamento cartolare delle prove dichiarative decisive, condanni colui che è stato assolto in primo grado. Diversamente, tale passaggio processuale non è stato ritenuto necessario nel caso in cui il ribaltamento sia favorevole all’imputato, in quanto, in questo caso l’overturning non fa riferimento al principio dell’oltre ragionevole dubbio, ma a quello costituzionalmente garantito dalla presunzione di non colpevolezza. L’affermazione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, è infatti, come sottolineato dalle Sezioni Unite, sistematicamente legato ai principi del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza con la conseguenza che, se la sentenza d’appello richiede necessariamente l’osservanza dei parametri del criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, allora i tre pilastri del modello processuale accusatorio devono considerarsi operanti anche nel giudizio di secondo grado. Tale conclusione ripete la sua fondatezza anche nelle sentenze della Corte EDU, seppur con le precisazioni di seguito espresse, che ha interpretato la disposizione di cui all’art. 6 Cedu, nel senso di estendere al giudizio di appello i principi del fair trial, tra cui quelli del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza. Se, come osservato dalle Sezioni Unite, la revisione del giudizio liberatorio espresso in primo grado, implicando il superamento di ogni dubbio sull’innocenza dell’imputato, postula il ricorso al metodo migliore per la formazione della prova , ossia all’oralità ed all’immediatezza, potrebbe allora pervenirsi alla conclusione che il metodo migliore della formazione della prova , valutata diversamente nei due gradi di giudizio, transiti anche attraverso la rinnovazione dell’esame dei periti o consulenti. La peculiarità di tale audizione evidenzia come, a differenza che nelle ipotesi dell’esame dei testimoni, il giudice non si muove esclusivamente all’interno dei canoni della valutazione dell’attendibilità del perito o del consulente ma anche e soprattutto all’interno delle coordinate scientifiche, concernenti la bontà delle conoscenze tecniche di cui il perito o il consulente sono portatori e delle soluzioni che hanno prospettato. L’esame del perito o del consulente tecnico sarà quindi diretto al fine proprio della migliore comprensione del sapere scientifico e della migliore valutazione delle conclusioni tecniche, cui essi sono pervenuti, così da potere adottare una decisione, sia pure in contrasto con quella del primo giudice, formatasi all’esito di una prova assunta nel rispetto dei canoni dell’oralità, dell’immediatezza e del contraddittorio. Esigenza, questa, tanto più avvertita quando, come nel caso in esame, il perito e il consulente siano pervenuti a conclusioni diverse sulla base di indagini non condotte con lo stesso metodo o quando, soprattutto, in primo grado, il perito non sia stato ascoltato, ma l’istruttoria sia stata compiuta attraverso la lettura della perizia su accordo delle parti. Rimane tuttavia sullo sfondo il problema relativo all’eventuale necessità, all’esito dell’esame del perito o del consulente, di disporre la rinnovazione anche delle indagini compiute dai predetti problema che, nelle ipotesi in cui la perizia o la consulenza abbiano come destinatari soggetti deboli minori, vittime di violenze, soggetti con minorata capacità di intendere e di volere , potrebbe porre il giudice - in linea con quanto già affermato dalle Sezioni Unite con riguardo alla rinnovazione dell’esame dei soggetti deboli - nella situazione di valutare l’indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le opportune cautele, a un ulteriore stress, e di ricercare un punto di equilibrio tra esigenze tutte meritevoli di tutela il diritto dell’imputato a difendersi, il diritto della persona offesa all’accertamento della responsabilità, l’interesse generale alla tutela dei soggetti deboli, l’interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia secondo i principi di legalità e di eguaglianza anche perché, in base ai principi enunciati dalla Corte EDU, il sistema della rinnovazione istruttoria in appello non appare assistito da una integrale rigidità lo stesso va valutato, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, nel complesso del singolo procedimento v. Kashlev c. Estonia, 26 e Cass., Sez. 6, n. 35243 del 16/03/ 2017 sulla necessità di valutazione della complessiva equità del processo si è espressa anche la Grande Camera Schatschaschwili c. Germania del 15 dicembre 2015 . Tale dato, pur nella sua complementarietà, richiama una evidenza importante all’interno del sistema processuale generale, senza eliminare in via di principio la necessità della audizione del perito o del consulente tecnico, diretta al fine proprio della migliore comprensione del sapere scientifico, utile al fine della decisione dove peraltro sembra inevitabile che il ruolo del giudicante troverà la sua dimensione valutativa necessariamente all’interno di una dichiarazione fortemente caratterizzata dal dato tecnico. 1.8 Alla luce delle superiori considerazioni, e in base alla data di commissione del reato, i termini del contrasto giurisprudenziale innanzi evidenziato e il suo superamento richiedono la rimessione degli atti alle Sezioni Unite di questa Corte, ex art. 618 c.p.p., in relazione alla seguente questione di diritto Se la dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico costituisca o meno prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello avrebbe la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa . P.Q.M. Visto l’art. 618 c.p.p., dispone la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite.