Legittimo il sequestro preventivo dei beni dell’imputato quale amministratore di fatto della società

Nel reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde in qualità di autore principale, poiché titolare effettivo della gestione sociale, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 41259/18 depositata il 25 settembre. Il caso. Il Tribunale di Roma confermava il decreto di sequestro preventivo, emanato dal GIP, finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’imputato, per il reato di omesso versamento IVA per l’anno di imposta 2013. Quest’ultimo ricorre in Cassazione, deducendo che al momento del versamento IVA 2013 non era il legale rappresentante della società, mancando così i presupposti richiesti dalla norma per il sequestro. I principi espressi dalla Suprema Corte in tema di reati fiscali. Con riferimento al ruolo del legale rappresentante all’interno della società, interviene il Supremo collegio con l’emanazione del seguente principio di diritto In tema di reati fiscali, i destinatari delle norme di cui alla legge 74/2000 vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta . Pertanto, è corretto individuare, nella fattispecie in esame, l’imputato quale amministratore di fatto della società sia per la cessazione della carica a pochi giorni dagli adempimenti del versamento IVA sia per la nomina di un soggetto sconosciuto sul territorio nazionale e senza redditi, già titolare di altre cariche in altre società conosciute dallo stesso imputato. Sul punto, inoltre, la Cote di Cassazione esprime l’ulteriore principio di diritto Nelle ipotesi di sequestro preventivo funzionale alla confisca, per reati tributari, di beni dell’imputato, il sequestro deve ritenersi legittimo se lo stesso indagato non fornisce la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta, e in sede di ricorso in Cassazione è necessario indicare specificatamente gli atti processuali dai quali risultava reperibile presso la persona giuridica il profitto del reato . Dunque il ricorso risulta inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 gennaio – 25 settembre 2018, n. 41259 Presidente Cavallo – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Roma, sezione riesame, con ordinanza del 5 settembre 2017 confermava il decreto di sequestro del Giudice delle indagini preliminari di Roma, del 26 giugno 2017, che aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di B.M. quale autore del reato per il reato di omesso versamento dell’IVA per l’anno di imposta 2013, per complessivi Euro 1.082.631,00, e del rapporto finanziario della società GE.FE. s.r.l., presso la Banca Popolare di Vicenza. 2. Ricorre in Cassazione B.M. , tramite il suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p 2.1. Violazione di legge, art. 321 e 322 ter, cod. proc. pen. insussistenza del fumus del reato di cui all’art. 10, d.lgs. 74/2000. Il ricorrente al momento del versamento dell’IVA del 2013 al 27/12/2014 non era il legale rappresentante della società GE.FE. s.r.l. avendo cessato dall’incarico il 10 dicembre 2014. Il nuovo legale rappresentante è invece C.R. , nominata dall’U dicembre 2014. Mancano conseguentemente presupposti richiesti dalla norma per il sequestro, ovvero il fumus della commissione del reato da parte del ricorrente. 2.2. Violazione di legge, art. 321 e 322 ter, cod. proc. pen. Carenza o omessa motivazione sul punto. Erra il Tribunale del riesame nel ritenere accertata l’incapienza del rapporto finanziario della GE.FE. s.r.l. a fini della successiva aggressione del patrimonio del ricorrente. La perizia di stima allegato A, all’atto costitutivo alla voce rimanenze finali, evidenzia un ammontare di circa 4.000.000,00 di Euro. Questo aspetto non è stato approfondito come invece richiesto dalla giurisprudenza della cassazione, S.U. Gubert, n. 10561/2014. Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 3. Il ricorso in Cassazione ai sensi del’art. 325, comma 1, del cod. proc. pen. è ammesso solo per violazione di legge, e non quindi per i vizi della motivazione. In tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per Cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell’art. 606 stesso codice. Fattispecie relativa ad annullamento dell’ordinanza di riesame confermativa del sequestro probatorio di cose qualificate come corpo di reato e del tutto priva di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti . Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710 . Nel nostro caso il ricorso è quasi completamente per i vizi della motivazione, e come tale inammissibile ad eccezione dell’eccepita violazione dell’art. 322 ter del cod. pen., sotto il profilo dell’omessa esecuzione del sequestro prima sui beni della società GE.FE. s.r.l Infatti nel nostro caso non può dirsi la motivazione dell’ordinanza impugnata mancante, o solo apparente, poiché la stessa ha i requisiti per rendere comprensibile la vicenda e per individuare l’iter logico della decisione. 3.1. Relativamente al primo motivo di ricorso insussistenza del fumus del commesso reato, per assenza della qualifica di legale rappresentante della società da parte del ricorrente per essere cessato dalla carica il 10 dicembre 2014 - adempimento del versamento dell’IVA il 27 dicembre 2014 - si deve rilevare che il ricorso non si confronta con le motivazioni del Tribunale del riesame, non contiene motivi di legittimità ovvero mentre il Tribunale del riesame, con motivazione adeguata, rileva la sussistenza di plurimi elementi che fanno ritenere il ricorrente amministratore di fatto vedi Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016 - dep. 05/10/2016, Ottobrini, Rv. 26827301 , il ricorso ripete acriticamente il motivo di ricorso al Tribunale del riesame, senza critiche specifiche al provvedimento impugnato, che ha ritenuto come amministratore il ricorrente - seppure di fatto - . vero dominus ed il punto di riferimento della GE.FE. s.r1 è a tutt’oggi delegato ad operare sul conto corrente . D’altronde, l’attuale legale rappresentante e coindagata C.R. cittadina tunisina, non è stata neppure reperita sul territorio nazionale e - nonostante sia nullatenente - risulta alla stregua degli accertamenti di P.G. essere legale rappresentante di altre tre società, in due delle quali è evidente la cointeressenza del B. . Può pertanto esprimersi il seguente principio di diritto In tema di reati fiscali, i destinatari delle norme di cui alla legge 74/2000 vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta corretta risulta, quindi, l’individuazione dell’imputato quale amministratore di fatto, da parte del giudice del riesame, in quanto effettuata sulla base di indici sintomatici quali la cessazione della carica a pochi giorni dagli adempimenti del versamento IVA la nomina di un soggetto sconosciuto sul territorio nazionale e senza redditi, già titolare di altre cariche in altre società di riferimento dell’imputato. Sul punto vedi Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015 - dep. 24/09/2015, Biffi, Rv. 26497101 Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ. , a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice . 5. L’unico motivo del ricorso per violazione di legge violazione dell’art. 322 ter del cod. pen., sotto il profilo dell’omessa esecuzione del sequestro prima sui beni della società GE.FE. s.r.l. risulta manifestamente infondato, e oltremodo generico. Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta. Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 - dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 265158 . Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata. Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 - dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258648 . La giurisprudenza di questa Corte, sopra richiamata, infatti, prevede l’onere dell’indagato di fornire la specifica prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta l’inosservanza dell’indicazione specifica dei beni da sequestrare alla società confisca diretta del profitto o del prezzo del reato comporta la genericità del motivo di ricorso in Cassazione salvo la comprovata esistenza, negli atti, di beni costituenti profitto o prezzo del reato, beni che però devono essere specificamente e dettagliatamente indicati dal ricorrente, nel ricorso in Cassazione, con riferimento agli atti processuali dai quali risultavano. Nel nostro caso il Tribunale del riesame motiva sul punto nel seguente modo È appena il caso di rilevare, quanto all’asserita esistenza di rimanenze finali per circa 4 milioni di Euro, che si tratta di un assunto difensivo che non trova riscontro alcuno negli atti, avendo al contrario la P.G. precisato l’inesistenza di cespiti patrimoniali in capo alla società, tali da poter garantire il debito relativo all’imposta evasa . Il ricorrente non indica, neanche nel ricorso per Cassazione, cespiti patrimoniali della società, su cui disporre la confisca diretta e non già per equivalente, con riferimento agli atti del processo conseguentemente la sola contestazione generica della previa sottoposizione a sequestro diretto dei beni della società non è sufficiente per ritenere illegittimo il sequestro in oggetto. Sul punto può enunciarsi il seguente principio di diritto Nelle ipotesi di sequestro preventivo funzionale alla confisca, per reati tributari, di beni dell’imputato, il sequestro deve ritenersi legittimo se lo stesso indagato non fornisce la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta, e in sede di ricorso in Cassazione è necessario indicare specificamente gli atti processuali dai quali risultava reperibile presso la persona giuridica il profitto del reato . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.