Pena inflitta vicina al massimo edittale: motivazione rafforzata

La scelta di applicare la pena in misura prossima al massimo edittale o, comunque, in misura di gran lunga superiore alla media edittale, implica l’onere, in capo al giudicante, di rendere chiaramente comprensibile, con motivazione scevra di stereotipi o generici rinvii ai precedenti penali dell’imputato, il ragionamento svolto per determinare la sanzione - in concreto - e la valutazione riferita ai parametri ex art. 113 c.p

Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40084, depositata in cancelleria il 6 settembre 2018. Banconote contraffate la condanna in esito al giudizio abbreviato. Nel caso concreto, un uomo - in occasione di un controllo stradale di polizia - è stato colto in possesso di 223 banconote contraffatte. Da qui l’avvio del procedimento penale per il reato di spendita e introduzione di monete false art. 455, c.p. , culminato nella severa condanna - in sede di giudizio abbreviato - alla reclusione 4 anni in uno alla multa. La sentenza del Giudice dell’udienza preliminare è stata confermata dalla Corte d’appello. La vicenda è dunque pervenuta all’attenzione della Suprema Corte, dinanzi alla quale sono state reiterate le censure già avanzate in sede di merito. Tra vari motivi di ricorso, la difesa ha insistito nel ricondurre la fattispecie contestata al reato impossibile”, data la patente grossolanità della contraffazione i.e. le banconote apparivano false al punto di essere riconoscibili da chiunque, perciò prive di concreta offensività . Sotto altro - e più incisivo - versante la difesa ha contestato la dosimetria della pena inflitta e la sua eccessiva quantificazione. In particolare, sempre secondo il ricorrente, il giudice d’appello avrebbe mancato di motivare - in via specifica e dettagliata - sull’entità della pena inflitta nonostante abbia ritenuto di discostarsi significativamente dalla media della misura edittale. Pena vicina al massimo edittale. Ebbene - ritenuta inammissibile”, poiché afferente al merito, la censura inerente alla natura grossolana o meno della contraffazione - la Corte ha di contro accolto la censura relativa alla motivazione deficitaria in punto pena. A tal proposito, i giudici capitolini hanno ricordato che, se è vero che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, la sua insindacabilità in sede di legittimità va comunque correlata ai casi in cui la pena sia applicata in misura media” ovvero prossima al minimo” e, comunque, al di sotto della media edittale. Altro accade quando la pena inflitta sia prossima al massimo edittale” o, comunque, sia di gran lunga superiore alla media. In tal caso, infatti, si rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficiente l’utilizzo di espressioni stereotipate” oppure eccessivamente sintetiche”, ovvero ancora richiami del giudicante alla gravità del reato piuttosto che alla capacità a delinquere dell’imputato. Ne deriva un onere in capo al giudicante di rendere chiaramente comprensibile il ragionamento svolto per determinare la sanzione in concreto e la valutazione riferita ai parametri ex art. 113, c.p., senza fare ricorso a formule laconiche e standardizzate o richiamare genericamente plurimi precedenti penali, senza pesarne la rilevanza nel caso concreto. Eccessività sanzionatoria immotivata annullamento con rinvio. La Cassazione conclude pregievolmente osservando che deve essere chiaro che la discrezionalità del giudice di merito di adeguare la pena al caso concreto è funzionale a definire il volto costituzionale” della sanzione, interpretando al meglio soprattutto le finalità di rieducazione del condannato in relazione alla gravità del fatto ed alla pericolosità dei caratteri della sua personalità, sicchè tale discrezionalità, esercitata alla luce dei parametri dell’art. 113, c.p., non può scadere in volontà immotivata ovvero soltanto apparentemente espressa e, dunque, incapace di essere percepita come sanzione giusta da chi vi è sottoposto . Sul crinale delle considerazioni che precedono, la Corte ha dunque annullato in parte qua la sentenza gravata rinviando al giudice d’appello per una riconsiderazione sul trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 maggio – 6 settembre 2018, n. 40084 Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1.Con il provvedimento impugnato - datato 22.10.2015 - la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza, resa all’esito di giudizio abbreviato dal GUP del Tribunale di Pescara in data 22.10.2013, con la quale T.A. è stato condannato alla pena anni quattro di reclusione ed Euro 600 di multa per il reato di spendita e introduzione di monete false di cui all’art. 455 cod. pen., così riqualificata l’iniziale contestazione di cui all’art. 453, comma primo, n. 3, cod. pen. L’imputato, mentre era a bordo della sua auto, era stato trovato in possesso da personale di polizia, nel corso di un controllo, di 223 banconote da 20 Euro contraffatte ed aveva anche tentato di fuggire, non riuscendovi. 2. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione T. tramite il proprio difensore avv. Carlo Di Mascio, deducendo tre motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo si argomentano vizi di violazione di legge e della motivazione per aver il giudice d’appello escluso che, nel caso del ricorrente, si sia in presenza di un reato impossibile, nonostante la grossolanità della contraffazione. L’atto di appello aveva, infatti, proposto analogo motivo che era stato rigettato dalla Corte di L’Aquila, sul presupposto che la falsità non era apprezzabile, invece, immediatamente e da chiunque, bensì solo da personale abituato a rilevarla in casi simili e dopo attenta verifica. Il ricorrente, invece, giudicando troppo sintetica la motivazione del provvedimento impugnato, ripropone quanto già addotto in sede di gravame ed evidenzia che nel verbale d’arresto si fa più volte riferimento alla vistosa e palese falsità delle banconote, mentre l’argomento utilizzato dal giudice d’appello è emerso per la prima volta proprio in sede di motivazione della sentenza contro cui è ricorso, poiché il giudice di primo grado si era limitato a desumere la non grossolanità della falsità dalla circostanza che il ricorrente, secondo quanto aveva lui stesso dichiarato, era venuto in possesso delle banconote dietro pagamento della somma di 200 Euro per la loro custodia, fornite da un terzo soggetto da lui non conosciuto nelle generalità. Dunque il vizio di motivazione sussisterebbe anche in forma di travisamento della prova. 2.2. Con un secondo motivo di ricorso si deducono vizi di violazione di legge e della motivazione avuto riguardo alla dosimetria della pena inflitta ed alla sua eccessiva quantificazione. In particolare, il giudice d’appello avrebbe non adempiuto all’obbligo di motivazione specifica e dettagliata cui è tenuto nel caso in cui intenda discostarsi di molto dalla media della misura edittale. 2.3. Con il terzo ed ultimo motivo si adduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non essendo sufficiente la formula stereotipata adottata e riferita ai precedenti penali ovvero la puntualizzazione di congruità della pena rispetto al fatto. 2.4. Con memoria depositata in data 28 marzo 2014 il ricorrente ha, infine, ulteriormente ribadito gli argomenti dei tre motivi di ricorso ed ha proposto questione relativa alla prescrizione del reato, indicando dettagliatamente il calcolo dei periodi di sospensione dei termini verificatisi nel corso del processo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato quanto al primo ed al terzo motivo di ricorso deve, invece, essere accolto limitatamente all’eccezione riferita alla motivazione sulla determinazione della misura della pena inflitta. Prima delle considerazioni di merito, tuttavia, deve darsi atto che il difensore, all’udienza tenutasi dinanzi al Collegio, ha richiesto di aderire alla astensione dalle udienze proclamata dalla Unione delle Camere Penali, come da istanza già depositata in data 27.4.2018 e che la Corte ha rigettato tale istanza in quanto il reato di cui si tratta si prescriverà, secondo le indicazioni dell’Ufficio Spoglio, il 9.6.2018, quindi prima del termine di 90 giorni indicato dall’art. 4, comma 1, lett. a del codice di autoregolamentazione delle astensioni. 2. Preliminarmente, inoltre, deve risolversi proprio la questione relativa alla dedotta prescrizione del reato, che, invece, non risulta maturata. Il ricorrente, infatti, nell’indicare i periodi di sospensione del decorso del termine utile a prescrivere il reato, per legittimo impedimento dell’imputato o del difensore ovvero per astensione, ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen. periodi che egli stesso concorda nel computare in tal senso e correttamente indica , dimentica un primo, determinante, lasso temporale dal 11.11.2008 al 10.3.2009 in cui egualmente deve ritenersi sospesa la decorrenza della prescrizione, essendo stato disposto il rinvio anche in tal caso per legittimo impedimento dell’imputato, come risulta dai verbali di udienza ai quali il giudice di legittimità può far ricorso per la verifica, data la natura dell’eccezione proposta. In tal modo, il reato, commesso il 12.7.2007, non risulta prescritto alla data del presente giudizio di legittimità, ai sensi degli artt. 157 e 159 cod. pen., computati al periodo massimo decennale necessario al maturarsi della prescrizione anche i periodi di sospensione come indicati. 3. Il ricorso è inammissibile quanto al primo motivo, tutto versato in fatto e volto a chiedere alla Corte di cassazione una rivalutazione del quadro probatorio in relazione ad un aspetto, peraltro, legato ad un giudizio valutativo di ordine quasi tecnico quale è la grossolanità e la visibilità della falsità delle monete trovate in possesso del ricorrente. Ebbene, costituisce orientamento noto quello secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso che si risolva in critica alla ricostruzione di merito svolta dal provvedimento impugnato, non consentita in sede di legittimità ex multis, cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco, Rv. 205621 e, tra le più recenti, Sez. 4, n. 47891 del 28/9/2004, Mauro, Rv. 230568 nonché vedi Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507. Deve, inoltre, evidenziarsi che, nel caso di specie, tutti gli elementi di prova elencati sia pur sinteticamente - dalla Corte d’Appello depongono nel senso della correttezza logica del percorso argomentativo che ha condotto i giudici di merito alla affermazione di responsabilità nei confronti del ricorrente, escludendosi in tal modo un’ipotesi di reato impossibile. La falsità delle banconote non è mai stata in discussione nel giudizio di primo grado, mentre i giudici di secondo grado hanno messo in risalto come gli agenti operanti che hanno sorpreso l’imputato in flagranza di reato abbiano dato atto del fatto che le difformità non erano di immediata percezione, bensì apprezzabili solo con attenta verifica, magari più semplice per investigatori esperti, ma certamente idonea, per le sue caratteristiche, a determinare il rischio o il pericolo che taluno possa essere ingannato. Evidentemente la motivazione - anche perché si tratta di rito abbreviato seguito ad arresto in flagranza - è sintetica e rimanda a dati di fatto essenziali alla determinazione del convincimento del giudice in modo immediato e semplificato, ma non meno efficace, tanto più che ci si trova dinanzi ad una cd. doppia sentenza conforme , che, secondo consolidati orientamenti di legittimità determina limitazioni quanto alla deducibilità del vizio di travisamento della prova, alla base anche della eccezione proposta dal ricorrente. E difatti, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme , solo nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero nel caso in cui entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018, L, Rv. 272018 Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837 Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217 quanto al primo aspetto segnalato . Nessuna delle due ipotesi si è verificata nel caso di specie anzi, i dati di fatto e probatori sono stati con coerenza logica enucleati dalle due sentenze di merito che si saldano a formare un’unica motivazione di accertamento del reato contestato la prova della falsità delle monete deriva, quindi, da una serie di elementi le modalità di detenzione ed occultamento delle monete false, custodite sotto il sedile dell’auto in una busta di plastica il loro numero consistente la reazione dell’imputato che ha tentato di darsi alla fuga al momento del controllo da parte dei carabinieri, subendo per questo l’arresto in flagranza infine, la diretta percezione da parte della polizia giudiziaria della falsità visibile, ad occhi allenati , ma non certo grossolana sì da essere ritenuta inoffensiva dal punto di vista del pericolo concreto di indurre in errore un soggetto di ordinaria avvedutezza , tutti utilizzati insieme a comporre un unico quadro, che è soltanto stato trattato dal giudice d’appello sotto l’aspetto determinato della verifica sulla falsità delle monete da parte degli agenti di polizia giudiziaria. Anche il fatto che il ricorrente abbia confessato di essere stato pagato per il servizio reso di detenere e trasportare le banconote false induce a ritenere la prova della presenza di un vero e proprio traffico di esse da parte di soggetti dotati quanto menò di un minimo di organizzazione e conforta la conclusione nel senso della idoneità delle monete ad ingannare un pubblico medio. 4. Anche il terzo motivo, come anticipato, è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. Le circostanze attenuanti generiche possono essere negate anche sulla base dei soli precedenti dell’imputato, che, per sua stessa ammissione nel ricorso, risultano numerosi seppur datati. In verità, il motivo si riduce ad una enunciazione di alcune sentenze e principi affermati da questa Corte di legittimità, non precisando in alcun modo le ragioni per le quali la Corte d’Appello li avrebbe disattesi. In ogni caso, deve sottolinearsi come la Corte d’Appello dia una sufficiente giustificazione delle ragioni che impediscono di concedere le attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. al ricorrente, evidenziando la gravità della condotta dell’imputato e mettendola in relazione con i plurimi precedenti. Deve in ogni caso ribadirsi, in questa sede, la giurisprudenza secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione, potendo ritenere ostativi alla loro concessione anche i soli precedenti penali cfr. da ultimo, proprio in tale ultimo senso, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269 in precedenza, Sez. 6, n. 7707 del 4/12/2003, dep. 2004, Anaclerio, Rv. 229768 . 5. Il secondo motivo di ricorso attinente alla eccessiva misura della pena ed alla insufficienza della motivazione che avrebbe dovuto giustificarla è, invece, fondato. La misura della pena inflitta - quattro anni di reclusione al termine di rito abbreviato è certamente superiore alla media normalmente correlata a reati come quello per cui è stato condannato il ricorrente e costituisce orientamento condivisibile quello secondo cui se è vero che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, la sua insindacabilità in sede di legittimità si ricollega ai casi in cui la pena sia applicata in misura media o prossima al minimo anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. cfr. Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197 Sez. 2, n. 28852 del 8/5/2013, Taurasi, Rv. 256464 , ovvero al di sotto della media edittale Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 . Ed invece, deve ribadirsi che una quantificazione in misura prossima al massimo edittale o di gran lunga superiore alla media rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. espressioni stereotipate oppure eccessivamente sintetiche, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere in tal senso Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, Denaro, Rv. 245596 Sez. 4, n. 27959 del 18/6/2013, Pasquali, Rv. 258356 Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243 . Ebbene, non vi è dubbio che nel caso di specie la pena sia stata determinata in una misura in particolare il riferimento è a quella detentiva di quattro anni di reclusione più elevata rispetto alla media edittale ed a quella usuale per casi analoghi, date anche le circostanze di fatto della condotta e le ammissioni del condannato già immediatamente all’atto dell’arresto, nonché tenuto conto della riduzione consistente ed obbligata effettuata per il rito abbreviato. Per tali ragioni, era onere del giudice rendere più chiaramente comprensibile il ragionamento svolto per determinare la sanzione in concreto e la valutazione riferita ai parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza far ricorso a formule laconiche e standardizzate quale quella utilizzata la pena appare congrua data la indubbia gravità del fatto, indice di inserimento in più consistente traffico né, genericamente, ai plurimi precedenti neppure specificati in quanti, quali ed a quale epoca risalenti. Deve, in altre parole, essere chiarito che la discrezionalità del giudice di merito di adeguare la pena al caso concreto è funzionale a definire il volto costituzionale della sanzione, interpretando al meglio soprattutto le finalità di rieducazione del condannato in relazione alla gravità del fatto ed alla pericolosità dei caratteri della sua personalità, sicché tale discrezionalità, esercitata alla luce dei parametri fissati dall’art. 133 cod. pen. non può scadere in volontà immotivata ovvero soltanto apparentemente espressa e, dunque, incapace di essere percepita come sanzione giusta da chi vi è sottoposto. Si impone, pertanto, unicamente sotto l’aspetto del trattamento sanzionatorio, l’annullamento della decisione con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia data la composizione della Corte aquilana , affinché riesamini la questione tenendo conto dei principi di diritto affermati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia per nuovo esame.