Se il minore era prossimo alla maggiore età, la pedopornografia può essere di particolare tenuità?

La Corte di legittimità ha annullato con rinvio la sentenza con cui un imputato era stato condannato per detenzione di materiale pedopornografico il Giudice di merito non ha adeguatamente motivato la propria decisione in relazione alla richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. con riferimento al fatto che i minori coinvolti erano adolescenti e non bambini.

Sul tema la sentenza n. 39323/18, depositata il 31 agosto. La vicenda. La Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza di prime cure, riduceva la pena inflitta ad un imputato al quale veniva contestato il reato di cui all’art. 600- quater c.p. per essersi procurato ed aver detenuto materiale pedopornografico. La sentenza viene impugnata con ricorso per cassazione nel quale l’imputato si duole, nei limiti di quanto d’interesse, della mancata applicazione dell’art. 131- bis c.p Tenuità del fatto. La Cassazione condivide il percorso argomentativo della sentenza impugnata sottolineando che i file detenuti dall’imputato avevano un chiaro contenuto sessuale e che nessun dubbio poteva sussistere sulla minore età dei soggetti ritratti – adolescenti e non bambini -. Con riguardo al trattamento sanzionatorio, il giudice di merito ha ridotto la pena valorizzando l’incensuratezza dell’imputato e il carattere adolescenziale e non infantile dei minori coinvolti. Il ricorso risulta dunque fondato con riferimento alla causa di non punibilità di cui all’art. 131- bis c.p. su cui peraltro manca ogni riferimento nella motivazione. Il Collegio sottolinea che non può neppure ritenersi che, dal complesso della motivazione, risulti per implicito una risposta negativa all’istanza in esame, apparendo richiamati, semmai, elementi di segno opposto a tale ipotesi in particolare, il riferimento al materiale esiguo in termini quantitativi, alla circoscritta entità del fatto, alla minore gravità di questo . La sentenza impugnata viene dunque annullata con rinvio alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 31 maggio – 31 agosto 2018, n. 39323 Presidente Lapalorcia – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26/5/2017, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia emessa il 3/7/2015 dal locale Tribunale, riduceva ad un anno e due mesi di reclusione la pena inflitta a S.M. a questi era contesto il delitto di cui all’art. 600-quater cod. pen., per essersi procurato ed aver detenuto materiale pedopornografico. 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - violazione della norma contestata e vizio motivazionale. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna pur in assenza di prova certa circa il carattere pedopornografico delle immagini rinvenute nessuna verifica sarebbe stata compiuta al riguardo, ben potrebbero esser i soggetti ritratti appena diciottenni . Ancora, nessun elemento confermerebbe la consapevolezza, in capo al ricorrente, del contenuto dei file in esame, presenti in supporti vecchi e probabilmente non usati da tempo. In forza di ciò motivo n. 2 , la Corte avrebbe dovuto quantomeno assolvere il S. ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., difettando qualsivoglia prova di colpevolezza ogni oltre ragionevole dubbio - le medesime censure sono poi mosse quanto al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo e non rispettoso dei canoni di cui all’art. 133 cod. pen. - le stesse censure, da ultimo, concernono anche la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., della quale il ricorrente ben avrebbe potuto godere, ricorrendone i presupposti. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato, ad eccezione dell’ultima censura. Con riguardo alle prime due, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247 . Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e , cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074 . In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile a l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542 Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760 . 4. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le doglianze mosse dal ricorrente in punto di responsabilità risultano come inammissibili ed invero, dietro la parvenza di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, lo stesso di fatto tende ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici del merito in particolare, l’esame dei file in sequestro e la consapevolezza - in capo al ricorrente - del loro contenuto , invocandone una valutazione diversa e più favorevole. Il che, come appena richiamato, non è consentito. 5. A ciò si aggiunga che la Corte di appello, pronunciandosi proprio su tale profilo, ha confermato la condanna dell’imputato con un congruo percorso argomentativo, non manifestamente illogico e, pertanto, insuscettibile di censura. In primo luogo, la sentenza ha evidenziato che l’indagine era sorta da intercettazioni telematiche tra il ricorrente ed altro soggetto D.S. , nel corso delle quali entrambi avevano mostrato di esser interessati ad incontri, per lo più omosessuali, con minori, ed allo scambio di materiale pedopornografico. Dal che la considerazione che la perquisizione domiciliare, che l’imputato aveva quindi subito, era stata disposta in relazione a provati contatti tra soggetti accomunati dall’interesse per rapporti sessuali con minorenni e dal relativo materiale. 6. Ancora, quanto ai soggetti raffigurati nei file rinvenuti, a chiaro contenuto sessuale, la sentenza ha sottolineato che nessun dubbio poteva sussistere circa la loro minore età - adolescenti, non bambini -, in ragione delle fattezze somatiche che il Collegio aveva potuto verificare. Minore età, peraltro, confermata dal titolo dei prodotti medesimi, che faceva espresso richiamo proprio a tale carattere. 7. Una motivazione del tutto adeguata e fondata su logica verifica delle emergenze processuali, quindi, che il ricorso tenta di superare solo con argomenti di puro fatto insufficienza probatoria del titolo del file, possibile maggiore età dei ragazzini raffigurati o mere e generiche illazioni la consapevolezza del contenuto illecito dovrebbe esclusa dal fatto che i supporti sarebbero stati vecchi e probabilmente non usati da tempo , verosimilmente lasciati lì da qualche amico . Dal che, la evidente infondatezza delle prime due doglianze in punto di responsabilità. 8. Nei medesimi termini, poi, conclude la Corte con riguardo al trattamento sanzionatorio. Il Giudice di merito, infatti, ha rideterminato la pena valorizzando l’incensuratezza dell’imputato ed il carattere adolescente non infantile dei minori coinvolti sì da individuare il trattamento in termini assai più prossimi ai minimi che ai massimi edittali, anche in ragione della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Quel che il ricorso contesta, ma con affermazioni apodittiche, quindi irricevibili Tenuto conto di tutti gli elementi emersi, andava irrogata una pena più mite e la pena base doveva chiaramente partire dal minimo edittale . 9. Da ultimo, e come sopra accennato, ritiene invece il Collegio che il ricorso sia fondato quanto alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., che - pur richiesta con i motivi di appello - non ha costituito argomento della sentenza impugnata a tale riguardo, peraltro, non può neppure ritenersi che, dal complesso della motivazione, risulti per implicito una risposta negativa all’istanza in esame, apparendo richiamati, semmai, elementi di segno opposto a tale ipotesi in particolare, il riferimento al materiale esiguo in termini quantitativi, alla circoscritta entità del fatto, alla minore gravità di questo . La decisione, pertanto, deve essere annullata con rinvio sul punto, per nuovo esame, con declaratoria di inammissibilità nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo esame. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.