Trascrizione delle intercettazioni disponibile soltanto in udienza: il giudice doveva accogliere l’istanza di differimento

Nonostante la difesa abbia a disposizione i supporti informatici contenenti le conversazioni intercettate, la prova è veicolata nel processo mediante la trascrizione, in mancanza della quale il diritto di difesa non può essere garantito. Doveva dunque essere accolta l’istanza di differimento dell’udienza dell’avvocato che non aveva avuto la possibilità di visionare le trascrizioni prima della celebrazione dell’udienza.

E’ quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 39126/18, depositata il 29 agosto, decidendo sul ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano condannava due imputati per detenzione di droga a fini di spaccio. Mancata visione delle trascrizioni delle intercettazioni. Uno dei due ricorrenti lamenta violazione di legge non essendo la difesa stata posta in condizione di visionare le trascrizioni delle intercettazioni. Il giudice avrebbe dunque erroneamente rigettato la richiesta di differimento dell’udienza avanzata dal difensore proprio per poter esaminare le suddette trascrizione che costituivano sostanzialmente l’unica fonte di prova. La doglianza risulta fondata avendo la Corte milanese errato nel fondare la propria decisione sulla data risultante dal timbro di deposito apposto dalla cancelleria sull’elaborato peritale tale data non dimostra infatti in quale momento le trascrizioni sono state inserite nel fascicolo e dunque concretamente poste a disposizione della difesa. Come afferma la giurisprudenza la richiesta di copia delle trascrizioni, in quanto finalizzata al diritto di difesa, deve essere evasa in tempo utile e dunque laddove al difensore venga data possibilità di visionare le trascrizioni solo in udienza, egli si trova nell’impossibilità di preparare ed orientare il controesame. La sentenza impugnata ha poi posto in dubbio il fatto che il difensore si fosse recato in cancelleria ed abbia ricevuto risposta negativa dal personale presente circa il deposito delle trascrizioni di cui chiedeva la presa in visione. Non vi è infatti alcun elemento a sostegno dell’inveridicità di tale dichiarazione posto che il difensore, a fronte della risposta negativa del cancelliere, non ha alcun onere di pretendere un’attestazione scritta in ordine al mancato deposito essendo conforme ai principi di buona fede e di lealtà processuale che il difensore abbia fatto affidamento sulla parola del pubblico ufficiale addetto all’Ufficio giudiziario . Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 maggio – 29 agosto 2018, n. 39126 Presidente Piccialli – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. G.A. e M.K. ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 4, d. P. R. 9-10-1990, n. 309. 2. G.A. deduce violazione di legge, non essendo stata la difesa posta in condizione di visionare le trascrizioni delle intercettazioni, in quanto, pur avendo consultato gli atti in data 27 marzo 2017, non le aveva reperite, poiché esse erano state inserite a fascicolo successivamente. Erroneamente dunque il giudice ha rigettato la richiesta di differimento dell’udienza onde consentire al difensore di esaminare le trascrizioni delle intercettazioni, che costituivano sostanzialmente l’unica fonte di prova. Tanto più che nella segnalazione di reato sono stati riportati soltanto alcuni stralci e non l’intera conversazione. Il giudice ha anche rigettato la richiesta di convocare nuovamente i testimoni già escussi, al fine di consentire al difensore di formulare domande relative al contenuto delle conversazioni telefoniche, dopo che la difesa aveva potuto prendere visione delle trascrizioni. Ingiustificatamente la Corte d’appello ha messo in dubbio che effettivamente la difesa si sia recata in cancelleria, onde estrarre copia delle trascrizioni. Né può essere considerata sufficiente la disponibilità dei supporti informatici contenenti le conversazioni intercettate, non certo equivalenti alle trascrizioni di conversazioni tradotte da un perito di lingua albanese. 2.1. La sentenza è stata emessa da un Collegio la cui composizione era mutata dopo la relazione svolta dal consigliere Dott. M. , essendo composto dal Presidente, I.G. , e dai consiglieri C.I. e S.D.B.B. , in violazione dell’art. 525 cod. proc. pen 2.2. La Corte d’appello non ha in alcun modo argomentato in ordine ai rilievi difensivi concernenti l’impossibilità materiale del ricorrente di effettuare l’asserita cessione del campione di stupefacente, essendo egli trattenuto in caserma. Così come il giudice di secondo grado non ha esaminato la censura relativa all’attribuzione al ricorrente della pretesa cessione delle ulteriori due dosi di stupefacente, avvenuta in data 11-2- 2011. Né il giudice di secondo grado ha considerato che 2 kg di marijuana hanno un prezzo di molto superiore ad Euro 2200 e quindi il capo di imputazione è contraddittorio. Per di più la valuta di riferimento è quella albanese, di valore ancora minore. La diversa somma di Euro 1500, ricavata dalla Corte d’appello dalle intercettazioni telefoniche, dimostra come sia contraddittorio il quadro probatorio. 2.3. Ingiustificatamente non è stata ravvisata l’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 l. stup., nonostante si tratti della cessione di non più di tre dosi di stupefacente, non vi siano perquisizioni né sequestri in atti e manchi la prova che il ricorrente facesse parte di un ampio contesto criminale, anche perché il Tribunale del riesame ha escluso la sua partecipazione a un’associazione delittuosa. 3.4. La pena inflitta è sproporzionata rispetto ai fatti contestati e ingiustificatamente non sono state concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, nonostante l’effettivo ruolo svolto dal ricorrente e la sua assoluta dipendenza da Y. . Anche l’aumento ex art. 81 cpv. cod. pen. è del tutto immotivato. 3. M.K. deduce violazione di legge, in quanto non è stato emesso l’ordine di traduzione dell’imputato per l’udienza del 19/4/2017 innanzi al Tribunale. Il documento recante la rinuncia a comparire reca un orario ore 12,46 praticamente coincidente con quello dell’inizio dell’udienza ore 12,49 ed è dunque frutto di un’ evidente pressione psicologica sul detenuto, al fine di sanare l’irritualità connessa all’assenza dell’ordine di traduzione. 3.1. Il difensore, avv. Schiaffino, nominato in data 30 maggio 2017, successivamente al deposito dell’atto d’appello, datato 22 maggio 2017, da parte del precedente difensore, avv. Grittini, non ha ricevuto la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza in grado d’appello, notifica invece ricevuta dall’avv. Grittini. Quest’ultimo, che non era stato informato dal suo assistito circa la nomina di un codifensore, non poteva eccepire il difetto di notifica nei confronti dell’avv. Schiaffino. 3.2. La declaratoria di responsabilità si fonda unicamente sulle risultanze delle conversazioni telefoniche intercettate, ascrivibili a ragioni di mera conoscenza, inquadrabili, tutt’al più, in una connivenza non punibile. Dalla deposizione dell’operante si desume, al più, che il ricorrente rivestiva verosimilmente il ruolo di staffetta, senza che vi sia nessuna certezza al riguardo né alcun riscontro oggettivo, tanto più che la stessa Corte d’appello ha dato atto che il K. non ha esplicato alcun ruolo nella fase delle trattative e della cessione dello stupefacente. 3.3. Illegittimamente non è stata ravvisata l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, l. stup., nonostante l’occasionalità della condotta. 3.4. Erroneamente non è stata ravvisata l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., nonostante il ricorrente abbia rivestito, al più, il ruolo di semplice staffetta. 3.5. Ingiustificatamente la pena non è stata determinata in misura vicina al minimo edittale e le attenuanti generiche sono state ritenute soltanto equivalenti rispetto all’aggravante ex art. 73, comma 6, l. stup., nonostante il ruolo defilato esplicato dal ricorrente nella vicenda. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso di G.A. è fondato. Come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, infatti, la difesa lamenta che le trascrizioni delle conversazioni telefoniche intercettate siano state messe a disposizione del difensore solo all’udienza e quindi in tempo non utile a preparare il controesame dei testimoni del pubblico ministero, assunti nella stessa udienza del 29 marzo 2017. Orbene, occorre, al riguardo, osservare come erroneamente la Corte d’appello abbia basato la propria decisione sul rilievo che il timbro del deposito apposto dalla cancelleria sull’elaborato peritale rechi la data del 23 marzo 2017, poiché ciò non dimostra in quale data le trascrizioni siano state inserite a fascicolo e poste concretamente a disposizione della difesa. Infatti, la richiesta di copia delle trascrizioni, essendo finalizzata ad esperire il diritto di difesa, va evasa in tempo utile perché quest’ultimo possa essere esercitato Sez. U., n. 10 del 22-4-2010, Lasala . Ed è incontrovertibile che, se al difensore viene data la possibilità di visionare le trascrizioni soltanto in udienza, il diritto di difesa non possa ritenersi salvaguardato, in quanto il difensore non viene posto in condizioni di preparare e di orientare il controesame sulla base dei dati enucleabili dalle trascrizioni stesse. In modo del tutto illogico la Corte d’appello ha poi posto in dubbio che il difensore, recatosi in cancelleria nelle date del 23 e del 27 marzo, abbia chiesto al personale presente di prendere visione delle trascrizioni e abbia ricevuto risposta negativa circa l’avvenuto deposito, non essendovi alcun elemento a sostegno dell’ipotesi relativa all’inveridicità di tale allegazione difensiva, tanto più in presenza della prospettazione desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata circa il mancato inserimento a fascicolo delle trascrizioni in quanto queste ultime erano state sottoposte al giudice, per l’apposizione del visto. Né è sostenibile che, a fronte di tale risposta fornita dal cancelliere, vi fosse un onere, a carico del difensore, di pretendere da quest’ultimo una attestazione per iscritto in ordine al mancato deposito delle trascrizioni, essendo conforme a principi di buona fede e di lealtà processuale che il difensore abbia fatto affidamento sulla parola del pubblico ufficiale addetto all’Ufficio giudiziario. Giuridicamente insostenibile è poi l’assunto che non sussista, nella specie, alcun vizio poiché la difesa, pur avendo avuto tardivamente a disposizione le trascrizioni in esame, aveva sempre avuto la disponibilità dei supporti informatici contenenti le conversazioni intercettate. È vero infatti che la prova non è costituita dalla trascrizione ma dalla registrazione della conversazione captata Cass., Sez. 3, n. 13213 del 15-3-2016, Rv. 266775 . Ma è anche vero che la prova è veicolata nel processo dalla trascrizione, mediante la quale il contenuto della conversazione captata viene concretamente introdotto nella dialettica processuale, attraverso l’obiettivazione del tenore del colloquio mediante l’opera del perito nominato dal giudice, nell’ambito della specifica procedura prevista dal sistema processuale penale. In mancanza della trascrizione, dunque, la mera disponibilità del supporto informatico non è sufficiente a garantire il diritto di difesa, venendo a mancare, per il difensore, la conoscibilità di un elemento certamente ostensibile, come la traduzione del dato fonico nella concreta realtà probatoria costituita dalla conversazione, così come riportata dal perito. Erroneo è anche il rilievo formulato dal giudice di secondo grado in relazione ad una asserita genericità del motivo d’appello inerente alla problematica in disamina. Tale rilievo si basa sulla duplice considerazione che la difesa non aveva indicato quali erano i punti sui quali avrebbe voluto chiedere precisazioni ai testi sentiti in primo grado e non aveva chiesto la riapertura del dibattimento per la loro riassunzione, specificandone la rilevanza. Si tratta però di considerazioni fallaci. Non si trattava,infatti, di indicare specifiche precisazioni che la difesa avrebbe voluto chiedere ai testi, poiché l’analisi delle trascrizioni, per la rilevanza centrale delle relative risultanze nell’ambito dell’impianto accusatorio, avrebbe potuto suggerire alla difesa una diversa strategia, con una vasta gamma di opzioni defensionali, che potevano andare da un diverso modo di orientare il controesame fino alla rinuncia a quest’ultimo. Inconferente è poi il rilievo incentrato sulla mancata formulazione, da parte del difensore, di un’istanza di riapertura dell’istruzione dibattimentale, poiché tale circostanza è inidonea a sanare la nullità ravvisabile nel caso di specie o a connotare in termini di genericità il motivo di gravame, che aveva invece focalizzato con molta precisione l’eccezione difensiva. 2. Si impone, pertanto, nel caso in esame, un pronunciamento rescindente. Trattandosi di un motivo non strettamente personale, esso si estende, a norma dell’art. 587 cod. proc. pen., alla posizione processuale del concorrente M. , pur non avendo quest’ultimo dedotto la relativa censura. 3. La sentenza impugnata va dunque annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, per nuovo giudizio, anche nei confronti di M.K. , ex art. 587 cod. proc. pen.La natura rescindente di quest’epilogo decisorio determina l’ultroneità della disamina degli ulteriori motivi di ricorso. formulati da entrambi gli imputati. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, per nuovo giudizio, anche nei confronti di M.K. , ex art. 587 cod. proc. pen