Lui ottiene foto erotiche dall’ex fidanzatina: colpevole di pornografia minorile

Definitiva la condanna per un ragazzo, punito con tre anni di reclusione e 18mila euro di multa. Decisivo il fatto che abbia anche minacciato la ragazza per vedersi inviato sul telefono cellulare immagine che la ritraevano nuda.

Ha ‘convinto’ – con le buone e con le cattive – la sua fidanzatina a inviargli tramite telefonino foto erotiche. Quelle immagini non sono però rimaste private, ma il ragazzo ha pensato bene di inviarle tramite Facebook a un amico. La storia tra la coppietta – entrambi minorenni all’epoca dei fatti, risalenti all’estate del 2012 – si è chiusa con un clamoroso strascico giudiziario, ora definito dalla sentenza con cui i Giudici del Palazzaccio hanno reso definitiva la condanna del ragazzo, ritenuto colpevole di pornografia minorile” e punito con tre anni di reclusione e 18mila euro di multa Cassazione, sentenza n. 39039/18, sez. III Penale, depositata il 28 agosto . Foto. Ricostruita nei dettagli la delicata vicenda, i Giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, hanno ritenuto logica la condanna del ragazzo, che con minaccia di percosse si è procurato, facendosele inviare sul telefono cellulare intestato alla propria madre, svariate fotografiche che ritraevano la sua ex fidanzata, minorenne, nuda nella regione pubica . Questa visione viene però contestata dall’avvocato del ragazzo. In sostanza, il legale sottolinea che ci si trova di fronte a materiale autoprodotto dalla minore , e osserva che per la configurazione del reato di pornografia minorile è necessario che il soggetto che produce il materiale sia diverso dal minore oggetto della raffigurazione . Soggezione. La linea difensiva non è sufficiente, secondo la Cassazione, a mettere in discussione la condanna pronunciata in Appello, condanna che viene confermata in modo definitivo. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, è accertato che la minore ha inviato all’ex fidanzato ventiquattro fotografie da lei stessa prodotte che ritraevano le sue parti intime o la ritraevano mentre compiva atti di autoerotismo ma lo ha fatto su iniziativa e richiesta del ragazzo. Legittimo, di conseguenza, parlare di produzione di materiale pornografico mediante utilizzo di minori , anche tenendo presente che l’espressione del termine ‘utilizzo’ deve essere intesa come vera a propria degradazione del minore oggetto di manipolazione non assumendo valore esimente il relativo consenso . In questa vicenda, difatti, è configurabile la condotta di utilizzazione , secondo i Giudici, poiché è emersa la sussistenza, tra il ragazzo e la fidanzata, di una relazione caratterizzata da una prevaricazione violenta di lui verso la minorenne, accompagnata da una soggezione psicologica di quest’ultima verso i comportamenti violenti del fidanzato . Impossibile, di conseguenza, parlare di selfie prodotti dal minore autonomamente e volontariamente scattati , e ciò perché la realizzazione delle immagini pornografiche da parte della minore era stata indotta dal ragazzo anche con la violenza . Capitolo a parte, poi, è quello relativo al pericolo di diffusione delle immagini che ritraevano la ragazzina. Su questo fronte i Giudici del ‘Palazzaccio’ considerano sufficiente la circostanza relativa all’invio delle immagini, da parte del ragazzo, al profilo Facebook di un amico , anche perché, viene aggiunto l’inserimento di immagini nel citato social network è già elemento per la potenziale diffusività del materiale pornografico .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 maggio – 28 agosto 2018, n. 39039 Presidente Savani – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 marzo 2017, la Corte d’appello di Roma, sez. dist. per i Minorenni, ha confermato la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma con la quale G.B. era stato condannato, alla pena di anni tre di reclusione e euro 18.000 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 600-ter comma 1 n. 2 cod. pen., come diversamente qualificata l’originaria imputazione, perché con minaccia di percosse, si procurava, facendosele inviare sul telefono cellulare intestato alla propria madre, svariate fotografie che ritraevano la sua ex fidanzata minorenne, di anni quattordici all’epoca dei fatti, che la ritraevano nuda nella regione pubica. In X e Y nell’agosto 2012. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, tre motivi di ricorso - Vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 600-ter cod. pen. La Corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente il reato in presenza di materiale autoprodotto dalla minore, laddove la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che è necessario, per la configurazione del reato di pornografia minorile, che il soggetto che produce il materiale sia diverso dal minore oggetto della raffigurazione. Nessuna prova vi sarebbe in punto potenziale diffusività desunto da dichiarazioni de relato non essendo stato sentito il teste diretto. - Violazione di legge di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione della prova, non potendo la prova essere desunta da meri indizi se non gravi precisi e concordanti. - Mancanza di motivazione in relazione al riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma 4 dell’art. 600-ter cod. pen. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato. Considerato in diritto 4. Il primo e secondo motivo di ricorso, che presentano profili di censura strettamente connessi e possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati. Ferma la ricostruzione dei fatti nella loro dimensione storica, come accertati dalle sentenze dei giudici del merito, secondo cui la minore aveva inviato all’imputato n. 24 fotografie dalla medesima prodotte che ritraevano le sue parti intime o la ritraevano mentre compiva atti di autoerotismo, su iniziativa e richiesta di quest’ultimo, ricostruzione non sindacabile in questa sede in presenza di congrua motivazione, correttamente, la Corte d’appello, ha ritenuto sussistente il reato di produzione di materiale pornografico mediante utilizzo di minori ex art. 600-ter comma 1 cod. pen. La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui l’espressione del termine utilizzo” deve essere intesa, in aderenza alla pronuncia della Cassazione n. 41776 del 2013, come vera a propria degradazione del minore oggetto di manipolazione non assumendo valore esimente il relativo consenso” Sez. 3, n. 17178 del 11/03/2010 Flak, RV. 246982 Sez. 3, n. 27252 del 05/06/2007, Aquili, RV. 237204 , e che era configurabile la condotta di utilizzazione nel caso in scrutinio tenuto conto delle risultanze probatorie e segnatamente del testimoniale dal quale era emersa la sussistenza, tra l’imputato e la persona offesa minorenne, di una relazione caratterizzata da una prevaricazione violenta dell’imputato verso la ragazza minore accompagnata da una soggezione psicologica di quest’ultima verso i comportamenti violenti dell’imputato pag. 3 , motivazione che non presta il fianco a censure di illogicità e contraddittorietà. In tale contesto, non sono applicabili, al caso in esame, i principi affermati dalla pronuncia della Sez. 3 n. 11675 del 2016, che ha escluso la fattispecie in oggetto in presenza di selfie” prodotti dal minore autonomamente e volontariamente scattati, e ciò in quanto sulla scorta dell’accertamento fattuale compiuto, la realizzazione delle immagini pornografiche da parte della minore era stata indotta dall’imputato anche con la violenza, situazione che dunque, integra la condotta induttiva punita ex art. 600-ter cod. pen 5. Quanto al profilo del pericolo di diffusione, che non risulterebbe dimostrato, secondo la prospettazione difensiva, è sufficiente il rilievo, contenuto nella sentenza, alla circostanza che era stata accertata la diffusione delle fotografie quantomeno quella inviate al profilo Facebook dell’amico S.C. pag. 5 . In ogni caso, la sentenza impugnata, dopo aver richiamato i principi già affermati dalle S.U. n. 13 del 2000, secondo cui la disposizione di cui all’art. 600-ter comma 1 cod. pen. presiede alla tutela di quelle situazioni nelle quali siano individuabili indici di concreto pericolo che l’attività posta in essere fosse idonea a soddisfare il mercato dei pedofili, e richiamata la pronuncia di questa Sezione n. 16340/2015, secondo cui l’inserimento di immagini nel citato social network è già elemento per la potenziale diffusività del materiale pornografico, ha correttamente argomentato il pericolo di diffusione. Infine, quanto alla censura di violazione di legge in relazione alla prova della diffusione perché desunta da dichiarazioni de relato madre della minore persona offesa senza esame del teste diretto, essa è manifestamente infondata in quanto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato, ex art. 195 comma 1 e 3 cod. proc. pen., discende unicamente nel caso in cui, richiesta l’assunzione del testimone di riferimento, questi non venga esaminato, ma non nel diverso caso in cui tale assunzione non sia stata richiesta, come nel caso in esame. Costituisce ius receptum di questa Corte di legittimità il principio di diritto, più volte espresso, secondo cui sono utilizzabili, senza alcuna violazione dell’art. 195, comma 1, cod. proc. pen., le dichiarazioni de relato” qualora nel giudizio di primo grado la difesa non si sia avvalsa del diritto di esaminare la fonte della testimonianza indiretta l’inosservanza della disposizione e la conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato consegue unicamente nell’ipotesi in cui la parte abbia richiesto l’esame della persona a conoscenza diretta dei fatti e il giudice non abbia proceduto al suo esame Sez. 5, n. 50346 del 22/10/2014, Palau Giovannetti, RV. 261316 Sez. 4, n. 35913 del 17/01/2012, Ruggieri, RV. 254071 Sez. 6, n. 28029 del 03/06/2009, Vinci, RV. 244415 . 6. È inammissibile il terzo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione di legge in relazione all’art. 600-ter comma 4 cod. pen. perché devoluto per la prima volta nel giudizio di legittimità art. 606 comma 3 cod. proc. pen. . 7. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Trattandosi di imputato minorenne non sono dovute le spese processuali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.